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Il Numogramma Decimale

H.P. Lovercraft, Arthur Conan Doyle, millenarismo cibernetico, accelerazionismo, Deleuze & Guattari, stregoneria e tradizioni occultiste. Come sono riusciti i membri della Cybernetic Culture Research Unit a unire questi elementi nella formulazione di un «Labirinto decimale», simile alla qabbaláh, volto alla decodificazione di eventi del passato e accadimenti culturali che si auto-realizzano grazie a un fenomeno di “intensificazione temporale”?

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Hypernature. Tecnoetica e tecnoutopie dal presente

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Dinosauri riportati in vita, nanorobot in grado di ripristinare interi ecosistemi, esseri umani geneticamente potenziati. Ma anche intelligenze artificiali ispirate alle piante, sofisticati sistemi di tracciamento dati e tecnologie transessuali. Questi sono solo alcuni dei numerosi esempi dell’inarrestabile avanzata tecnologica che ha trasformato radicalmente le nostre società e il...

La trappola di Chiara Fumai
Magazine, PLANARIA - Part II - Giugno 2023
Tempo di lettura: 23 min
Silvia Bandera

La trappola di Chiara Fumai

Un luogo immaginario per ripensare il reale.

Lilith, alato e incoronato, con la coda di serpente, offre la mela ad Eva, da “Speculum Humanae Salvationis”, 1470.

Mostri e ibridazioni

In una conferenza del 2016 alla Zurich University of Arts,11La conferenza è pubblicata come video sul canale YouTube “ZHdK Fine Arts”, con titolo ZHdK Art Talks: Chiara Fumai, pubblicato il 24 gennaio 2017, visitato il 14 aprile 2023.
Chiara Fumai racconta la sua pratica a un pubblico di studenti, cominciando con questa immagine proiettata alle spalle. Si tratta di un’incisione medievale, di cui non chiarisce la provenienza e che spiega raffigurare Eva e Lilith prima della cacciata dal Paradiso. «Eva, sulla sinistra» – racconta – «è fondamentalmente la protagonista della storia dell’arte e della cultura; rappresenta il solo modo in cui immaginiamo la donna. Sul lato destro, invece – e un sorriso di pathos divertito la attraversa prima di pronunciarne il nome – Lilith».22Ibid.
 

È il personaggio di cui si è storicamente persa ogni traccia; l’archetipo cacciato non solo dal paradiso, ma anche dalle sacre scritture ebraiche e cristiane. Lilith, però, rappresenta la vera prima donna della storia, creata al fianco di Adamo ancora prima della venuta di Eva e, nel corso della storia, oscurata e ridotta a simbolo di negatività demoniaca. È legata all’aborto e alla masturbazione e per questo pensata come «madre della creazione e non solo della procreazione»,33Ibid.
prosegue Fumai, riassumendo con queste parole gran parte della propria poetica. 

La lotta alla procreazione, in senso figurato, è un elemento fondante della sua postura nei confronti del sistema dell’arte, che assume proprio la mordace definizione di “slavoro”44Chiara Fumai traduce il termine unwork da Valerie Solanas, SCUM Manifesto, The Olympia Press, London, 1971.
 per allontanare l’idea di mercificazione e i concetti – più generali – di conformità e linearità. Si tratta di una vera e propria strategia che sconvolge il modo di pensare l’identità all’interno del sistema: una scelta che non si limita al contenuto delle azioni performative, ma è estesa a un atteggiamento più ampio, spesso canzonatorio e di non facile comprensione. Per Chiara Fumai, lo slavoro corrisponde a un modo per rifuggire il possesso; un’attitudine che attraversa il linguaggio artistico con spirito conoscitivo, in modo da agire in una terra di mezzo libera dalle gabbie concettuali del pensiero univocamente razionale. Si genera, così, una dimensione magica, affrontata in modo straordinariamente ironico e smitizzante, che può essere intesa come punto di vista cosciente sul mondo; un’ibridazione tra vero e falso che ha caratteri controversi – a volte spaventosi – e sempre tesa in consapevoli contraddizioni.

Lo slavoro corrisponde a un modo per rifuggire il possesso

Tornando a Lilith, l’iconografia tradizionale la raffigura proprio con fattezze mostruose, che la escludono dall’idea di umana virtù: ha una coda di serpente – legata quindi al peccato originale – e ali che fanno da tramite tra terra e cielo. Ha anche una corona, che la rende governante del suo regno oscuro, e caratteri animaleschi che la pongono al pari di esso. «È la madre dell’Antimondo, ed è anche la mia musa»,55Ibid.
conclude Fumai. 

Il suo Antimondo è una visione alternativa, suggerita come via per smantellare i sistemi di pensiero istituiti e fissati nella tradizione occidentale; le forme di sapere sotto attacco sono quelle che si sono precluse la possibilità di aprirsi verso scenari imprevisti, basate su una lettura dualistica del reale che ha polarizzato e respinto un elenco di ben precise caratteristiche legate all’idea del femminile. La rigidità di una simile impostazione è da sempre un ostacolo verso le potenziali metamorfosi in grado di arricchire la realtà di punti di vista differenti, di fatto taciuti da secoli di storia. La risposta è un sé implicato,66Il termine, tradotto da impliqué, viene usato da Benedikte Zitouni – in riferimento agli studi di Isabelle Stengers, Donna Haraway e Vinciane Despret – per definire saperi scientifici che siano in contatto responsabile con il mondo materiale; in Benedikte Zitouni, Héritières de la Révolution scientifique: d’autres figures et manières de faire science, in «Nouvelles Questions Féministes», Vol. 40, Éditions Antipodes, 2021/2.
situato, irriverente; un sé mostruoso, che spaventa per la sua imprevedibilità, che sfugge alla comprensione e fa di questo la sua identità primaria: un’identità di mezzo.

Diverse voci cardine del pensiero ecofemminista parlano di identità ibridate, in grado di costituire un sé a partire dall’unione di diverse parti; una di queste è la mestiza, teorizzata da Gloria Anzaldúa77Gloria Anzaldúa, Borderlands / La Frontera. The new Mestiza, aunt lute books, San Francisco, 1987.
e ripresa più tardi da Donna Haraway.88Donna Haraway, Modest Witness@Second Millenium. FemaleMan Meets OncoMouse: Feminism and Technoscience, Routledge, New York, 1997.
La mestiza – traducibile con il termine meticcia – è il risultato dell’ibridazione tra più caratteri che dimostrano realtà possibili anche al di fuori delle categorizzazioni astratte; mescola diversi valori culturali e spirituali, risultandone come in un costante stato di nomadismo e contraddizione:

«Percependo la lacerazione tra i due mondi, la mestiza è schiava di una lotta con la propria carne, con i confini; vive una guerra interna. La realtà che vive è quella che le è comunicata dalla cultura, e lo scontro tra messaggi multipli e spesso in opposizione genera un’identità incerta e sofferente. […] Ha scoperto che non è in grado di trattenere concetti o idee tra confini rigidi».99Anzaldúa, cit.

La mestiza si muove, così, tra pensieri sbrigliati che schivano le formazioni abituali del pensiero convergente; si libera dai vincoli di una razionalità in moto verso un singolo scopo, abbracciando una prospettiva del tutto nuova. Ciò che ne nasce è un’identità frammentata, in grado di legare più e più voci per ripensare un individuo mobile, frutto della loro interazione.

La resistenza culturale all’interno dell’io

L’opera di Chiara Fumai è interamente basata sulla congiunzione di diverse voci: un dialogo, più o meno stratificato, con le muse, i fantasmi che ne animano il pensiero; un’occupazione collettiva e rivoluzionaria a cui lei stessa apre il proprio corpo come spazio di parola e d’azione. Il rapporto che intrattiene con loro è quotidiano e vitale: frequenta ardentemente le sue eroine, ne studia la vita, gli scritti, stabilisce con esse un rapporto nato da una folgorazione. Lei stessa, spesso, si diverte a descrivere quegli incontri come scelti da loro, piuttosto che ricercati da lei.

Le sue muse parlano di vite tese a respingere il ruolo che hanno subito“…Le sue muse parlano di vite tese a respingere il ruolo che hanno subito”, spesso nell’impossibilità di costruire e far emergere un’identità autonoma, e nell’urgenza di farlo attraverso il contrasto, la distruzione. Lo stesso corpo ospitante di Fumai – come una casa infestata1010Milovan Farronato la definisce così in diverse occasioni.
– posiziona la sua pratica all’interno di uno spazio sovversivo del contesto istituzionale; si tratta di una rinuncia all’autorità individuale, una posizione sempre in movimento, sebbene stabile e situata. Il tipo di rapporto che la lega alle sue molteplici identità è paragonabile a quello tra un curatore e i suoi artisti, ripercorsi in modo libero, remixati, per restare fedeli al passato musicale che ha inciso sull’intera pratica successiva. «Questi personaggi nascono per costituire un braccio armato al servizio della Rivoluzione Surrealista»:1111Rita Selvaggio, intervista a Chiara Fumai, 2 settembre 2015.
una rivoluzione che consiste in un’operazione di ribaltamento e di infiltrazione nello spazio istituzionale. Si può affermare che Chiara Fumai consacri a questo fine ultimo tutta la sua pratica, spesso ribadendo un’aderenza innata all’idea di deculturizzazione di Carla Lonzi, che affronta non solo sul piano del contenuto, ma anche nel modo di pensare e vivere le sue operazioni artistiche. La sua intenzione è quella di instillare un elemento di discontinuità nella linearità del contesto istituzionale e di celarlo bene al suo interno, in modo che sia arduo riconoscerlo, a meno di non decidere di entrare in sintonia con la vena umoristica e dissacrante del gesto; si tratta di provare l’«assenza della necessità di qualsiasi ideologia»1212Vedi nota 1, frase inserita in una diapositiva di presentazione, in riferimento alla parola Deculturization. Tradotto dall’originale «the lack of any need for ideology at all».
e, aggiungo, l’insufficienza di qualsiasi costruzione culturale. Dopotutto, «“Occuparsi di” è arroganza intellettuale»,1313Carla Lonzi, Io dico Io, introduzione a La presenza dell’uomo nel femminismo, Scritti di Rivolta Femminile, Roma, 1971.
dice Lonzi.

«Vivere l’opera d’arte in maniera totale sia un modo intenso e generoso di stare al mondo»

Essere pervasa interamente dal proprio agire, seguire il forte richiamo all’autenticità, d’altro canto, è parte fondamentale di ciò che rende Chiara Fumai l’artista che è: «Credo che vivere l’opera d’arte in maniera totale sia un modo intenso e generoso di stare al mondo»,1414Da un’intervista di Antonella Marino, in Antonella Marino, Maria Vinella, Keywords. Decalogo per una formazione all’arte contemporanea, Franco Angeli, Milano, 2016.
dice in un’intervista. E lei, questo, l’ha fatto fino in fondo: si è resa una sola cosa con il suo pensiero, l’ha incarnato e vi si è dedicata come secondo un’urgenza, sposando le cause delle sue ispiratrici al punto da condividerne i tormenti. I livelli di profondità attraverso cui la metamorfosi avviene sono diversi e appartengono a ben precise sfumature della sua visione artistica, spesso complesse da identificare.

Eusapia Palladino.

Chiara Fumai è Eusapia Palladino

Delle muse che entrano a far parte della vita di Chiara Fumai, Eusapia Palladino può dirsi la figura che ne fa da fil rouge all’immaginario. Non è un caso che sia  proprio lei a guidare le altre identità in The Book of Evil Spirits: uno dei lavori più tardivi, che riassume i precedenti. A unirle, oltre al sentimento di familiarità dovuto alle origini comuni, è l’intensa ammirazione nutrita da Fumai per le sue imprese. 

Eusapia Palladino – spesso descritta come analfabeta – è la medium che, dalla provincia barese, arrivò fino alla corte dello zar di Russia per provare le proprie facoltà paranormali; mise in crisi parte della comunità scientifica di inizio Novecento, che affrontava le sue sedute spiritiche come veri e propri esperimenti. Quello che emerse – sebbene in modo ambiguo –, solo verso la fine di una brillante carriera, fu che si trattava in realtà di trucchi ben architettati: Eusapia era sposata a un prestigiatore ambulante, ed era in possesso di diversi stratagemmi che le permettevano di inscenare illusioni convincenti. Uno dei trucchi consisteva nel mimare la levitazione del tavolo sollevandolo con mani e piedi; altri simulavano manifestazioni spiritiche con sagome di carta e altri ancora con calchi in gesso creati nei momenti di buio. «Ecco il mio preferito: le mani che escono dalla tenda nera»,1515Vedi nota 1.
dice Chiara Fumai, divertita, al suo pubblico di studenti. 

La scaltrezza di Eusapia Palladino è sorprendente, tanto che il suo operato, sebbene ormai smascherato, può ancora essere fonte di ammirazione. Con l’indubbio contributo di Fumai, Eusapia è arrivata persino all’ultima Biennale di Venezia, e in qualità di artista. Rivalutarne il ruolo di donna delinquente – un tema comune a molto femminismo – come espressione di una creatività femminile è proprio il portato politico di Chiara Fumai;1616Da una conversazione inedita con Francesco Urbano Ragazzi, il 18 gennaio 2023, a Milano.
un contributo che aiuta a ripensare i confini dell’istituzione e della definizione in sé di artista, in un modo che entra generosamente in contatto con la vita personale attraverso uno stratificato sistema di identificazioni. 

Metodo usato da Eusapia Palladino per liberarsi una mano durante le sedute, secondo Torelli Viollier.

È possibile immaginare che Fumai, oggi, sarebbe entusiasta dell’insperato successo artistico di Eusapia Palladino, nonostante il rischio di scivolare in una manovra che assecondi le tendenze del momento e, quindi, ne comprometta il risultato; quello dei saperi spiritici è un argomento che risponde ampiamente alle mode attuali, già intuite da Fumai e, in molti casi, da lei abilmente aggirate. 

Reclaim, o vestire i panni della strega

Il rapporto di Chiara Fumai con l’esoterismo è di complessa comprensione, e spesso è motivo di rischiosi fraintendimenti che negli ultimi anni non hanno potuto che rafforzarsi. In Fumai, l’aspetto spirituale e quello politico – persino razionale – si intrecciano, si sfidano, sono in continua compenetrazione e si arricchiscono a vicenda. Come in tutta la sua opera, non è facile individuare i confini entro cui questa sottile operazione avviene. La sua lotta alla costruzione di nuove prospettive può essere letta nel contesto di un più ampio tentativo di ricostruzione del linguaggio, di cui è ancora una volta l’eredità storica femminista a forgiare le basi. Ripensare il linguaggio per “re-incantare il mondo”:1717Il termine è preso da Silvia Federici, Peter Linebaugh, Re-enchanting the World. Feminism and the Politics of the Commons, PM Press, Oakland, CA, 2019.
 è in questa cornice che si inseriscono alcune nascenti intuizioni che ricercano il legame tra la lotta femminista e il magico, sotto nuove prospettive che ne rispecchino la complessità. 

Isabelle Stengers sostiene che, a tal proposito, potrebbe rivelarsi indispensabile riesumare concetti compromessi dal pensiero comune e relegati alla sola dimensione metaforica, per reclamarne la legittimazione in un campo d’azione più ampio; uno di questi è, per l’appunto, quello di magia. Riuscire ad aprire il termine verso nuove sfumature di significato permetterebbe, al contempo, di generare un trauma nel linguaggio e di riformare i rapporti tra soggetti con le relazioni di potere che ne conseguono. Da un simile punto di vista, infatti, il termine magia non soltanto suggerirebbe l’esperienza di un essere agiti, più che di un agire – elevando di fatto il pensiero animistico a forza rigeneratrice della cultura – ma verrebbe liberato dal retaggio del passato, dallo stigma degli “inquisitori” che ancora oggi esercita un senso di timore: «Thou shall not regress!».1818Isabelle Stengers, Reclaiming animism, «e-flux Journal», Issue #36, July 2012.

Chiara Fumai, “Shut Up, Actually Talk”, 2012, Zalumma Agra. Photo: Blerta Hocia. Courtesy The Church of Chiara Fumai.

Quella di Stengers è un’analisi che attinge dagli scritti di Starhawk, autrice e strega contemporanea impegnata in lotte ecofemministe dalla fine degli anni Settanta, il cui pensiero è una costante ricerca di strumenti di rivoluzione per pensare l’esistente, anche nella forma stessa della sua scrittura. Nel cercare nuovi modi per schivare la tradizione della razionalità astratta, Starhawk adotta quella che può essere considerata come scrittura animista: una forma poetica che vive per metafore, immagini che riescano a guidare un pensiero distante da costruzioni ideali. Il suo alfabeto si muove per codici e corrispondenze suggerite dal mondo materiale, portali per aprire la narrazione verso potenziali trasformativi della realtà.  

Stengers analizza questo moto di riforma del linguaggio come via per risanare un “milieu inquinato”1919Stengers, ibid.
 dalle interpretazioni dogmatiche abituali; un modo per liberarlo e introdurvi saperi ancorati ai fatti materiali, che si muovono nella potenza dell’immagine. Una forma di scrittura ispirata da questa volontà sarebbe, allora, anche in grado di ripensare il soggetto nel suo rapporto con altre identità agenti. Nello stesso testo, Stengers affronta il discorso in modo più dettagliato, questa volta dialogando con gli scritti di David Abram:

«Propongo che l’esperienza della scrittura (e non della trascrizione)2020Nel testo originale si usa il termine writing down.
sia contraddistinta dalla stessa cruciale indeterminatezza della luna in danza. […] La scrittura è un’esperienza di trasformazione metamorfica. Fa pensare che le idee non siano dell’autore, che richiedano una qualche contorsione mentale – ossia, corporea – che vanifica ogni intenzione preesistente. […] Si può persino dire che la scrittura sia ciò che dà alle energie trasformative un particolare stato di esistenza – quello delle idee».2121Isabelle Stengers, cit.

Si suggerisce, così, una soluzione per far tornare a brillare di luce lunare saperi troppo prepotentemente rischiarati, senza per questo perderli o negarli; l’essere animati da un pensiero mobile, fluido, che attraversa più voci rimanendo situato, rende possibile un’esperienza della scrittura come luogo in cui generare conoscenza, riscoprendosi animati da altro. L’atto del narrare – o, più in generale, del produrre idee – può così divenire un’esperienza profonda del significato del mondo, senza necessariamente ricadere in strutture gerarchiche e in una fissità dei concetti; può rivelarsi un atto che preserva l’accortezza del lasciarsi attraversare, evitando al contempo il pericolo di rendersi passivi.

Il fuoco è sulla necessità di trasportare il pensiero immaginativo all’interno del regno del pragmatismo e, soprattutto, del coltivare nuovi modi per affacciarvisi, anche passando attraverso visioni e simboli. Una delle possibili chiavi di lettura è l’idea di “reclaim”:2222Starhawk, The spiral dance: a Rebirth of the Ancient Religion of the Great Goddess, Harper, San Francisco, 1979. In questo testo, Starhawk introduce il Reclaiming Collective, un gruppo di attiviste che negli anni Ottanta in California partecipò ad azioni non violente, soprattutto intorno alla questione del nucleare, e che gradualmente approdò a pratiche di rituali e stregoneria.
 un termine che deriva dal pensiero di movimenti neo-pagani e che affronta su più piani l’atto di riappropriazione e riabilitazione, attraverso il recupero di figure come quella della strega. 

5. Chiara Fumai, “Shut Up. Actually,Talk (The world will not explode)”, 2012. Photo: Henrik Strömberg. Courtesy The Church of Chiara Fumai.

L’immagine della Dea evocata dalle streghe contemporanee nei loro rituali, per esempio, non pone di fronte alla scelta di accoglierla o meno come veritiera, ma sfida a entrare in un assetto di pensiero che dia valore al potere dell’immagine in sé e alle realtà che ne conseguono. «Se dicessimo loro: “Ma la vostra Dea è solo una finzione” senza dubbio sorriderebbero e ci chiederebbero se siamo tra quelli che credono che la finzione non abbia alcun potere».2323Stengers, cit.

La parola magia, dunque, oltre a produrre uno shock come elemento di disturbo nella routine dei termini abituali, permette di entrare in nuovi paradigmi di descrizione della realtà, attraverso forme di conoscenza incuranti del confine tra reale e fittizio. I possibili tentativi di classificazione e riduzione di questo processo di riapertura altro non fanno che legittimarlo e spronarlo ulteriormente: «Tutto ciò che provoca shock, ilarità, che scatena domande come “ma tu credi davvero in…?” fa parte del reclaim».2424Ibid.

Chiara Fumai, “Shut Up. Actually,Talk (The world will not explode)”, 2012. Photo: Blerta Hocia. Courtesy The Church of Chiara Fumai.

L’immagine delle sorellanze spiritiche 

Molti aspetti della pratica di Chiara Fumai sono da leggersi proprio in questa cornice; rivestire i panni delle streghe ha per lei una duplice funzione: rivendicare i saperi oscurati a esse legati e, allo stesso tempo, instillare un elemento di sfida verso il pubblico, invitato a cogliere il grado di simulazione di quanto viene mostrato. Le performance di Fumai generano uno spazio a cavallo tra realtà e finzione – o, meglio, uno spazio in cui distinguere le due cose diventa arduo – dove immagini e simboli aprono nuove possibilità di scoperta. Ed ecco che l’azione del riattraversare passa sotto lo sguardo stregato delle sorellanze spiritiche: una dimensione che concepisce il corpo come luogo di discussione e in cui l’elemento magico ha un ruolo ben preciso; il sapere occulto si rivela qui come qualcosa di profondamente consapevole, quasi elevato a strumento analitico, senza perdere per questo la sua natura mistica.

Nel chiarire la sua posizione al riguardo, Fumai è irremovibile sul fatto che la sua pratica non sia da leggersi come un modo per indagare l’esoterismo attraverso la performance – «sarebbe molto ingenuo», dice – ma viceversa: «Mi sento comoda nell’esplorare e riformulare i valori culturali e sociali, grazie al mio interesse per diversi tipi di conoscenza occulta».2525Manuel Olveira (a cura di), Conferencia Performativa. Nuevos formatos, lugares, prácticas y comportamientos artísticos, MUSAC / This Side Up, Madrid, 2014, p. 115.
Si tratta di una conoscenza che, in qualche modo, ha sempre fatto parte della sua vita, sin da bambina; lo racconta in una delle rare conversazioni che affrontano la questione alla radice: «Ho passato la mia infanzia in un collegio di gesuiti e so che questo potrebbe spiegare molte cose, visto che ne sono uscita anarchica»;2626In Corinna Conci, Il reale è mistero, «Espoarte Contemporary Art Magazine», 19 febbraio 2015.
un’esperienza che le ha donato da subito una certa dimestichezza con simboli e archetipi, che ha trascinato poi nella sua pratica artistica. È indubbio che una simile formazione abbia contribuito all’emergere di una pratica che fa dell’interpretazione metafisica della realtà una forma d’arte iniziatica.

Un atto artistico mosso da radici così profonde e personali porta rapidamente a pensare a qualcosa di gravoso, a un intento rivelatore in stretta correlazione con la vita privata e da cui è facile risultare intimoriti; ma le possibili letture del lavoro di Chiara Fumai sono molteplici e stratificate su più livelli – che vale la pena tentare di districare – così da rendere l’esoterismo e le conoscenze teosofiche aspetti solo secondari alla sua ricezione e sicuramente ad alto rischio di fraintendimento. Osservato come espediente linguistico, l’occultismo si rivela in realtà l’alfabeto per un discorso estremamente terreno: la dimensione politica dell’opera è il perno che sposta il linguaggio magico in un contesto molto più ampio e complesso di quello di pura natura esoterica. Si tratta di un’impronta spirituale che si muove liberamente nell’esplorare il linguaggio artistico, fino a farlo convergere in interrogativi pratici su questioni culturali. In questa cornice, lo schema base di rottura del pensiero dualista finisce per rappresentare sia l’intenzione stessa di sovversione culturale, sia il modo per compierla attraverso il recupero dei caratteri femminili rifiutati, proprio ripartendo dalle proprie origini. 

Chiara Fumai nei panni di Annie Jones, durante Documenta 13, 2012. Foto: Milovan Farronato. Courtesy Archivio Chiara Fumai.

Per le muse di Chiara Fumai, tornare ad avere una propria voce attraverso il suo corpo significa avere la possibilità di esistere in quanto soggetti autonomi e parlanti, la possibilità di determinarsi che non hanno avuto in vita; in modo speculare, prendere in prestito la loro voce equivale ad aprirsi a nuove visioni, nuovi valori mai azzardati prima o, meglio, che non hanno mai avuto riconosciuta una possibilità di esistenza.

Riattraversare le voci delle streghe significa, quindi, tentare di «abitare di nuovo le zone d’esperienza devastate»2727Philippe Pignarre, Isabelle Stengers, La sorcellerie capitaliste. Pratiques de desenvoutement, La Découverte, Paris, 2005, p. 185.
e inseguirle per fare tesoro dei loro saperi oscurati. I modi in cui questa appropriazione accade hanno l’ardore di abitare lo spazio tra l’incomprensibile e il ridicolizzato dal pensiero comune; mirano a riconquistare una nuova logica riformata e con questa reclamare credibilità: un’operazione delicata – in quanto il rischio di venire inglobati dal sistema che si cerca di combattere è alto – ma non senza via d’uscita.

L’inaspettato ruolo dello humour

Un’analisi accurata è affrontata da Benedikte Zitouni, in una lettura incrociata su più sguardi del pensiero femminista in rapporto alle scienze. Zitouni, guardando a Donna Haraway, Isabelle Stengers e Vinciane Despret, si chiede come pensieri alternativi all’interno della comunità scientifica abbiano cercato di dare una scossa alla fissità inalterata da secoli. Nel farlo osserva, per esempio, il ruolo giocato dallo humour nell’affrontare tematiche particolarmente cruciali. Ascoltare il lato ironico di certe questioni è, nelle parole di Zitouni, «un modo per confermare che il mondo vivente non si lascia ridurre a previsioni e manipolazioni»;2828 Zitouni, cit., pp. 35-51.
un’affermazione affilata, consapevole del fatto che per riordinare secoli di sapere scientifico occorra mobilitare aree del pensiero ancora inesplorate. La nuova ricercatrice si rende capace di ascoltare al di fuori della comprensione, verso mondi radicalmente diversi che, nonostante siano molteplici e tra loro differenti, risiedono tutti al di fuori degli schemi riduttivi della visione umana; è per questo che tutte e tre le autrici citate nel saggio di Zitouni – e a loro si potrebbe aggiungere Chiara Fumai – ricorrono all’uso di metafore, controfigure narrative per interrompere la linea retta del pensiero e introdurvi degli elementi di discontinuità.

L’ironia è un aspetto che attraversa l’opera di Fumai sin dagli inizi e che va affinandosi con l’emergere delle tematiche controverse della fase che può definirsi più matura, sebbene potenzialmente ancora aperta a mutamenti. Sarebbe del tutto impossibile leggere le sue opere senza tenere conto dello sguardo profondamente ironico che le trascina ed è in grado di destabilizzare la percezione di chi guarda; si pensi, per esempio, allo stesso concetto di slavoro che le lega. Il lato umoristico – a volte sottostimato – che permea le intenzioni della sua ricerca è proprio ciò che, spesso, le permette di inserire elementi discordanti in contesti in cui non le sarebbe concesso di farlo con altri mezzi, finendo così per aprire innumerevoli chiavi di lettura che rendono lei stessa e le sue azioni mai del tutto afferrabili. 

Uno degli aspetti più sorprendenti della presenza mediatica di Fumai è proprio il suo essere multiforme: nelle interviste e nelle presentazioni pubbliche se ne scorge un lato sempre diverso, a seconda del luogo e dell’interlocutore; è anche per questo motivo che potrebbe essere complesso identificarla, a meno di non interpretarla con molta più ironia e leggerezza di quanto sembri necessario a primo impatto. 

Quando è il momento di descrivere le sue possessioni, Chiara Fumai si immerge quasi del tutto nella propria finzione e, dalla sua posizione di artista, si concede digressioni fantastiche sui legami spiritici che coinvolgono lei e i suoi personaggi. Si tratta, anche in questo caso, di un puro espediente linguistico, un registro che sceglie di assumere; lo stesso registro che prende la forma performativa. I suoi freak show diventano spettacoli ambivalenti ed estrosi che, oltre a soddisfare le aspettative feticistiche, finiscono per confluire in una reale sensazione di minaccia, in cui lo spettatore è portato a perdere di vista la vera Chiara Fumai e a identificarla con qualcosa di spaventoso; trasportato in una dimensione incerta e ambigua, viene infine messo alla prova nel cogliere il meccanismo sotterraneo di consapevolezza della performance stessa. La finzione è quindi elevata a strumento trasformativo: uno spazio immaginario in grado di avere effetti tangibili sulla realtà e di risvegliare un mondo magico e inconscio attraverso un intricato sistema di rapporti con il vero; è il potere del racconto, questa volta performato attraverso il corpo.

Quello di Fumai è un gioco della possessione che rischia, infine, di farla scivolare nella totale incomprensione; eppure, questo gioco ambiguo l’ha tenuto fino in fondo, e coraggiosamente. Il suo assumere il fardello della strega è una decisione onerosa, che ricade nell’atto di risputare addosso alla storia quello che le ha dato; non è un caso, infatti, che sputare faccia parte della sua gestualità performativa. In questo gesto, Fumai mette tutta sé stessa, la sua reputazione e la sua vita artistica: è l’atto di generosità di cui lei stessa parla,2929Vedi nota 14.
ed è in questo senso che Chiara Fumai è le sue eroine, e viceversa. Le loro anime ribelli rappresentano la reale impossibilità di essere riconosciute in quanto soggetti pensanti; nel riattraversarle e nel ricadere nella loro ambiguità, Fumai dimostra l’attualità dello stereotipo della donna isterica che, quando non è la folle, l’ingestibile, è – ancor peggio – il tramite di una presenza ultraterrena.3030Francesco Urbano Ragazzi, The demon-possessed woman, in conversation with Francesco Urbano Ragazzi, in Chiara Fumai. LESS LIGHT, catalogo della mostra a cura di Kari Conte e Francesco Urbano Ragazzi (New York, ISCP – International Studio & Curatorial Program, 12 febbraio – 17 maggio 2019), International Studio & Curatorial Program, 2019.

Chiara Fumai, “Shut Up, Actually Talk (The World Will Not Explode)”, 2012, schizzo preparatorio. Courtesy The Church of Chiara Fumai. Chiara Fumai, “Chiara Fumai reads Valerie Solanas”, 2013, Slide da presentazione. Courtesy The Church of Chiara Fumai.

La trappola di Chiara Fumai?

Eppure, l’intento di Chiara Fumai può dirsi semplicemente quello di aprire il linguaggio a nuovi punti di vista trascurati: in un simile discorso, la questione del magico nella sua opera ha questo e, forse, nessun altro scopo. Dietro una lente analitica che ne riscopre le potenzialità narrative e poetiche, la magia viene posta come visione alternativa e valida, che solo il terreno artistico è in grado di far veramente attecchire; ha luogo, così, una sorta di riassetto delle carte in tavola a cui bisogna, però, prestare molta attenzione per scoprirne i risvolti rivoluzionari. Occorre lasciarsi sedurre dal potere evocativo del surreale per andare incontro a una visione profonda della realtà, essere pronti a lasciare andare la propria solidità per trovare nuovo nutrimento per la mente.

D’altronde, che cos’è l’arte, se non un modo per proporre visioni alternative della storia, della società, della cultura e dell’arte stessa,3131Olveira, cit., p. 117.
e per porre domande che sarebbero impossibili da formulare attraverso altri alfabeti?

«Forse l’arte non può cambiare il mondo (nonostante io pensi il contrario), ma senza dubbio è uno spazio in cui è possibile formulare valori alternativi. Se l’arte è ben concepita, prima o poi questi valori finiranno per influenzare il mondo esterno.

[…] Non [si fraintenda il mio] come un atteggiamento snob dettato dalla stupidità di un’eterna bambina, ovvero un’emerita idiota. Sono lucidissima. Semplicemente mi piace la leggenda, e per questo motivo cerco di evitare le tautologie. Ancor più della leggenda, mi piacciono l’epica e la dimensione surrealista, perché raccontano la realtà per quello che è. Rotonda».3232Domenico Carelli, In Art – Intervista a Chiara Fumai, «Info Oggi», 22 febbraio 2015.

Ecco, dunque, i risvolti pratici e politici della finzione – forse il centro della potenza dell’opera di Chiara Fumai. Il linguaggio artistico, il solo in grado di leggere l’esistente nella sua totalità, può trasformarsi in un acuto strumento di espressione delle forme poco leggibili della realtà.

Chiara Fumai per Vogue Ukraine, 2015, foto: Alessandro di Giampietro. Courtesy The Church of Chiara Fumai.

Ciò che può essere utile è scavare in profondità in quello che già esiste, ripercorrere il portato storico con lo sguardo rinnovato utile a spezzarlo. Si tratta di un meccanismo altamente cosciente e, in un certo modo, raffreddato, nonostante le radici siano profondamente sentite. Attingere agli ambiti culturali che non sono stati espropriati dalla cultura dominante e affidarli a una logica riformata è uno strumento salvifico e di liberazione, che agisce sia come chiave interpretativa del mondo scevra da inquinamenti iper-razionalistici, sia come modo per ripartire dalle proprie origini per poter passare al contrattacco:

«Non sono qui per convertirvi alla stregoneria, non mi interessa per niente, ma credo che possa essere interessante mostrarvi come certi punti di vista hanno un effetto sulla pratica altrui; dunque, la magia non è solo qualcosa di irrazionale, ma ci sono alcuni elementi in grado di nutrire davvero il mondo, l’anti-mondo che l’arte può costruire».3333Vedi nota 1.

Nelle parole di Chiara Fumai c’è una forte volontà di riscatto, come a voler dimostrare quanto di assennato si possa trovare nel pensiero spirituale. Non c’è dubbio che questa profonda convinzione – portata avanti con gravità e spontaneità insieme – possa però tramutarsi in terreno minato: tanto è lo stravolgimento che è in grado di portare, quanti sono gli ostacoli in cui è possibile che incorra; e questo non solo per via della difficoltà interpretativa che un tale territorio genera – agevolata dalla posizione ambigua che Fumai continuamente ricerca – ma anche per la sua complessità in sé.

Conversando con persone professionalmente e personalmente vicine alla sua pratica,3434Da conversazioni inedite con Guido Costa (Torino, 11 febbraio 2023) e Antonella Marino (Bari, 22 febbraio 2023).
sembra trasparire una Chiara Fumai che, nell’ultimo periodo, aveva sentito la necessità di alleggerirsi delle tematiche spiritistiche per tornare in un campo d’azione che comportasse meno rischi interpretativi – o, almeno, che questi fossero più agilmente gestibili. Senz’altro, questa decisione avrebbe contribuito, nel tempo, a un’immagine di Chiara Fumai alleggerita, forse agevolando una lettura più veritiera del suo lavoro, emancipata dai risvolti così fortemente irrazionali dietro cui spesso si è abituati a relegarla. 

Affilata, a tratti strategica, l’opera di Chiara Fumai circoscrive un territorio delineato in modo preciso, forte di una consapevolezza rara; per intuirla, serve solo che le si dedichi lo sguardo attento che merita.

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di Silvia Bandera
  • Silvia Bandera è una ricercatrice indipendente interessata agli intrecci tra arti performative, studi di genere e spiritualità. Dopo un percorso triennale in Arti Visive, si diploma in Visual Cultures e Pratiche Curatoriali all’Accademia di Belle Arti di Brera, con una tesi sperimentale sull’archivio di Chiara Fumai, progetto tutt’ora in prosecuzione.
Bibliography

Gloria Anzaldúa, Borderlands / La Frontera. The new Mestiza, aunt lute books, San Francisco, 1987.

Domenico Carelli, In Art – Intervista a Chiara Fumai, «Info Oggi», 22 febbraio 2015.

Corinna Conci, Il reale è mistero, «Espoarte Contemporary Art Magazine», 19 febbraio 2015. 

Silvia Federici, Peter Linebaugh, Re-enchanting the World. Feminism and the Politics of the Commons, PM Press, Oakland, CA, 2019.

Francesco Urbano Ragazzi, The demon-possessed woman, in conversation with Francesco Urbano Ragazzi, in Chiara Fumai. LESS LIGHT, catalogo della mostra a cura di Kari Conte e Francesco Urbano Ragazzi (New York, ISCP – International Studio & Curatorial Program, 12 febbraio – 17 maggio 2019), International Studio & Curatorial Program, 2019.

Carla Lonzi, Io dico Io, introduzione a La presenza dell’uomo nel femminismo, Scritti di Rivolta Femminile, Roma, 1971.

Antonella Marino, Maria Vinella (a cura di), Keywords. Decalogo per una formazione all’arte contemporanea, Franco Angeli, Milano, 2016.

Manuel Olveira (a cura di), Conferencia Performativa. Nuevos formatos, lugares, prácticas y comportamientos artísticos, MUSAC / This Side Up, Madrid, 2014.

Philippe Pignarre, Isabelle Stengers, La sorcellerie capitaliste. Pratiques de désenvoûtement, La Découverte, Paris, 2005.

Rita Selvaggio, intervista a Chiara Fumai, 2 settembre 2015. https://flash—art.it/article/chiara-fumai/

Starhawk, The spiral dance: a Rebirth of the Ancient Religion of the Great Goddess, Harper, San Francisco, 1979.

Isabelle Stengers, Reclaiming animism, «e-flux Journal», Issue #36, July 2012.

Benedikte Zitouni, Héritières de la Révolution scientifique: d’autres figures et manières de faire science, «Nouvelles Questions Féministes», Vol. 40, Éditions Antipodes, 2021/2. 

Intervista inedita a Francesco Urbano Ragazzi, Milano, 18 gennaio 2023.

Intervista inedita a Guido Costa, Torino, 11 febbraio 2023.

Intervista inedita a Antonella Marino, Bari, 22 febbraio 2023.

Reverse Everything, lecture, ZhDK, Zurigo, Svizzera, 3 marzo 2016; video sul canale YouTube “ZHdK Fine Arts”, ZHdK Art Talks: Chiara Fumai, pubblicato il 24 gennaio 2017, visitato il 14 aprile 2023.