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Il Kitsch dei superstimoli sociali e la metafisica della merda
Magazine, MOBILITY - Part II - Novembre 2016
Tempo di lettura: 8 min
Valeria Minaldi

Il Kitsch dei superstimoli sociali e la metafisica della merda

Osservazioni sul cattivo gusto dovuto alla negazione dell’inaccettabile: da Kundera all’etologia, la definizione del Kitsch sociale.

Hillary e Bill Clinton alla convention democratica di Philadelphia, giugno 2016.

Nel romanzo L’insostenibile leggerezza dell’essere di Milan Kundera, uno dei personaggi, Sabina, riflette sul concetto di Kitsch. La sua definizione nasce da un rifiuto disgustato della cosiddetta «maschera di bellezza» del comunismo che contraddistingue la sua Praga all’epoca della storia. Il Kitsch nasce dalla fede indiscutibile che il creato sia assolutamente giusto e l’uomo assolutamente buono. Da qui la giusta e buona necessità di riprodursi per perpetuare l’esistenza dell’umanità tramite società produttive e tendenti alla felicità. Tutto questo viene però messo in discussione da un’attività fisiologica di base: la defecazione. Kundera osserva come l’evacuazione della merda sia un atto, nel tipo di società in cui lui e i suoi personaggi si sono trovati a vivere, considerato come profondamente vergognoso. Questo nonostante sia prodotto stesso del nostro corpo, anche se di scarto, e il corpo sia parte integrante dell’essere nella cui perfezione si confida. Da un punto di vista metafisico, l’esistenza e la vergogna della merda mette, quindi, in discussione la Creazione stessa. Sabina pensa esattamente «o la merda è accettabile (e allora non chiudetevi a chiave nei bagni!), oppure il modo in cui siamo stati creati è inaccettabile».

Un Mondo Buono, Spot Mulino Bianco con Antonio Banderas, 2012.

Poiché chiudiamo tutti la porta, la defecazione rappresenta «l’inaccettabilità della Creazione». Nonostante questa realtà dei fatti che, anche se affrontata privatamente, è universale e inevitabile, si cerca di mantenere viva la fede di vivere nel migliore dei mondi possibili, che Kundera chiama «l’accordo categorico con l’essere». Un metodo funzionale a questo scopo è l’adesione all’ideale estetico del Kitsch, ovvero la negazione stessa della merda. Sabina vede come emblema del Kitsch sociale l’entusiasmo retorico dei cortei del primo maggio, evento dove dominano i sorrisi, la fratellanza e l’ottimismo a dispetto degli orrori dovuti a determinate scelte politiche. Ma non sono Praga o il comunismo il problema. Il Kitsch, come escamotage di sopravvivenza universale all’orrore della merda, esiste in ogni società. Sabina lo ritroverà anche negli Stati Uniti dove un senatore, alla vista di quattro bambini che corrono in un prato, le dice con sussiego «Li guardi! Questo è ciò che io chiamo felicità». Il motore del Kitsch è, appunto, il sentimento, il cosiddetto cuore. E, per muovere un numero sostanzioso di cuori e stimolare la fratellanza, che è alla base del Kitsch sociale, si ha bisogno di simboli che abbiano a che fare con l’immaginario comune, come dei bambini che corrono su un prato verde. Così il Kitsch non sarà solo dovuto all’erba verde e alla corsa dei bambini, ma alla commozione condivisa per la stessa scena. Questo potere distraente del Kitsch è il motivo che lo porta a essere l’ideale estetico delle persone coinvolte in politica. Il Kitsch politico è fondato sui sentimenti e sugli archetipi dell’inconscio collettivo.

https://www.youtube.com/watch?v=1bN3DUhfGwU

Esempio di propaganda sul mito di Putin.

Ogni Kitsch politico ha la sua grammatica ma si fonda sulla stessa precisa intenzione di negare la merda che l’uomo fa fatica ad accettare. Per cui non esiste «individualismo, dubbio e ironia» ma solamente convinta serietà. E cosa c’è di più Kitsch delle certezze dogmatiche, che socialmente, ma anche individualmente, rappresentano per eccellenza la staticità del pensiero? Il Kitsch è, quindi, immobilismo. Un’imitazione sentimentale e acritica di vissuti sdoganati dalla memoria di un popolo. Del resto il termine stesso, nato intorno al 1860, nasce proprio dal bisogno di definire la caratteristica estetica di pastiche e, in generale, di opere contraffatte, eccessivamente adornate e dozzinali. Kitschen letteralmente significa «costruire mobili nuovi con pezzi vecchi», quindi l’utilizzo di cose preesistenti al servizio di nuove. In arte, non a caso, può essere definito come un’imitazione sentimentale, esagerata e superficiale. Solitamente è proprio di opere atte più a soddisfare una certa domanda commerciale che a un’esigenza culturale consapevole. Tant’è che, spesso, il Kitsch risponde alla necessità di adesione a un determinato status sociale invece che a una sensibilità estetica. Viene quasi considerata una falsificazione involontaria di valori culturali dovuta alla combinazione meccanica di elementi. Secondo Hermann Broch non solo «in arte il male è rappresentato dal Kitsch» ma «il Kitsch è menzogna che ricade sull’uomo che ne ha bisogno» (1933). Ancora Abraham Moles sostiene sia «la patologia estetica della società dei consumi di massa», in quanto falsificazione della forma e della funzione della ragion stessa dell’opera artistica (1977). Clement Greenberg, addirittura, parla della nascita delle Avanguardie come reazione al Kitsch che è «popolare, commerciale, illustrativo, basso» e che si nutre dei valori culturali delle società che hanno maturato una propria identità (1939). Insomma il Kitsch arriva a essere sentito come una profanazione della purezza e della sensibilità alla base della ricerca concettuale ed estetica fino a diventare una profonda corruzione del gusto.

Manifesto di propaganda comunista in Unione Sovietica.

Ma perché il Kitsch dilaga e delizia in tal modo? Perché la ‘negazione della merda’ e l’esagerazione fino al grottesco risultano così graditi e convincenti tanto da legare e guidare la moltitudine?

Konrad Lorenz, Facial cutness: Infant head proportions vs. Adult head proportions, 1971.

In etologia si parla di stimoli ‘supernormali’ o ‘superottimali’ quando le loro caratteristiche sono forzate rispetto all’attesa tramite un intervento naturale o artificiale, ovvero quando lo stimolo è la versione esagerata di un altro preesistente. Questo ‘potenziamento’ provoca nell’animale percipiente una reazione più rapida e/o più intensa. L’effetto si ritiene sia dovuto a processi percettivi e di elaborazione dell’informazione molto basici che portano a un comportamento consumatorio semplificabile dal principio ‘più è meglio’. Gli elementi supernormali arrivano così a essere addirittura preferiti a quelli naturali. In estetica lo stimolo supernormale presenta le proprie caratteristiche salienti estremizzate, tanto da collocarsi in un delicato confine che corrisponde già al grottesco ma non allo spaventoso. Per esempio, le fattezze comunemente considerate come ‘adorabili’ dei cuccioli degli animali portano a una maggiore propensione all’accudimento (Konrad Lorenz, 1949). In un esperimento sono stati presentati dei disegni di teste di bambini tra le quali alcune ricalcavano proporzioni reali ed esistenti, altre, invece, le esageravano quel tanto sufficiente a non sembrare finte. A quanto pare i partecipanti, in media, preferivano l’adorabilità dei superstimoli a quella dei bambini reali. È, quindi, propriamente un’iperstimolazione che assuefà e porta a una fruizione/consumazione compulsiva. Un’edulcorazione capace di portare brivido e, nello stesso, tempo, rassicurazione nel grigiore di una vita dove si è costretti ad ammettere giornalmente la defecazione.

Manifesto pubblicitario della Coca Cola.

Tornando alle osservazioni di Kundera, torna utile ridimensionare il discorso attraverso la critica condivisibile che ne fa Calvino (1985). Prima di tutto viene preso in considerazione soltanto «il cattivo gusto della cultura di massa», tralasciando le forme di Kitsch più spicciole ma, nonostante ciò, dilaganti. Secondo, Calvino s’indigna per la considerazione della merda come un disvalore in quanto, invece, egli la ritiene una delle prove della generosità dell’universo. Ma Kundera non vede la merda come una reale vergogna ma come simbolo condiviso d’intollerabile. Un segno tangibile del nostro destino terreno, legato alle leggi dell’utile biologico, che, culturalmente, è diventato disgustoso. Da qui i tentativi appassionati di negazione.

Manifesto propagandistico sul mito USA. Topolino invita i cittadini statunitensi ad arruolarsi.

Analiticamente si può facilmente asserire quanto sia importante questo processo psicologico in una società tanto da poter riscontrare l’uso fruttuoso dei superstimoli non solo in politica ma anche nell’esagerazione delle protesi al seno o nell’uso dei bambini nelle pubblicità.

L’apoteosi del Kitsch sociale è rappresentabile dall’esistenza funzionante della città Cerebration. Fondata nel 1996, emblematicamente su un terreno paludoso in Florida, è stata ottimisticamente ideata ed edificata dalla Disney. Il sogno alla base era quello di trasporre l’immagine della vita tranquilla e stabile delle comunità americane di una volta in versione moderna, tanto da trasmettere l’essenza della magia della Disney. Un posto dove i bambini potessero giocare per strada sotto gli occhi amorevoli degli amici vicini. Esattamente gli stessi bambini che, nel libro di Kundera, vengono mostrati a Sabina come l’ideale della felicità. A giudicare le conseguenze di un’ambiziosa celebrazione di un nostalgico ideale o di un interesse commerciale (difficile distinguere la differenza) è stato il sociologo e antropologo Andrew Ross con il suo libro The Celebration Chronicles: Life, Liberty, and the Pursuit of Property Value in Disney’s New Tow (1999). Nella sua critica sembrano esserci parecchi spunti per una clemenza divertita verso un tentativo attivo di ricerca dell’ideale. Nella cittadina, sebbene si senta la mancanza di qualche irregolarità, come per esempio un ubriacone, l’organizzazione pare funzionare nonostante il kitsch abbagliante che la rappresenta. Nel parlarne, Ross non vuole assolvere paternalisticamente gli eccessi altrui, né adombrare totalmente l’impronta degli obiettivi di profitto della Disney o l’effetto grottesco di un simile progetto. Il punto è osservare a cosa può portare il bisogno della fede fondamentale, dell’accordo categorico con l’essere. Che tipo di kitsch si decide più o meno consapevolmente di accettare per sostenere l’insostenibile leggerezza dell’essere.

Del resto, quando è Sabina stessa a riconoscere la sua personale versione del Kitsch, del suo intimo e ingenuo ideale illusorio, si riconcilia con l’antropica fragilità e comprende commossa che «nessuno di noi è un superuomo capace di sfuggire interamente al Kitsch. Per quanto forte sia il nostro disprezzo, il Kitsch fa parte della condizione umana».

Manifesto pubblicitario di Celebration (Florida).

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di Valeria Minaldi
  • Laureata in Neuroscienze all'Università degli Studi di Padova, ha collaborato nella ricerca scientifica in particolare nell'ambito della Neuroestetica. È psicologa e psicoterapeuta specializzanda a orientamento cognitivo costruttivista. Lavora come consulente nell'ambito delle valutazioni dello stress lavoro-correlato presso COM Metodi; si occupa di consulenza e divulgazione scientifica, supporto psicologico individuale e di gruppo. Fa parte del board curatoriale, è cofondatrice e managing editor di KABUL, magazine online che tratta di arti e culture contemporanee, casa editrice indipendente e associazione culturale no-profit dal 2016.
Bibliography

H. Broch, Il Kitsch, Einaudi, Torino 1990.
I. Calvino, Due obiezioni a Kundera, in «La Repubblica», Milano 1985.
C. Greenberg, Avantgarde & Kitsch, in «Partosan Review», VI,5 New York, autunno 1939.
M. Kundera, L’insostenibile leggerezza dell’essere, Gruppo Editoriale L’Espresso, Roma 2002.
K. Lorenz, Studies in Animal and Human Behavior, MA: Harvard Univ Press, 1971.
A. Moles, Il Kitsch. L’arte della felicità, Roma 1979.
A. Ross, The Celebration Chronicles: Life, Liberty, and the Pursuit of Property Value in Disney’s New Town, Ballantine Books, Inc., 1999.