Antony Gormley, SLUMP II, 2019.
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Mask mask mask
Magazine, HYPER – Part II - Maggio 2020
Tempo di lettura: 10 min
Alessia Delli Rocioli

Mask mask mask

Quando non era ancora uno strumento quotidiano di assistenza sanitaria: la forma della maschera nell’immaginario contemporaneo, nell’arte, nella musica e nella moda.

Fig. 1 – Soldati al fronte, prima guerra mondiale.

 

Immaginazione al potere/Il potere dell’immaginario?

I motti sessantottini auspicavano, seguendo la lezione di Marcuse, l’estetizzazione della società,11Cf. H. Marcuse, L’uomo a una dimensione: l’ideologia della società industriale avanzata, Einaudi, Torino, 1968.
un’azione che avrebbe portato al cambiamento della coscienza generale e quindi alla “lotta di classe”. Oggi abbiamo i mezzi per farlo e l’abbiamo fatto. Viviamo nell’epoca del capitalismo estetico.22Cf. G. Lipovetsky, J. Serroy, L’estetizzazione del mondo, Sellerio, Palermo, 2017.
I media ci permettono di creare un gusto contemporaneo, un’attitudine particolare permea tutti gli strati della società e ci guida inevitabilmente nelle azioni che compiamo (un visual artist diventa il nuovo social media manager dell’azienda di scatolette di tonno).

Nell’estetica contemporanea una forma viene riproposta ciclicamente all’interno dell’immaginario collettivo, quella della “maschera”.33Nello specifico tratto di quelle maschere intrinsecamente negative, come la maschera antigas o il passamontagna.
Questo oggetto, intrinsecamente negativo, può essere interpretato come il segno di un rinnovato sentimento di guerriglia urbana, un elemento provocatorio, o è l’indice di una situazione di disagio e staticità, quella di chi vive in un’epoca postuma?44Cf. M. Garcés, il nuovo illuminismo radicale, Nutrimenti, Roma, 2019. Per la filosofa barceloneta c’è bisogno di un atteggiamento radicale per sovvertire quella che da società postmoderna è passata a essere una società postuma, perdendo quella fiducia nel futuro che spinge il mondo a migliorarsi (non risparmia le critiche anche alla società postmoderna).

Fig. 2 – Frame del film punk Jubilee, Derek Jarman, 1978.

Negli anni Settanta la maschera antigas entra a far parte dell’immaginario comune, utilizzata dagli artisti in un’ottica sempre antagonistica a quelle realtà di cui la maschera era parte integrante, e la vediamo protagonista di più copertine dei giornali di cronaca. La guerra chimica in Vietnam è un evento sconvolgente che porta la nuova società di massa ad accogliere nell’immaginario consumistico forme appartenenti all’immaginario delle guerre mondiali primonovecentesche [fig. 1]. Si inizia a diffondere un’atmosfera necrofila post boom economico, che verrà risolta negli anni Ottanta, l’idea è quella di una società che sta andando verso il collasso generale.55Cf. M. Belpoliti, S. Chiodi, G. Canova (a cura di), Anni Settanta. Il decennio lungo del secolo breve, catalogo della mostra, (La Triennale di Milano, 27 ottobre 2007 – 30 marzo 2008), Skira, Milano, 2007.

Intellettuali, visionari e artisti avviano un’aperta critica alla società schizofrenica che si divide tra terrorismo/Stato, democrazia/dittatura, masse/élite; così, in Dillinger è morto, film cult del 1969, la maschera fa irrealisticamente da sfondo alla vita giornaliera del protagonista. La scena iniziale del film si apre con un discorso esplicito in cui il regista, attraverso le parole di un personaggio secondario, evidenzia quelle che sono le critiche centrali all’uomo contemporaneo: «Per esempio, il fatto di sapere di dover portare la maschera non ti dà un senso di angoscia? L’introiezione di questi bisogni ossessivi e allucinatori non dà come risultato l’adattamento alla realtà, ma la mimesi, la massificazione, l’annullamento dell’individualità».

È un testo crudo, diretto, il regista Marco Ferreri, ci descrive un individuo che ha «trasferito il mondo esterno all’interno»,66Citazione del monologo di apertura del film Dillinger è morto.
trasponendo in film quello che avevano denunciato anni prima gli intellettuali del Gruppo 63: l’uomo contemporaneo non è più un uomo naturale, ma è un uomo che vive la sua vita giornaliera secondo gli alienanti (termine abusato ma insostituibile) ritmi industriali. Nel contesto cinematografico la maschera, in particolar modo quella antigas, è utilizzata come elemento persistente e straniante in altri lavori sperimentali: esemplare è la pellicola del 1973 Andrò come un cavallo pazzo di Fernando Arrabal, allegoria sanguinosa contro la società dei consumi. Qui il regista riesce a unire una feroce critica sociale a un’atmosfera surreale.

Un utilizzo mortifero dell’oggetto lo vediamo da parte di Vettor Pisani, nel suo lavoro Stampo virile, dove la maschera entra in conflitto con il volto da copertina patinata di una giovane modella.77Cf. F. Belloni, Stampo virile. Vettor Pisani e Claudio Abate nel 1970, «Memofonte», 21, 2018.
È interessante vedere come negli anni ’70, a causa di eventi straordinari quali le guerre e le stragi degli anni di piombo, tra l’ambiente artistico italiano si propaghi un’atmosfera di guerriglia senza precedenti: Piero Gilardi abbandona la professione, Carla Lonzi è la prima critica ad abbandonare il suo lavoro, dopo averlo criticato aspramente, per prendere la strada politica (sarà una delle firmatarie del Manifesto di rivolta femminile, insieme a Carla Accardi), Germano Celant proclama una critica-acritica, significative sono le opere fortemente negative di Gino De Dominicis e del sopracitato Vettor Pisani.

Elementi del vestiario estremo del sadomaso entrano a far parte dello street style del punk-rocker.

Fig. 3 – Rappresentanti della subcultura leather al pride londinese del 2008.

È evidente come lo scontro in quanto tale sia entrato appieno nell’immaginario collettivo dell’epoca, permeando ogni strato della società. La maschera antigas diventa un elemento rappresentativo del disagio e della lotta di quegli anni; orde in guerriglia si ribellano al potere egemone colpevole di lanciare il veleno che sta immobilizzando la società. Certo, c’è l’ideale a portare avanti la lotta, ma c’è soprattutto il sentore di una possibilità di riscatto grazie all’immaginazione, il mezzo che consente di sovvertire il modello imposto.

Queste forme di resistenza alla cultura egemone, negli stessi anni Settanta, iniziano a radicalizzarsi all’interno di frange minoritarie della popolazione, formando quelle che poi verranno chiamate subculture. Sarà in queste ultime a permanere l’atteggiamento di rivolta, espresso chiaramente attraverso la loro simbologia iconoclasta, una rivolta che tuttavia non crede più in una possibilità di riscatto. “No Future” sarà il motto della cultura punk, come testimoniato dall’omonimo pezzo dei Sex Pistols.

Nel 1971, al 430 di King’s Road, Vivienne Westwood e Malcom McLaren aprono un negozio che diventerà uno dei simboli della cultura punk: Let it Rock. Il negozio cambia spesso nome (Too Fast to Live, Too Young to Die (1972), SEX (1974), Seditionaries), la protagonista Vivienne è una ragazza del Derbyshire (cittadina tradizionalista inglese) che, arrivata a Londra, riesce a decostruire le forme dell’immaginario cittadino e crea una nuova estetica distruttiva. Vivienne costruisce uno stile attraverso varie suggestioni: dal tartan alla subcultura teddy boy, sino ad arrivare all’estetica sadomaso; ed è a quest’ultima che appartiene la forma della maschera antigas o balaclava. Elementi del vestiario estremo del sadomaso entrano a far parte dello street style del punk-rocker, un atteggiamento che si protrae sino agli anni ’90 trascinandosi con sempre rinnovato interesse nelle varie subculture. La maschera è un elemento fortemente connotato, invia un segnale ben preciso.

L’antropologo Ted Polhemus ci dice che il punk ha anticipato l’atmosfera postmoderna“…il punk ha anticipato l’atmosfera postmoderna” con il sopracitato motto No Future, e nel vestiario con citazioni di iconografie varie: dalle svastiche naziste al bondage, allo stile teddy boy.88Cf. T. Polhemus, Street Style from Sidewalk to Catwalk, Thames and Hudson, London, 1994.
Degli esempi li vediamo nello straordinario film punk Jubilee del 1977, girato da Derek Jarman in collaborazione con Amyl Nitrate (una delle figure che gravitavano attorno al negozio di King’s Road). Il film ci mostra segnali contraddittori che sono parte dell’identità della nuova generazione in lotta con i padri; il tempo alterato, un presente distrutto, il passato elisabettiano; in una delle prime scene all’interno di una periferia londinese appare la chiara scritta post modern ad avvalorare la tesi di Ted Polhemus [fig. 2].

Fig. 4 – Protagoniste del collettivo punk-rock femminista russo Pussy Riot.

Gli abiti sono un chiaro segnale di liberazione, una liberazione estetica, sessuale e sociale dalla morale borghese, è attraverso l’estetica che si condividono le idee e la propria visione del mondo. All’interno di Jubilee abbiamo una visione completa dello stile punk – letteralmente quattro soldi –, la filosofia è quella del riutilizzo di materiali culturali provenienti da svariati contesti, così vediamo: trucco pesante – Amyl Nitrate ha una decorazione alla Picasso sul viso –, vestiti militari, pettinature spinose, la cultura alta del tartan, della cravatta e del completo accostata a giubbotti di pelle, pantaloni e accessori fetish, ossi di pollo candeggiati e scritte dissacranti. La moda non è più dettata dalla classe egemone – la middle class –, gli stilisti, come la stessa Vivienne, traggono ispirazione dai fenomeni di rivoluzione che nascono nella working class; si inizia a formare uno stile fluido, bricolage, e il rischio è quello di far rientrare nel circuito commerciale i vari atteggiamenti, creando una loro versione mitizzata, un’estetica edulcorata, svuotata del potenziale sovversivo.

Fig. 5 – Una delle maschere di Junior Cally.

Negli anni successivi l’estetica punk-rock influenza nuove subculture: una di queste è la subcultura leather. L’estetica caratteristica dei leather [fig. 3], oltre al punk, guarda ai film di Peter Berlin, come Notti di pelle nera (1973); si tratta di una cultura che si sviluppa nella precoce Berlino degli anni Settanta e viene mostrata alla massa grazie al film Cruising del 1980. I leather mostrano uno spiccato senso identitario attraverso l’estetica. Partendo da una definizione della Storia della sessualità di Foucault, Romana Byrne definisce questo gruppo come una delle poche forme di sessualità estetica e, quindi, di ars erotica che sopravvivono alla scientia sexualis imposta in Occidente.99Cf. R. Byrne, Aesthetic sexualitiy: A Literaly History of Sadomasochism, Bloomsbury Academic, New York, 2013.
L’estetica in questo caso è sovversione.

Fig. 6 – Felicità tà tà, Raffaella Carrà, copertina disco di Canzonissima 1974.

È sempre il punk a essere di ispirazione per un collettivo di dieci artiste che si definiscono punk-rock femministe, le Pussy Riot [fig. 4]. L’obiettivo è quello di opporsi in modo radicale al sistema per condividere ideali di democrazia: la loro impresa più importante è stata quella all’interno della cattedrale di Cristo Salvatore, contro l’ennesima rielezione di Vladimir Putin nel 2012. Il vestiario caratteristico comprende vestiti eccentrici e balaclava colorati (per sostenere le femministe russe Kate Moss, Lily Allen, Erin O’Connor e Gareth Pugh hanno indossato la balaclava).

Nelle immagini più recenti la maschera si trasforma, permane il sentore di tossicità, ma nella forma diventa un elemento più fluido, adatto a essere un nuovo capo indossabile da un più ampio pubblico. Una visione estetica che per certi versi accomuna, negli ultimi tempi, i lavori di diversi brand di moda o icone contemporanee, come Myss Keta, i Daft Punk o Junior Cally [fig. 5], artisti che hanno fatto della maschera il loro accessorio per eccellenza; persino Beyoncé, nell’immagine ufficiale del suo On the run Tour, indossa una balaclava retata. Ma tornando indietro negli anni, anche Raffaella Carrà indossa una balaclava nella copertina dell’album Rumore [fig. 6].

Fig. 7 – Frame, Blanded future Fashion Show, Milano fashion week 2019 2020, Benetton.

In occasione dell’ultima fashion week milanese, Jean Charles De Castelbajac, nuovo Art Director di Benetton, propone la sua idea di futuro – blended future –, e accanto agli iconici colori – nel ’97 Jean Charles lavorava ai vestiti del papa sui toni dell’arcobaleno – alcuni modelli indossano maschere annichilenti che nascondono il volto, facendo emergere la fantasia del completo [fig. 7].

Ma Jean Charles non è il solo. Nell’ultimo anno anche Gucci [fig. 8], Marine Serre [fig. 9] [fig. 10] e Calvin Klein decidono di impiegare la balaclava per completare i loro outfit.

Fig. 8 – Frame, Fall Winter Fashion Show 2018 2019, Gucci.

Il nuovo “capo” è sempre più usato dalle personalità emergenti nel mondo della moda. In occasione della fashion week londinese del 2020, Richard Quinn ci mostra come essere eleganti senza mostrare il volto, con delle maschere chiuse e decorate “alla Castelbajac”. Casi emblematici sono anche quelli del brand milanese Adriana Hot Couture, che utilizza l’espediente della maschera anche per i filtri Instagram, e di Matty Bovan, che usa la balaclava e i segni sul volto come le protagoniste punk di Jubilee per completare outfit fluidi e contemporanei.

 

La maschera è allora il nuovo capo utile per vivere nella realtà contemporanea?

Oggi il processo più evidente celato dietro l’utilizzo della maschera non è solo nascondersi pirandellianamente per abitare la società, ma, nell’accezione più antica (quella teatrale), è diventare altro, essere altro o desiderare di essere altro; se i social oggi ci offrono la possibilità di costruire noi stessi, allora forse nella realtà mettersi una maschera potrebbe diventare la soluzione fisica per adattarci alla nostra immagine ideale.

Una realtà dove l’immaginazione rappresenta sÉ stessa in modo bulimico.

Fig. 10 – Frame, Fall Winter Fashion Show 2019 2020, Marine Serre.

Insieme a questo complesso processo di cambiamento dell’identità, è possibile vedere come gli artisti indossino la maschera in modo disinteressato. Più che alla guerriglia l’azione ci porta inevitabilmente a considerare la crescita del proprio hype come la motivazione primaria di questo gesto. Ciò è evidente nelle carriere di Myss Keta [fig. 11] e Junior Cally, dove la maschera è un’azione dettata dalla strategia di marketing, e quindi non più considerata come elemento straniante rispetto alla società, ma come un elemento che è parte della società stessa. Un elemento divertente e modaiolo che forse ci parla di quella società postuma, che attraverso le sue icone e le sue forme racconta in modo spasmodico una realtà permeata di dogmi apocalittici che non possiede un’idea di futuro a lungo termine, una realtà in cui la maschera diviene elemento utile alla sopravvivenza. Una realtà dove l’immaginazione non è più in grado di elaborare un modello alternativo ma rappresenta sé stessa in modo bulimico.

Fig. 11 – Frame del video Le ragazze di Porta Venezia – The manifesto, Fashion stylist Adriana hot couture.

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"Information is power. But like all power, there are those who want to keep it for themselves. But sharing isn’t immoral – it’s a moral imperative” (Aaron Swartz)

di Alessia Delli Rocioli
  • Alessia Delli Rocioli è laureanda in Storia dell’arte all’università di Torino, durante il triennio sviluppa un progetto di tesi sull’utilizzo dell’atto citazionale nel contesto dell’Arte Povera. Negli ultimi anni ha iniziato un percorso di studio interdisciplinare tra studi culturali, Antropologia e Storia dell’arte, un caso studio è stato pubblicato su Kabul magazine. Ha partecipato con un intervento sulla dimensione universale dell’opera di A. Burri nel catalogo "Alberto Burri e il grande Cretto di Gibellina" edito da Magonza editore in collaborazione con la Fondazione Burri.
Bibliography

F. Belloni, Stampo virile. Vettor Pisani e Claudio Abate nel 1970, «Memofonte», 21, 2018.
M. Belpoliti, S. Chiodi, G. Canova (a cura di), Anni Settanta. Il decennio lungo del secolo breve, catalogo della mostra, (La Triennale di Milano, 27 ottobre 2007 – 30 marzo 2008), Skira, Milano, 2007.
R. Byrne, Aesthetic sexualitiy: A Literaly History of Sadomasochism, Bloomsbury Academic, New York, 2013.
M. Garcés, il nuovo illuminismo radicale, Nutrimenti, Roma, 2019.
G. Lipovetsky, J. Serroy, L’estetizzazione del mondo, Sellerio, Palermo, 2017.
H. Marcuse, L’uomo a una dimensione: l’ideologia della società industriale avanzata, Einaudi, Torino, 1968.
T. Polhemus, Street Style from Sidewalk to Catwalk, Thames and Hudson, London, 1994.