Immagine pubblicitaria del Macintosh 128K, 1984.
La community come condizione di significato
Quest’anno ricorre il quarantesimo compleanno del Macintosh 128K. Durante l’evento di presentazione del lancio sul mercato, una voce sintetizzata salutava il pubblico: «Hello, I am Macintosh. It sure is great to get out of that bag!»,11A. Hertzfeld, It Sure Is Great To Get Out Of That Bag!, 24th January 1984, https://www.youtube.com/watch?v=2B-XwPjn9YY.
mentre il testo appariva sullo schermo prodigiosamente, emanando quello stesso effetto di surrealtà che proviamo oggi di fronte al temperamento di ChatGPT.
È la prima volta nella storia che un dispositivo tecnologico chiede una relazione con noi e il the medium is the message di McLuhan comincia a delineare i tratti della fisionomia, plurale e iperconnessa, dalla vita postmoderna.
Due anni dopo, nell’introduzione all’antologia cyberpunk Mirrorshades, Bruce Sterling annunciava che la tecnologia degli anni Ottanta «è pervasiva, terribilmente intima. Non è fuori di noi, è molto vicina a noi. Sta sotto la nostra pelle; spesso dentro le nostre teste».22B. Sterling (a cura di), Mirrorshades, Fabbri, 1994.
Rispondeva al tocco delle dita, incarnata negli oggetti elettronici di uso quotidiano come il walkman, il personal computer; estensioni protesiche dei sensi che aiutavano a riempire il tempo libero, a innovare il reale, a sognare a occhi aperti.

Oggi, nell’orizzonte del consolidamento di una cultura partecipativa che respinge la passività dello spettatore di fronte ai nuovi paradigmi mediali, gli utenti sono intesi come co-creatori di contenuti, database animals33 Hiroki Azuma, Otaku: Japan’s Database Animals, University Of Minnesota Press, 2009.
che navigano in un ecosistema digitale tecno-sociale dai connotati alieni e allucinatori, connessi gli uni agli altri in quanto soggetti caratterizzati da – per dirla con Gilbert Simondon – «un che di preindividuale»,44G. Simondon, L’individuazione Psichica e Collettiva, DeriveApprodi, Roma, 2021, p. 179.
ovvero l’insieme delle potenzialità che ognuno porta con sé e che apre alla relazione.
Parlando del collettivo come condizione di significato nella sua riformulazione della nozione di essere in rapporto a quello di relazione come «risonanza interna dell’essere rispetto a sé stesso»,55Ivi, p. 184.
il pensiero del filosofo francese imbastisce un’analisi sulla natura del singolo situato in una molteplicità in cui il soggetto è la risultante di un processo che genera l’individuo (processo di individuazione) in cui permane un aspetto preindividuale, cioè naturale e potenziale, che si attualizza nel collettivo transindividuale (cioè nella scoperta del significato di un messaggio che individua gli esseri tra loro) permettendo il passaggio dalla generica dotazione psico-somatica dell’animale umano alla configurazione di una singolarità irripetibile».66Paolo Virno, Moltitudine e principio di individuazione, prefazione a G. Simondon, L’individuazione psichica e Collettiva, cit., p. 6.
Secondo la prospettiva transindividuale applicata al contesto digitale, il collettivo simondoniano aderisce al concetto di community come l’insieme degli utenti che partecipano alla costruzione di processi creativi di significazione e risignificazione.
La relazione, che si attualizza in seno al concetto di reciprocità, risulta essenziale per comprendere la magmatica e multiforme condizione in cui i singoli, nell’esperienza online, sono soggetti sociali poiché essa è ciò che costituisce l’occasione di un’ulteriore e più complessa individuazione in cui la singolarità si acumina, partecipa alla vita pubblica, si fa intelligenza collettiva: «Nessuno di noi sa tutto, ognuno di noi sa qualcosa, la totalità del sapere risiede nell’umanità».77Pierre Lévy, L’intelligenza collettiva: per un’antropologia del cyberspazio, Feltrinelli, Milano, 2002, p. 211.

Alla luce dell’attivismo mediale teorizzato da Henry Jenkins, le comunità online sarebbero sempre meno inclini alla fedeltà dei network e sempre più propense a fare leva sulle loro competenze combinate definendosi non soltanto attraverso interessi intellettuali comuni, ma anche su comuni investimenti emotivi. Per cui, affinché ci sia intelligenza collettiva, l’informazione deve essere intensa, poiché è valida solo se tale, solo se permette al soggetto di situarsi nel mondo: i profili degli utenti online risultano lacerati e accomunati da un unico obiettivo; sovrastati dall’eccedenza, cooperano nel collettivo per trovare nuovi modi di abitarlo.
Ne sono un esempio le attività di spoiling finalizzate a svelare qualcosa di non previsto di un contenuto mediale, le oniriche deviazioni narrative delle backrooms e degli spazi liminali, le sperimentazioni memetiche, la pseudomagia del reality shifting, la condivisione di specifici contenuti quando si fa montaggio culturologico, quando reinventa e ri-significa lo spazio mediale in cui agisce seguendo le linee di un format precedentemente elaborato. Il reperimento dal web di informazioni eterogenee e la loro messa in forma dà vita a linguaggi espressivi sincretici che mescolano immagini, suoni e parole mediante un’introiezione di quella parte del sensorio digitale che aderisce alle emozioni dell’intelligenza teorizzate da Vygotskij: tutte le tracce dell’Internet folklore identificabili con l’azione di «sperimentare possibili strategie della coscienza: amplificare i sensi, sfruttare le potenzialità inespresse, aumentare le connessioni con gli altri e con l’ambiente».88Valentina Tanni, Exit Reality. Vaporwave, backrooms, weirdcore e altri paesaggi oltre la soglia, NERO, Roma, 2023, p. 194.
Se è la «nostra stessa presenza che genera nuove espansioni»,99Ivi, p. 10.
il rapporto tra la community e i dispositivi mediali si coglie tanto nella disposizione fluida della convergenza culturale basata sulle grassroots, tanto in quell’incontrollabile assottigliamento ontologico dell’umano che si è incarnato a tal punto nelle maglie dello spazio digitale da averci fatto precipitare dentro un abisso nietzschiano guardato troppo a lungo.

Come ricordare il futuro
Quando gli escapismi contemporanei nel e con il digitale seguono le linee ambivalenti del tempo perduto, dell’auto-esplorazione, rifuggono dalla verità assoluta orientandosi verso l’ebbrezza del dislocamento e dell’incerto in vista di un’eccedenza che si nutre di mutazioni, di rituali estetici a bassa risoluzione fatti di glitch e distorsioni, la proprietà riflessiva della nostalgia non celebra la memoria di ciò che è già accaduto ma il potere immaginativo della creatività: «I ricordi, che sono sempre frammentati e instabili, nel contesto dei sentimenti nostalgici svolgono un ruolo fondamentale ma parziale: sono il punto di partenza di un’elaborazione creativa che avviene nella coscienza individuale».1010Ivi, p. 29.
In un clima hauntologico in cui il presente si è eternizzato dischiudendosi in un futuro spettrale, perduto e inimmaginabile, il sentimento della nostalgia quando si esplica nella sua configurazione riflessiva è capace di sfruttare la facoltà ancora tutta umana della mente di varcare i confini della contingenza.
Agendo come modificatore di uno stato di coscienza, in una realtà ormai inconoscibile, instabile e ossessionata dal culto delle sensazioni, la nostalgia permetterebbe a quel preindividuale simondoniano, carico di potenziale trasformativo che non esaurisce il soggetto ma al contrario lo afferma come entità sempre incompiuta, di accedere e dimorare nelle zone fantasmatiche di cui sono fatti i paesaggi digitali, ancorandolo a processi di esplorazione, espansione e manipolazione dei contenuti la cui spinta propulsiva origina dalla fascinazione per lo sdoppiamento perpetuo, per il percepirsi ricomposti al di qua della simulazione, per sentire nostalgicamente il ricordo del futuro:
«La nostalgia riflessiva non segue una trama unica, ma esplora modi di abitare molti luoghi contemporaneamente e immaginare fusi orari diversi. Ama i dettagli, non i simboli. Nella migliore delle ipotesi, può presentare una sfida etica e creativa, non solo un pretesto per le malinconie di mezzanotte. La nostalgia riflessiva si sofferma sulle ambivalenze del desiderio e dell’appartenenza umana e non si tira indietro di fronte alle contraddizioni della modernità».1111Svetlana Boym, Introduction: Taboo on Nostalgia? Xviii, in The Future of Nostalgia, Basic Books, 2001.
Un ventaglio vastissimo di stati emotivi soggiace all’immaginario estetico delle sottoculture di Internet (le estetiche weirdcore e dreamcore, per esempio), soddisfacendo il bisogno delle comunità online di un’elaborazione del trauma che, dallo stadio individuale, passa a uno di tipo collettivo. Vibrazioni e umori come alterazioni sensoriali per sprofondare nel subconscio, proiettarsi altrove, rimanere intrappolati in un labirinto onirico dal quale non si vuole uscire. Anche le pratiche dei selfies come «forme di resistenza, a livello tanto individuale quanto collettivo, alle strategie di determinazione, catalogazione e disciplinamento dei corpi in una peculiare tensione dialettica con le modalità autogestite di rappresentazione del Sé messo in immagine»1212Andrea Pinotti, Antonio Somaini, Cultura visuale. Immagini sguardi media dispositivi, Einaudi, Torino, 2023, p. 262.
appartengono a una pratica di eccedenza, in quanto espressione di desiderio di autoregolazione e auto rappresentazione del sé, fondata simultaneamente su meccanismi di manipolazione della propria immagine per percepirsi diversi da come si è (l’uso di effetti reimpostati, i cosiddetti filtri, permette questo tipo di contraffazione), ma anche su procedimenti di opposizione a forme standardizzate di canoni estetici, di identità di genere, di status sociale in cui si rivendica la propria singolarità in relazione ad altre.

Tenendo conto della collocazione dello user/creator all’interno dello spazio liminale che è lo schermo come soglia, la sala d’aspetto di un cinema, descritta dallo scrittore Bruno Schulz nel racconto La notte di luglio, sembra restituire bene l’immagine del digitale come la dimensione intermedia in cui la community prova a esorcizzare le inquietudini post-capitaliste del presente mediante strategie creative imprevedibili: «Quel vestibolo pareva il fondo estremo dell’esistenza, ciò che resterà quando tutto ormai sarà accaduto».1313 Bruno Schultz, Le botteghe color cannella. Tutti i racconti, i saggi e i disegni, Einaudi, Torino, 2008, p. 229.
A partire da uno squilibrio emotivo e affettivo nella community si attiva la facoltà trasformativa dell’immaginazione nella misura in cui:
«L’emozione è il preindividuale divenuto manifesto nel soggetto, rimanda all’esteriorità e all’interiorità: essa è lo scambio, all’interno del soggetto, tra carica di natura e le strutture stabili dell’essere individuato, essa prefigura la scoperta del collettivo. Mette in questione l’essere in quanto individuale […]».1414Simondon, cit., p.185.

Tecnomagie angosciate
Tuttavia, il consumo di forme mediali sempre più variegate e complesse può dissipare le sembianze di una tecnomagia, di un sistema relato in cui soggettività sociali si accolgono e raccolgono attorno a «vibrazioni emotive, piaceri infoestetici, a pulsioni ludiche»1515Vincenzo Susca, La ricreazione della società dello spettacolo, postfazione in H. Jenkins, Cultura Convergente, Apogeo Education, Milano, 2014.
nel momento in cui comincia a produrre angoscia, arrestando il processo dell’immaginario creativo e collettivo che fa presa sul mondo e lo mette in forma.
Se le istanze emotive fanno da base alla comunicazione intersoggettiva, cosicché essa si generi tramite la partecipazione, nell’angoscia il soggetto continua a essere, a effettuare in sé una permanente modificazione, ma senza agire, avvertendosi come «fardello per sé stesso»,1616Simondon, cit., p. 102.
nei termini in cui tende a conservare la propria individualità a ogni costo. Così facendo, blocca i processi di significazione transindividuali: tutto il potenziale che permette poi la formulazione del collettivo è forzato in quello che è già precostituito. Si potrebbe dire che l’angoscia è la soluzione affettiva contraria al transindividuale, il suo negativo.
Gli utenti della community si isolano da qualunque esteriorizzazione e tentano invano di attualizzare il preindividuale all’interno del proprio dominio personale. Allarmati dalla propria possibile disgregazione, provano a configurarsi come unità solipsistiche diventando monadi. In questa prospettiva, le culture di Internet diventano veicolo di antinomie valoriali che contagiano le reti digitali all’insegna della persuasione, della disinformazione, della presa di potere di logiche politiche ed economiche centralizzate e gerarchiche non più relativizzate e condivise.
Fake news, tesi complottiste, immagini generate con AI come strumentalizzazioni ideologiche, pratiche di slackactivism, meccanismi dissimulati di sorveglianza: il post pubblicato dalla NATO sul proprio account Instagram lo scorso settembre risulta in questo senso significativo.
Il contenuto riprende il verde acido della copertina dell’ultimo disco di Charli XCX, ma al posto di BRAT (slogan dall’alto potenziale memetico diventato virale) leggiamo la parola PEACE. La rivista digitale «Iconografie» ha ripostato l’immagine sulla propria home per sottolinearne la natura sviante, l’effetto détourné che l’operazione ha suscitato. Chiamando in causa il concetto di decoding di Stuart Hall, il messaggio culturale di questa azione memetica porrebbe gli spettatori/utenti della comunità online ad assumere tutte le principali posizioni del processo di decodifica: quella dominant-hegemonic in cui il messaggio viene decodificato nel modo in cui esso era stato codificato, condividendone l’ideologia originaria, quella negotiated in cui si assiste a un mixaggio di elementi accolti ed elementi respinti, e infine quella oppositional che concerne il rifiuto di condividere il codice dominante, provocando un cortocircuito in cui misurare il grado di iperstizionalità all’interno e fuori dall’ambiente mediale risulta di difficile decifrazione.
Ciò che emerge più nettamente è da un lato il riflesso di una appropriazione e un asservimento sempre più stringenti, da parte degli attuali scenari politici di estrema destra e di organizzazioni militari, del potere anarchico e tecnomagico della memetica, delle sue infinite possibilità di manomissione spesso supportate da software e intelligenze artificiali; dall’altro l’impatto di queste operazioni occulte di accelerazionismo distopico nel tessuto digitale sembrano dotare le comunità online di una spinta autoemancipatoria dalla verità capovolta, per dirla con Debord, in grado di attivare «forme impreviste di intelligenza aliena fuggitiva».1717Tiziana Terranova, Dopo Internet. Le reti digitali tra capitale e comune, NERO, Roma, 2024, p. 31.
«Questo sarà in un libro di testo un giorno»,1818James_nathan_451, commento al post della NATO, 2024.
è il commento al post della NATO di un utente che esprime una lungimirante quanto inattesa considerazione.

Interferenze e reinvenzioni
Affinché non si precipiti in una valutazione univoca, che non ammette contraltari, delle interconnessioni sociali e relazionali che infestano le reti digitali è necessario, come sostiene Tiziana Terranova, rileggere la nozione di monadologia elaborata da Leibniz. Spogliare la monade dell’armonia trascendentale che la identifica significherebbe aprirla a un incontro di forze, umane e non umane, per far sì che accolga la possibilità del dissenso, dell’incerto, della tensione. Una postura che non miri all’autoconservazione, all’angoscia simondoniana, ma al piacere della circolazione che è potenziamento: «Ogni idea, affetto, credenza, verità così come ogni oggetto digitale o virus, protocollo, immagine, mira a raggiungere la massima diffusione, o a esprimere il proprio potere al massimo grado».1919Terranova, cit., pp. 120-121.
Una nuova forma di monadologia, la neomonadologia, romperebbe con le teorie della produzione sociale di stampo utilitaristico che non ammettono un’interpretazione dell’individuo come momentanea cristallizzazione di un processo che lo ha preceduto e che non si esaurisce con esso. Inquadrando un nuovo modello di analisi della cooperazione sociale come fonte di produzione di informazioni, conoscenze, affetti, relazionalità, pratiche creative e di memoria collettiva, la concezione neomonadologica si esprime:
«su una molteplicità di relazioni di influenza e cattura reciproche: entrano in gioco forze infinitesimali e soprattutto capacità della memoria di conservare il tempo e di introdurre una differenza, nonché la sua abilità di agire a distanza in base a una logica di appropriazione mutua o di assoggettamento unilaterale».2020Terranova, cit., p. 122.
Ancora una volta, è l’idea di un’apertura alla possibilità di una rivolta interna in ambienti socio-digitali in cui operano componenti umane, forze incorporee e tecniche che può dare vita a continue e inarrestabili reinvenzioni di relazioni transindividuali, fatte di credenze e desideri, di sfide virtuose e creative, di interferenze mnemoniche che corteggiano il dubbio e respingono il compimento.
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Ludovica Soreca è dottoranda presso il Dipartimento di Scienze dell’Educazione “Giovanni Maria Bertin” dell’Università di Bologna. Il suo progetto di ricerca riguarda l’analisi delle pratiche di rimediazione di contenuti audiovisivi nell’ambiente digitale, con particolare attenzione alla didattica museale. Presso il CELSA (École des hautes études en sciences de l'information et de la communication) della Sorbonne Université ha approfondito lo studio di tematiche relative alla disinformazione digitale e i suoi effetti narrativi (produzione di deepfake, propaganda, meme, interconnessione tra l'esperienza umana e l'IA generativa), all’alfabetizzazione mediatica e ai processi di interpretazione delle immagini nella prospettiva della semiotica sociale al fine di comprenderne le implicazioni nella mediazione e nella costruzione dei patrimoni. Le sue aree di competenza comprendono la sociologia delle culture digitali e studi sui media in relazione all’uso delle nuove tecnologie nell’ambito dell’educazione al patrimonio culturale.
Hiroki Azuma, Otaku: Japan’s Database Animals, University Of Minnesota Press 2009.
Svetlana Boym, The Future of Nostalgia, Basic Books, New York, 2001.
Veronica Cavedagna, Giulio Piatti (a cura di), Aut Aut 377/2018: Effetto Simondon, Il Saggiatore, Milano, 2018.
Guy Debord, La società dello spettacolo, Baldini&Castoldi, Milano, 2013.
Mark Fisher, Spettri della mia vita. Scritti su depressione, hauntologia e futuri perduti, Minimum Fax, Roma, 2019.
Stuart Hall, Encoding and Decoding in the Television Discourse, Center for Cultural Studies, University of Birmingham, Birmingham, 1973.
Henry Jenkins, Cultura convergente, Apogeo Education, Milano, 2014.
Nick Land, Collasso. Scritti 1987-1994, Luiss University Press, Roma, 2020.
Pierre Lévy, L’intelligenza collettiva: per un’antropologia del cyberspazio, Feltrinelli, Milano, 2002.
Marshall McLuhan, Gli strumenti del comunicare, Il Saggiatore, Milano, 2015.
Pietro Montani, Emozioni dell’intelligenza. Un percorso nel sensorio digitale, Meltemi, Sesto San Giovanni, 2020.
Andrea Pinotti, Antonio Somaini, Cultura visuale. Immagini sguardi media dispositivi, Einaudi, Torino, 2016.
Bruno Schulz, Le botteghe color cannella, Einaudi, Torino, 2008.
Gilbert Simondon, L’individuazione Psichica e Collettiva, DeriveApprodi, Roma, 2021.
Bruce Sterling (a cura di), Mirrorshades, Fabbri, Milano, 1994.
Valentina Tanni, Exit Reality. Vaporwave, backrooms, weirdcore e altri paesaggi oltre la soglia, NERO, Roma, 2023.
Mario Tirino, Archeologia della transmedialità: teorie, approcci e formati. Il caso Flash Gordon, Mediascapes Journal 13/2019, pp. 21-46.
Tiziana Terranova, Dopo Internet. Le reti digitali tra capitale e comune, NERO, Roma, 2024.
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