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Geontopotere e Nonlife: intervista a Elizabeth A. Povinelli
Magazine, MORIRE – Part I - Gennaio 2018
Tempo di lettura: 15 min
Caterina Molteni

Geontopotere e Nonlife: intervista a Elizabeth A. Povinelli

Un’analisi sul tardo liberalismo oltre la dicotomia "vita-morte".

The Karrabing Film Collective, When the Dogs Talked, 2014.

 

Elizabeth A. Povinelli è tra le figure più influenti del dibattito critico contemporaneo. Lavora come docente di Antropologia e Studi di Genere presso la Columbia University, dove è stata direttrice dell’Institute for Research on Women and Gender.

Rispetto alla generazione di pensatrici statunitensi impegnate nella promozione e diffusione degli studi di genere e dell’ecocentrismo, Povinelli si differenzia per lo stile di argomentazione che affonda le sue radici nello strutturalismo foucaultiano. Come in Michel Foucault, la ragione e qualsiasi concetto di verità diventano fenomeni da osservare storicamente, mostrando i sistemi di potere che ne hanno permesso l’affermazione.

In Geontologies, Povinelli introduce il concetto di “geontopotere” descrivendo il modo in cui il tardo liberalismo opera la sua autorità grazie all’istituzione di una relazione tra “Vita” e “Non-vita”, che non si limita a interessare esclusivamente il corpo umano, ma che comprende oggi una precisa visione del mondo terrestre. Dal testo dell’autrice e dall’intervista si evince come per il tardo liberalismo la stessa teoria ecocentrica si sia dimostrata una risorsa. Una delle figure con cui Povinelli descrive il geontopotere è infatti l’Animista, che corrisponde alle teorie filosofiche degli ultimi dieci anni impegnate nella promozione di un vitalismo della materia che uniforma tutte le creature sotto la categoria della Vita.

Nel pensiero di Povinelli, è il concetto di Nonlife a diventare fondante, poiché costituirebbe l’unico termine in grado scardinare il dispositivo dialogico e oppositivo tra Vita e Non-vita su cui si fonda la società moderna descritta da Foucault. Proprio grazie a tale divisione, l’autorità statale infatti disciplina e regola il corpo umano decidendo di fatto chi lasciar vivere (biopolitica) e chi far morire (tanatopolitica).

Ricontestualizzare il concetto di Nonlife significa pertanto, nella prospettiva di Povinelli, distanziarlo dalla relazione binaria e oppositiva tra Vita e Morte. Nella visione della filosofa, “morire” non costituisce un argomento universale ma, come ogni verità condivisa, rappresenta un argomento storico e in questo caso figlio della cultura moderna Occidentale. Osservando le culture indigene, escluse dal tardo liberalismo proprio per la loro incapacità di pensare attraverso le categorie binarie di Vita e Morte, è possibile invece cogliere un’accezione della Non-vita, descritta da Povinelli, che non si riduce al concetto di finitudine, men che meno a un generale vitalismo.

 

L’intervista è tratta da Compost. Riflessioni sull’ecocentrismo, KABUL Editions.


Caterina Molteni: La sua ricerca ha innumerevoli punti di contatto con quella di Michel Foucault, per quanto riguarda l’analisi delle relazioni tra i modi di pensare, la creazione del potere e il consolidamento di una specifica struttura economica e politica all’interno della società. In che modo il termine geontopotere – che ha introdotto nei suoi scritti come alternativa al biopotere – può descrivere meglio l’attuale epoca storica?

Elizabeth A. Povinelli: Geontologies ha inizio con una prolungata chiamata in causa dell’interpretazione foucaultiana della biopolitica del neoliberalismo – il suo interesse verso le forme di distruzione e creazione della vita, le sue quattro figure della sessualità. In che modo o per quale motivo ho chiamato in causa Foucault? Da un certo punto di vista il metodo di pensiero di Foucault ha catturato la mia attenzione per lungo tempo, così come quelli di Spinoza, William James, Charles S. Peirce e Gilles Deleuze. Sono attratta dai modelli analitici da cui la ‘verità’ emerge a livello storico e territoriale. Sono anche attratta dal pensiero critico che comprende i limiti della capacità umana di rendere totalizzante la ‘verità’. Quindi innanzitutto per me la verità è un diagramma per un dato campo di forze – un campo di forze in cui agiamo e che su di noi agisce. Tuttavia, in secondo luogo, la verità oltrepassa necessariamente la sede e le modalità della nostra specifica forma di esistenza e perciò non può essere resa totalizzante. Nella mia interpretazione del pensiero biopolitico di Foucault, l’obiettivo del concetto di biopotere non è svelare un’unica verità, costante e senza soluzione di continuità (immanente) all’interno dello spazio sociale e del tempo. Tale concetto aveva lo scopo di raccogliere insieme una serie di questioni, forze e discorsi espressi storicamente e geograficamente. La cosa che Foucault sembrava in grado di sentire solo in parte, ma che noi percepiamo fin troppo bene, era l’estensione del territorio del suo ‘nostro’ e del suo ‘noi’. Quando nella Nascita della biopolitica si domanda che cosa sia questa nuova forma di liberalismo in cui oggi viviamo, a intermittenza Foucault sa e dimentica che questo ‘noi’ non solo ha un limite – cioè l’esterno di USA, Gran Bretagna e Germania – ma è costituito da condizioni che si estendono al di fuori dello stesso ‘noi’. Queste forze ‘esterne’ forniscono le continuità e le discontinuità interne al ‘noi’ e al ‘nostro liberalismo’. Un esempio lampante: gli Stati Uniti non sono soltanto all’esterno di loro stessi, nel senso che agiscono con una forza globale; agiscono sugli altri. Né subiscono semplicemente l’agire. Fondamentalmente sono fuori da loro stessi nei termini delle loro proprie condizioni di esistenza interne. Spesso uso il termine di Lacan extimitàesistenza extimata – per indicare la piega dell’esterno nell’interno, e viceversa. A questo punto possiamo anche citare Deleuze e Le Pli. Comunque sia, nessuna regione dell’esistenza prospera senza consumare costantemente, anche quando questo consumo vorace colpisce le sue stesse dinamiche interne. Trump e la Brexit sono esempi di come atti di potere che sembrano diretti verso l’esterno nello stesso tempo alterano fondamentalmente dinamiche di potere interno.

Oliver Husain – Isla Santa Maria 3D – 2016.

Le mie intenzioni con il concetto di geontopotere sono conseguenti a ciò. Se guardi ai miei colleghi indigeni in Australia, il concetto di geontopotere analizza in modo accurato e con più forza come la governance del tardo liberalismo si esprima attraverso le loro vite. Il geontopotere funziona non tramite le operazioni di vita e morte (sovranità, disciplina e biopotere; far finire e consentire la vita; disciplinare il potenziale produttivo della vita e creare l’anomalo, dare vita e consentire la morte), ma in misura più rilevante attraverso una divisione tra la vita (ciò che può nascere, crescere, riprodursi e morire) e la Non-vita (ciò che non può morire anche se può essere alterato). Il geontopotere esclude e separa un’intera sfera dell’esistenza dal discorso etico, sociale e politico. Separandola, il geontopotere la conduce a uno sfruttamento sfrenato. Coloro che rifiutano questa separazione dell’esistenza ne sono a loro volta tagliati fuori e smaltiti. Le popolazioni indigene e altri che rifiutano tale separazione sono ricondotti alla sfera del primitivo. Nel corso del primo colonialismo di popolamento queste popolazioni sono state uccise e lasciate morire in genocidi di massa, giustificati dalla loro rappresentazione come residui selvaggi di un’umanità pre-razionale. Durante il tardo colonialismo di popolamento sono state ingannate vis-à-vis dal gioco di specchi del riconoscimento liberale. Le industrie estrattive che devastano le loro terre contano su una rete di interpretazioni politiche e legali che posizionano rocce e minerali oltre i confini dell’etica. O vi hanno fatto affidamento. Come il cambiamento climatico e l’inquinamento antropogenici mostrano la natura extimata di tutte le forme e regioni dell’esistenza, l’importanza di tenere la Vita e la Non-vita separate l’una dall’altra, come distinte l’una dall’altra, diventa sempre più inutile. Per esempio, le malattie polmonari dei mammiferi si estendono al di là del corpo per penetrare nell’aria. Le polveri prodotte dall’estrazione di fluoruro si trovano all’interno di questi polmoni – e per alcuni più che per altri. La miniera si introduce in questi corpi, così come penetra nel terreno. Di conseguenza vediamo la crescita di nuove visioni critiche sui corpi, gli assembramenti e i regimi dei diritti. I diritti delle rocce e dei fiumi sono discussi insieme a quelli degli animali umani e non umani. Tornando alla tua domanda, il geontopotere può essere un termine migliore per descrivere la nostra epoca? Piuttosto che ricercare un termine migliore o peggiore, dovremmo chiederci: qual è la sfera d’azione del geontopotere? Dove si rende più o meno visibile? Scommetto che il geontopotere segue ed estende la portata e le variazioni del tardo liberalismo come una forza storica globale anche se la sua visibilità e forza analitica cambia all’interno delle formazioni sociali e dei domini economici del tardo liberalismo. Geontologies tenta di mappare questa intersezione tra portata, visibilità e forza all’interno dei mondi dei miei amici e colleghi di lunga data del collettivo Karrabing.

Caterina Molteni: Gli ultimi dieci anni di pensiero ecologico sono stati caratterizzati da una proliferazione di definizioni per indicare le ere geologiche. Nei suoi scritti evidenzia come Capitalocene, Plantationocene e Chthulucene siano prospettive utili solo per «sottolineare come ogni modo di marcare i protagonisti chiave nel dramma dell’Antropocene comporti un insieme diverso di problemi e antagonismi etici, politici e concettuali, piuttosto che uscire dal dilemma contemporaneo del geontopotere». Il suo approccio al dibattito sull’Antropocene cambia prospettiva, focalizzando l’attenzione su come tale teorizzazione di un’era geologica abbia creato specifici pattern di pensiero in ambito sociale e politico. Quali sono le conseguenze di questo limitarsi a definire un’era geologica? In che modo tale prospettiva non sfugge al dilemma del geontopotere?

Elizabeth A. Povinelli: La maggior parte dei concetti critici ci sono dati sotto forma di nomi, cosa che è un po’ strana visto che i concetti dovrebbero indicare un terreno di accadimenti. Un concetto è un atto epistemologico adoperato per aprire e orientare l’azione politica. Dovremmo essere generosi e trattare l’Antropocene, il Capitalocene, il Plantationocene e lo Chthulucene come concetti piuttosto che come semplici nomi o etichette intellettuali. Il Capitalocene e il Plantationocene sono concepiti per criticare il rifugio costruito nell’astrazione dell’Anthropos per giustificare l’attuale catastrofe ecologica e geologica. L’Uomo non è responsabile del caos della Terra. Lo sono invece una forma e relazione sociale – capitalismo, capitalismo del Plantationocene, agricoltura industriale – come coloro che ne hanno beneficiato maggiormente, ovvero l’Occidente imperialista. Lo Chthulucene ha differenti basi epistemologiche e scommesse politiche. Inoltre critica le categorie astratte dell’uomo e la sua supremazia sulla Terra, ma propone un maggior ridimensionamento del dramma dell’umanità. Gli umani sono solo il risultato di un precedente compostaggio del mondo e saranno una delle condizioni per una nuova ri-composizione. Pertanto la nostra analisi, le politiche del cambiamento climatico antropogenico e la tossicità devono estendersi al di fuori della fantasia dell’umana sovranità e del controllo della Terra. Quali politiche potrebbero emergere da questo approccio concettuale?

The Karrabing Film Collective – Wutharr – 2016.

Il geontopotere non è, tuttavia, un altro modo per definire l’Antropocene. Il suo obiettivo non è di fornire un nome alla crisi geologica e climatica del presente. Al contrario, il geontopotere indica una forma di governo che ha funzionato da molto tempo e sin dall’inizio della creazione dell’imperialismo e dell’occupazione coloniale. Questa forma di governo precedeva il concetto di Antropocene e l’emergere del capitale e delle sue scienze disciplinari. Il geontopotere mette in evidenza come le governance operino attraverso l’omologia del pensiero occidentale, le scienze naturali e critiche – la separazione storica della vita nelle scienze naturali (biologia, biochimica) dalla Non-vita (geologia, climatologia) e l’ossessione storica nelle scienze critiche con gli eventi, affectus/conatus/potentas, è la finitudine – e come questa forma di governo muti nell’ombra del tremore di queste divisioni.

Geontologies sostiene che l’Occidente abbia creato le sue intuizioni politiche ed etiche sigillando o, forse più accuratamente, tagliando fuori e facendo a pezzi una zona di esistenza reciproca e proclamandola Non-vita. Dio non disse «Sia la vita!», tirando fuori dal nulla la vita. Le epistemologie occidentali e le strategie imperialiste hanno tagliato lentamente fuori qualcosa affermando: «Lasciate che la Non-vita ci renda unici, preziosi e storicamente validi per il mondo».

Così, quello del geontopotere è un concetto con tutto il potenziale e le restrizioni dei concetti che ho menzionato sopra. Significa generare azione attraverso il riconoscimento di un luogo storico geografico. Significa suscitare nuove intuizioni politiche, posizioni, strategie e divertimenti. Significa comprendere le figure e gli affetti che emergono da questa ferita comune mentre questa si apre e inizia a sanguinare.

Caterina Molteni: Leggendo la sua descrizione di “geontopotere” sono rimasta affascinata dalla sua lucidità sulla recente storia del pensiero ecologico ed ecocentrico, in particolare espresso nella sua proposta della figura dell’Animista – che insieme al Deserto e al Virus costituiscono le tre figure del geontopotere – e che corrisponde al contemporaneo vitalismo, alle ontologie orientate sull’oggetto e ai nuovi materialismi. Come funziona questa figura? In che modo l’Animista è collegato al tardo liberalismo?

Elizabeth A. Povinelli: Qualsiasi lucidità derivi dallo svelamento geontopolitico, noi ci siamo in mezzo. Quello che era un terreno ovvio dell’epistemologia e del governo occidentale adesso non lo è più. Questo svelamento si estende attraverso le scienze naturali (biochimica a geochimica stanno diventando biogeochimica) e attraverso le intuizioni e i discorsi etico-politici che poggiano su presupposti geontologici (l’aumento dei nuovi vitalismi, i nuovi animismi, la biofilosofia). Intendo le tre figure del geontopotere – il Deserto, l’Animista e il Virus – per mettere pressione alla nostra risposta critica a questo svelamento.

Il Deserto è una figura che comprende tutti i discorsi, le strategie, gli affetti che tengono ferma una distinzione etica, politica ed esistenziale tra la vita, come distinta e limitata, e la Non-vita inerte, uno sfondo non intenzionale e altro. L’Animista non rivendica tale divisione perché tutto e tutte le zone dell’esistenza sono tali per essere vive, vitali e potenti. Il Virus rifiuta persino la verità della divisione, ma la mobilita comunque per poter estendere la sua portata. Queste figure emergono dalla liquefazione del geontopotere. Esse rappresentano, anziché riferirsi a ciò che possiamo considerare come istanze effettivamente esistenti di deserti, animisti e virus. E non sono salvifiche.

Per esempio, il Virus è tanto capitalismo quanto terrorismo, la febbre emorragica e la discriminazione di genere. Esse si combinano anche per sostenere le formazioni di potere – come il capitale estrattivo che esige il potere di vedere la vivacità (surplus) in tutte le cose (Animista), sebbene richieda che alcune zone e forme di esistenza rimangano sigillate dall’etica umana (Deserto) – e funziona tanto disperatamente quanto per contenere la diffusione dell’etica animale non-umana. Così noi vediamo le alleanze di stato e di capitali per criminalizzare gruppi radicali di ambientalisti.

Deserto, Animista, Virus: nessuno rappresenta la via d’uscita dal tardo liberalismo, non più che le quattro figure della sessualità che erano emerse dall’analisi del biopotere. Sono invece sintomatici della dissoluzione del geontopotere – uno svelamento che si esprime diversamente attraverso il terreno del tardo liberalismo. In Geontologies l’Animista gioca un ruolo centrale a causa del modo in cui replica involontariamente alle strategie del riconoscimento del colonizzatore tardo liberale – una strategia che ho trattato a lungo e in modo esplicito in Cunning of Recognition.

Per dirlo nel modo più conciso possibile: nel tardo riconoscimento del colonizzatore, lo stato e i suoi pubblici esprimono il dolore per non aver capito che l’Altro era, infatti, solo una variante di se stesso – accogliere l’Altro in Se Stesso. Una domanda impossibile viene posta sull’Altro – che è diverso da Sé ma non così diverso, che la forza delle sanzioni tardo liberali rompa la scena dell’entre nous.

Allo stesso modo, il gesto dell’Animista preserva tutto ciò che c’è di più prezioso per il geontopotere: vitalismo, animazione, potenzialità, eventi ecc. Nell’atto di accogliere l’Altro (la Non-vita) nella sua auto-amministrazione, l’Animista rifiuta di essere rimpiazzato da un altro.

Caterina Molteni: Superando la prospettiva della ‘Vita’, ha introdotto il concetto di ‘Non-vita’ (Nonlife), che è necessario pensare non come in contrapposizione alla Vita, per non ricadere così in un sistema binario di pensiero. La prospettiva della ‘Non-vita’ è ancora da costruire o possiamo già riconoscere questa struttura di pensiero in azione nella nostra società e più specificamente nel pensiero critico contemporaneo?

Elizabeth A. Povinelli: Credo dovrei cominciare chiarendo che cosa intendo con ‘Non-vita’. In inglese, Nonlife può riferirsi a due distinte specie di ‘assenza di vita’. Da un lato si riferisce a ciò che un tempo possedeva vita e adesso non ce l’ha più, come per esempio un cadavere o un fossile. Quando scrivo ‘Non-vita’ non mi riferisco alle spoglie mortali o ai resti di fossili. Morire, e avere la possibilità di farlo, rientra nell’ambito dei discorsi, delle politiche e dei sistemi economici della Vita. O, per metterla in altro modo, per possedere una vita è necessario che uno possieda in sé l’inevitabilità della morte (così Heidegger infila le qualità del Leben nella differenza con il Dasein). In Geontologies la Non-vita si riferisce alla roccia che include il fossile, al ghiaccio che conserva intatta la mummia. Presto i geologi riconosceranno che è quasi impossibile trovare rocce o minerali che non siano composti in parte da materiale biologico fossilizzato. Tuttavia credo sarebbe sbagliato affermare «Ahah! L’intera esistenza è una traccia della Vita». Sarebbe alquanto animista. Geontologies non pone la Non-vita all’interno di una relazione strutturale o dialettica con la Vita. Né si tratta di innalzare la Non-vita al di sopra della Vita. Se da un lato il volume insiste affermando che la strategia dell’Animista colonizza involontariamente l’esistenza estendendo le caratteristiche di base della Vita a ogni cosa, dall’altro sostiene che la Non-vita debba essere liberata dalla sua sovradeterminazione dalla Vita. La Non-vita ha bisogno di decentrare la Vita e diventare diversa dal suo semplice opposto.

Pertanto, da un lato Geontologies prova a rifiutare l’animismo e andare oltre il Virus. Rifiuta l’affermazione secondo cui l’intera esistenza debba essere interpretata come un possedere le qualità di ciò che in realtà costituisce soltanto una faccia della medaglia (nascita, crescita/riproduzione, morte, affectus/conatus/potentas, finitudine). Tuttavia tenta di sfuggire interamente a queste divisioni, piuttosto che innalzare la Non-vita attorno alla Vita. A questo punto possiamo ritornare a un gesto foucaultiano. Non possiamo intrometterci nelle strutture di potere solo scegliendo un lato o l’altro di una data organizzazione del potere. Dobbiamo piuttosto lavorare per sfuggire a questa scelta.

Inizialmente le proposte suoneranno paradossali, persino mistiche. Affermeremo cose come «Nulla è inerte ma non tutto è vitale». O l’animista e il totemista non sono l’Animista e il Totemista. O ancora, se una roccia è in grado di parlare, allora si tratterà di fonos e non di logos, non si tratta di un’incomprensione degli esseri umani ma di un rifiuto di trovarsi in una relazione sociale con questa o quella forma di umano-implicato-nel-mondo.

KABUL magazine – Compost. Riflessioni sull’ecocentrismo – 2017.

L’intervista è contenuta nel volume, edito da KABUL magazine, COMPOST. Riflessioni sull’ecocentrismo.

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di Caterina Molteni
  • Caterina Molteni è assistente curatore presso MAMbo Museo d'Arte Moderna e Contemporanea Bologna. Ha cofondato TILE Project Space nel 2014 e KABUL magazine nel 2016.