Antony Gormley, SLUMP II, 2019.
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Spazio fluido e coscienza dispersa
Magazine, LOCUS - Part I - Marzo 2021
Tempo di lettura: 13 min
Iunia Borsa, Ludovica Galletta, The Commensal

Spazio fluido e coscienza dispersa

La casa come architettura di frontiera tra mutazione fisica e sociale.

Iunia Borsa, Nuclear Families, 2020, The Commensal.

 

Impostazioni di fabbrica

Quando nasce, il corpo è una macchina complessa, libera e intatta. I corpi vengono alla luce in un sistema che li dota in partenza di alcune “impostazioni predefinite”, simili a quelle di un nuovo device. Queste impostazioni di fabbrica garantiscono al corpo uno sviluppo monitorato, in modo da non poter essere sovrascritte. Le impostazioni predefinite dipendono in larga misura dal contesto di provenienza dell’individuo, dal suo “sistema di supporto” (la famiglia), dal desiderio del corpo di disconoscere i propri parametri e dagli spazi architettonici in cui si muove; la vita domestica riflette non solo i meccanismi interni di riproduzione della famiglia, ma anche il quadro più ampio in cui essa si colloca (il contesto storico, le abitudini e i rituali). Questi input permettono al corpo di confrontare la sua realtà con altre, aprendosi a nuovi condizionamenti in grado di rimodellare le impostazioni determinate da secoli di riproduzione sociale.

La presa di consapevolezza dell’esistenza parallela di realtà multiple risveglia il corpo, animato dalla necessità di un’espansione che rifletterà la natura conflittuale del passato (forme di riproduzione normalizzate) con il suo presente (il desiderio di superare le impostazioni predefinite e adeguarle alla propria singolare verità).

La possibilità di progredire giace nell’intersezione di anni di politiche, architetture ed etica, e spesso si concretizza durante periodi storici straordinari, quando lo status quo viene messo in discussione da corpi “risvegliati” o da agenti esterni. Questa possibilità si materializza oggi per effetto della pandemia, intesa come catalizzatore che favorisce nuove forme di domesticità e una nuova generazione di corpi.

Iunia Borsa, Child’s Play, 2020, The Commensal.

 

Cenni storici

In termini teorici, il biopower è un insieme di tecniche diverse finalizzate a ottenere il controllo11S. Wallentstein, Biopolitics and The Emergence of Modern Architecture, Princeton Architectural, New York, 2009.
della popolazione e a garantire l’assoggettamento dei corpi. Le biopolitics, invece, si riferiscono a quei meccanismi di gestione dei processi di vita umani che creano sistemi di dominazione sulla cultura, sul potere e sui processi di soggettivazione.22Ibid.

gli “individui moderni” sono corpi normalizzati e funzionali.

La spazializzazione del potere è il metodo con cui l’architettura diviene uno strumento politico che genera normalità per imposizione. Tramite l’effetto indiretto del potere spazializzato, il corpo è oggetto di dominio e controllo politico: gli “individui moderni” sono corpi normalizzati e funzionali. Questo processo consiste in una forma di assoggettamento, ed è il rapporto tra le forze esterne che modellano il corpo e le reazioni interne che esso genera in risposta. La soggettivazione e l’assoggettamento evidenziano la complessità del potere: sarebbe riduttivo interpretare questo come un processo unilaterale basato solo su una prassi coercitiva. Essendo il potere non unicamente oppressivo, ma anche produttivo, esso produce individui liberi di produrre sé stessi. In Sorvegliare e punire, Foucault analizza le conseguenze delle biopolitics di normalizzazione dei “corpi docili”,33Questa tipologia si conforma a normative sociali imposte senza contestare la loro integrità. Cf. M. Foucault, Discipline and punish: the birth of the prison, Vintage Books, New York, 1995.
classificandoli come un default dello status quo piuttosto che entità libere.

Similmente, nella teoria marxista il corpo è inteso come essere che “produce sé stesso”,44In riferimento alla teoria della modernità e dell’assunzione per cui gli individui liberi sono individui produttivi guidati dal potere dell’esempio. Cf. S. Wallenstein, Biopolitics And The Emergence Of Modern Architecture, Princeton Architectural, New York, 2009.
in riferimento al corpo liberato della modernità che adotta la versione migliore di sé in base alle strategiche impostazioni di fabbrica.

La nascita autentica avviene quando il corpo si risveglia e contrasta la realtà e i valori promossi per abbracciare una verità multiforme. Altrimenti, come dice Rousseau, il corpo nascerà libero ma ovunque in catene.55J. J. Rousseau, On The Social Contract, Hackett Publishing Co, 2019 [1762].

Henry Roberts, Model Houses for Families, 1851, London Society for the Improvement of the Labouring Classes.

 

La complicità dell’architettura

L’opera Biopolitics and the Emergence of Modern Architecture di Wallenstein evidenzia come l’architettura moderna debba essere interpretata in termini di genealogia del soggetto moderno:66Cf. Wallenstein, cit.
«L’architettura moderna è parte essenziale della macchina biopolitica, il suo scopo primario è la produzione di soggettività».

L’architettura è una disciplina che genera connessioni tra il corpo e il suo habitat, imponendo determinate reazioni e dunque condizionando lo stato di chi la fruisce. Il soggetto condizionato dalla macchina biopolitica è allo stesso tempo prodotto e produttore: come spiegato in Mediating Theory, «corpi idealizzati, storicamente utilizzati come modelli e metafore per corpi architettonici».77Cf. A. Furgiuele, M. Allen, Mediating Theory, «e-flux», 2020.
Questa idealizzazione trasforma l’architettura in uno strumento di amministrazione del corpo.

la città moderna è programmata per essere asettica, educata e normalizzata.

Dall’avvento dell’Illuminismo in Europa, infatti, l’architettura sviluppa uno stretto dialogo con l’idea di ordine e diventa uno strumento per il disciplinamento dello spazio; l’architettura come canone sociale stabilisce il nuovo campo di esistenza dell’emarginato. Avviene così una differenziazione tra “ciò che è stato fatto per vivere” (corpo docile) e “ciò che è lasciato a morire” (l’emarginato). I corpi e le città moderne vengono sistematizzati per massimizzare la riproduzione di narrazioni egemoniche. Si instaura una potente relazione tra corpo e città, per cui l’ambiente costruito, continuamente riprogettato, diventa prolungamento del corpo.

Nelle biopolitiche di progettazione urbana, la città moderna è programmata per essere asettica, educata e normalizzata, con deviazioni minime dalla sovrastruttura politica. La città è intesa come un paziente malato, che deve essere corretto tramite interventi chirurgici di regolamentazione urbana. Questa filosofia correttiva viene applicata anche al corpo, vittima di normalizzazione e segregazione.

Iunia Borsa, House Wives & Trophy Wives Collection, 2020, The Commensal.

 

Famiglie nucleari

Il potere biopolitico agisce tanto sul microlivello dell’individuo quanto sul macrolivello della popolazione, attraverso forme orizzontali di stili di vita e riproduzione. Il territorio di incontro tra questi gradi di condizionamento è la famiglia, sito di scambio imprescindibile tra individualità e collettività, che determina l’ingresso nel sistema politico riproduttivo. Nel linguaggio architettonico, la famiglia si identifica con la casa, intesa come istituzionalizzazione del lavoro riproduttivo.88M. S. Giudici, Counter-planning from the kitchen: for a feminist critique of type, «The Journal of Architecture», 23:7-8, 1203-1229, 2018.
La percezione collettiva della domesticità cambia irreversibilmente quando, nel 1851, Henry Roberts propone la casa modello per famiglie, una casa specificamente progettata per la working class: una camera matrimoniale, una stanza per le ragazze, una stanza per i ragazzi, un soggiorno e una cucina. Questa tipologia abitativa legittima il modello di famiglia nucleare come convenzione naturale e inappellabile. Attraverso questa configurazione ottimizzata dello spazio, Roberts progetta un insieme di tipi umani,99Ibid.
creando i presupposti per una domesticità impersonale, incentrata sul lavoro e sulla riproduzione. La casa ideale prevede una famiglia ideale con aspettative irrealistiche e precise gerarchie.

L’interrogativo hegeliano («A che punto la famiglia diventa una malattia?») diviene particolarmente rilevante alla luce della nuova egemonia disciplinante della famiglia nucleare. Il modello presuppone l’esclusione di anomalie che non corrispondano allo standard imposto. A tal proposito, è significativo il fenomeno di emarginazione di massa perpetrata, dal secondo dopoguerra, nei confronti di generi, etnie e orientamenti sessuali non conformi allo status quo.

I valori fondanti della famiglia nucleare, ovvero matrimonio, proprietà privata e prolificazione comportano una decisa esclusione del diverso.1010O. Ahn, American Suburbia: Gender Production, Contested Spaces, and Body Exclusion, «The Funambulist», 2, nov-dic 2015.
Il biopotere viene infatti utilizzato per isolare gli emarginati all’interno delle mura domestiche, esaltando di contrasto l’ideale di corpi bianchi di genere maschile, attivi in ruoli industriali o istituzionali. La casa non è più un rifugio da forze esterne, ma l’ennesimo meccanismo di produzione al servizio delle stesse.

Iunia Borsa, Sexist Paper, 2020, The Commensal.

 

Forza-lavoro riproduttiva

Le donne, così come gli emarginati, sono corpi rinchiusi nella casa, impiegati come mezzi di riproduzione sociale e di legittimazione della forza-lavoro riproduttiva. La propaganda culturale dell’epoca post-industriale diffonde un modello di femminilità in stretta continuità con l’ambiente domestico, che non comprende ma anzi discrimina relazioni omosessuali e al di fuori del paradigma familiare.

L’eteronormatività intrinseca di questa tipologia abitativa centralizza il ruolo della donna nella cucina, trasformando la casa in un’estensione del corpo femminile. La figura della casalinga riflette l’ideale estetico, proposto dai media, di figura materna addetta alla crescita dei bambini in quanto futuri “corpi docili”. Il centro della domesticità è la televisione, che divulgando modelli ideali promuove la discriminazione del diverso, e intorno a cui si stabilisce un rituale quotidiano di incontro familiare. In conseguenza a questa prassi di lavoro femminile non pagato1111S. Federici, P. Linebaugh, Re-enchanting the world: feminism and the politics of the commons, PM Press / Kairos, 2018
(riproduzione sociale e lavoro immateriale) come unica forma di contributo produttivo, alla donna viene imposto un ruolo socioeconomico di subordinazione. Nonostante nel ventesimo secolo la tecnologia abbia iniziato a colmare il gap tra giornata lavorativa e lavoro domestico, le ripercussioni di questa percezione della donna sono sentite ancora oggi, a causa della sedimentazione sistemica di questi valori nell’accezione diffusa di normalità: la soffocante analogia tra legittimo e normale tuttora partecipa all’emarginazione della diversità. Questo paradosso sostiene la proliferazione, da una generazione all’altra, di idee e valori prodotti biopoliticamente. Nel contesto della pandemia da Covid-19, la normalità come prodotto biopolitico viene messa in discussione, e si apre uno spiraglio per un nuovo ethos. La domesticità e i corpi che la abitano si adeguano al mondo contemporaneo e assumono una natura più fluida e imprevedibile.

Guerilla Girls, ‘Do girls have to be naked to get into the Met. Museum?, 1989, Tate Modern London.

 

La casa come ipotesi politica

Nel contesto del sistema biopolitico post-industriale, in cui la sessualità è principalmente pratica riproduttiva, lo spazio domestico diventa incubatore di una normalizzazione serializzata che esclude e patologizza corpi non-binary e non conformati. La casa modello della famiglia nucleare era luogo di espropriazione e sfruttamento, e ha perpetrato un’etica eteronormativa che ancora oggi costituisce la base quantomeno teorica dell’architettura domestica occidentale.

Se la domesticità è uno strumento biopolitico di normalizzazione, l’architettura nella sua totalità è pratica politica, intesa non solo in termini di controllo e rappresentazione, ma in quanto distopia del tardocapitalismo.

La casa di oggi diventa ipotesi politica di un mondo alternativo; fantasia di un territorio emancipato da etiche e sovrastrutture di genere e liberato da rituali spazializzati, determinato solo da una fluidità di movimenti e corpi (fisici e digitali).

Il movimento e la resistenza a esso forniscono agli individui la primordiale consapevolezza di sé; l’architettura, imponendo geometrie e traiettorie, influenza personalità e affettività. Nella cornice della rivoluzione digitale e nel pieno di una pandemia, l’architettura diventa fluida. Gerarchie di genere e squilibri di potere vengono messi in discussione dalla necessità di riconfigurare gli spazi, assecondando mutevoli possibilità di fruizione e interpretazione. L’architettura conquista una libertà che per analogia si trasmette al corpo, e diventa spazio fisico e atto eversivo.

Iunia Borsa, ZOOM, 2020, The Commensal.

 

Architettura Cloud

Nella società deleuziana del controllo fluido1212G. Deleuze, Postscripts on the society of control, «October», Vol. 59, 1992, pp. 3-7.
in cui dominano tecnologia e media, la relazione di potere tra architettura e corpo si trasforma da oppressiva a immanente: l’architettura non disciplina più il corpo, ma diventa parte di esso. Il corpo contemporaneo, superando il dualismo tra organismo e macchina, è ormai un’entità tecnologica vivente,1313Cf. D. Haraway, Simians, cyborgs, and women: the reinvention of nature, «Choice Reviews Online», 28(11), 1991.
al cui interno l’architettura si manifesta attraverso micro-dispositivi che influenzano azioni e interazioni fondamentali. La tecnologia permette di mantenere un interconnessione costante che trasla la relazione con lo spazio fisico da situazionale ad astratta/performativa. L’ambiente domestico è una matrice di dati online e allo stesso tempo finestra verso infinite dimensioni digitali.

Durante una pandemia, tutti gli eventi della vita quotidiana avvengono in un unico spazio, e così anche le interazioni sociali, professionali e di apprendimento, costrette dentro l’orizzonte singolo del contesto digitale. Il privato è pubblico: la casa diventa una stazione di trasmissione che apre lo spazio domestico al pubblico scrutinio. Attraverso videocamere, sistemi di condivisione e connessione cloud, e dirette streaming, il corpo è al tempo stesso prodotto e produttore, solo apparentemente libero dall’impedimento fisico di architetture oppressive. All’interno di questa ambigua dialettica di potere/dipendenza con la tecnologia, l’architettura agisce ancora come tecnica di produzione biopolitica, partecipando allo sviluppo di nuove logiche di visibilità e identità. Se la casa oggi è un teatro, la necessità di eseguire specifici riti on- e offline si traspone in nuovi ambienti le cui qualità spazio-temporali si sfocano e rimescolano in un unicum variabile. Come il corpo si adatta al nuovo aspetto performativo della vita domestica, convogliando e adottando molteplici forme di visibilità, così anche la casa accomoda la performance, abbandonando il rigore delle funzioni (e dunque dei riti e delle soggettivazioni). Lo spazio è progettato dalle interazioni digitali, e la tecnologia stabilisce una relazione reciproca con il corpo che diventa sia incorporazione che archetipo, sito di scambio e valuta. Lo spazio domestico trascende i limiti fisici e i rigori spaziali, per mutare con i digital media in un sistema cloud di corpi e affettività: la casa diventa spazio fluido.

Still da “Ghost in the Shell”(2017), Rupert Sanders, Paramount Pictures.

 

Caro vecchio orrore domestico 

A causa della pandemia, l’assunto eteronormativo della casa come rifugio sicuro, ormai obsoleto in un’era di vita flessibile, svela un lato oscuro non trascurabile. L’idea di casa come luogo di protezione, identità e rappresentazione non può più essere associata alla famiglia o alla riproduzione, ma deve necessariamente essere ripensata come uno spazio fluido la cui conformazione è dettata dalle qualità individuali dei corpi che lo abitano. Le teorie dell’architettura istituzionale sulla casa avevano infatti represso ed espropriato il corpo non conforme, l’altro. L’individuo che non corrisponde al modello eteronormativo è quindi ineluttabilmente costretto a omologarsi all’ordinamento sociale e di genere imposto dallo stesso spazio che abita. La casa non era progettata per essere uno spazio sicuro dove minoranze sessuali e corpi “non normali” potevano trovare un senso di identificazione e rappresentazione.

Nel frattempo, la pandemia sta enfatizzando problemi strutturali preesistenti come la violenza domestica e le disuguaglianze di genere, e sta mettendo a repentaglio decenni di progressi sociali. Oggi, le persone non-binary e le donne affrontano, rispetto agli uomini, più insicurezze economiche e perdite del lavoro: uno studio delle Nazioni Unite dell’aprile 2020 sottolinea come l’economia del lavoro domestico non pagato sia uno degli aspetti più gravi della crisi dovuta al Covid-19,, a causa degli enormi squilibri di distribuzione tra generi dei lavori di cura non retribuiti. Questa emergenza sanitaria globale ha reso tristemente evidente il fatto che le economie formali del mondo poggino sul lavoro invisibile e non pagato delle donne.

Secondo un recente studio di LeanIn.Org (organizzazione per i diritti delle donne) e McKinsey & Company (compagnia di consulenza globale), durante la pandemia le donne si sono assunte il carico del lavoro domestico tre volte in più degli uomini (assistenza agli anziani, cura dei figli, educazione e lavori di casa). L’instabilità sanitaria ed economica fornisce pertanto terreno fertile per una regressione verso mentalità reazionarie che condizionano gli equilibri interni delle famiglie, rafforzando le disparità a livello decisionale. Gli effetti regressivi del Covid-19 sull’uguaglianza di genere sono non solo rivelatori delle dinamiche eteronormative del biopotere, ma pongono anche una pericolosa minaccia ai corpi non-binary e non conformati, per i quali ora è difficile, se non impossibile, riconfigurare un ambiente domestico sicuro.

Still da “Ghost in the Shell”(2017), Rupert Sanders, Strelka Magazine.

 

Casa post-pandemica

Come risultato di un lungo processo evolutivo a livello formale e teorico, oggi la casa deve guadagnare un valore trasversale e un’anatomia nuova“…oggi la casa deve guadagnare un valore trasversale e un’anatomia nuova”, fatta di architetture emozionali, più che di semplici spazi. La risposta dovrebbe arrivare dall’alto, tramite strategie politiche mirate al sostegno dei singoli e della collettività, ma è ancora più indispensabile che la resistenza nasca da dentro, e che metta in discussione le infrastrutture biopolitiche esistenti, includendo gli emarginati e i repressi nel discorso architettonico.

La transizione a una nuova forma di domesticità comporta la riconfigurazione di un ethos, un insieme di comportamenti e valori libero dall’orrore familiare dello spazio domestico.1414M. Sheherazade Giudici, P. V. Aureli, Familiar Horror: Toward a Critique of Domestic Space, «Log», 1(38), 2016 pp. 105-129.
La domesticità sta assumendo una connotazione fluida, sulle basi di un nuovo vocabolario di corpi che è inestricabilmente legato a uno scenario digitale e caratterizzato da qualità individuali, che superano le normative di genere e di classe dell’architettura istituzionale. Il Covid-19 ha svelato la natura mutevole dello spazio domestico, sulla base della quale è necessario sviluppare una riconfigurazione dell’architettura più fedele alle sue illimitate possibilità di trasformazione. Il corpo e le architetture mutano in gusci, in grado di confinare e contenere solo fisicamente infinite identità. La pandemia offre dunque l’opportunità di osservare e interrogare la normalità in cui viviamo, e di ripensare la domesticità sia come spazio fisico (“shell”) che come ethos (“ghost”).1515S. Masamune, Ghost in the Shell, Kodansha, 1989.

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Autori
  • Iunia Borsa
    Iunia Borsa ha studiato architettura alla Cardiff University e architettura domestica non tipologica alla Architectural Association di Londra, con un progetto selezionato per AA Exemplary Projects 2019/20 e un riconoscimento speciale per la sua tesi tecnica. Ha lavorato come freelance in vari campi, dall’architettura al graphic design, e al momento lavora per lo studio Carlo Ratti Associati. Nel corso della sua carriera ha partecipato a diversi concorsi, workshop e iniziative internazionali (Londra, Vienna, Barcellona, Medellin, Melbourne), portando avanti la sua passione per progetti architettonici basati sulla ricerca. Ambisce a contribuire al discorso architettonico in modo da sfidare lo status-quo, attraverso interventi che influiscano su comportamenti, attitudini e stili di vita.
  • Ludovica Galletta
    Ludovica Galletta ha studiato architettura a Roma e design expanded practice alla Goldsmiths di Londra, dove ha iniziato a condurre ricerche urbane multidisciplinari mischiando etnografia e visual art, incluso il suo progetto-documentario di tesi “South-East London’s fried chicken shops as third places”. Ha partecipato a think tank e workshop interdisciplinari (LSE Social lighting, Florence Winter school of urban research ecc.). Tra gli altri, ha collaborato con Anise Gallery a Londra e SET Architects a Roma; al momento lavora come freelance exhibition/set designer, e si occupa di progetti di visual art. La sua passione per la contaminazione artistica e disciplinare è soprattutto una metodologia di pensiero critico che la spinge a un’esplorazione continua del ruolo del designer.
  • The Commensal
    The Commensal è un collettivo di architettura e design fondato da Parasite 2.0 e di cui Iunia Borsa e Ludovica Galletta fanno parte. Il collettivo funziona come uno spazio di collaborazione aperto in cui non ci sono capi né sottoposti: proposte, decisioni e meriti si muovono in modo orizzontale per includere tutti e sfidare la gerarchia verticale tipica degli stage non retribuiti. Come nel commensalismo, “un’interazione biologica di lunga durata nella quale i membri di una specie guadagnano benefici mentre quelli di altre specie non ne traggono né beneficio né danno”, così tutti i membri dello studio guadagnano in egual misura dalla piattaforma aperta.
Bibliography

Ahn Olivia, American Suburbia: Gender Production, Contested Spaces, and Body Exclusion, «The Funambulist», 2, nov-dic 2015.

Deleuze Gilles, Postscripts on the society of control, «October», Vol. 59, 1992.

Federici Silvia, Linebaugh Peter, Re-enchanting the world: feminism and the politics of the commons, PM Press / Kairos, 2018.

Foucault Michel, Discipline and punish: the birth of the prison, Vintage Books, New York, 1995.

Furgiuele Antonio, Allen Matthew, Mediating Theory, «e-flux», 2020.

Giudici Maria S., Counter-planning from the kitchen: for a feminist critique of type, «The Journal of Architecture», 23:7-8, 1203-1229, 2018.

Haraway Donna, Simians, cyborgs, and women: the reinvention of nature, «Choice Reviews Online», 28(11), 1991.

Masamune Shirow, Ghost in the Shell, Kodansha, 1989.

Pujals Blanca, Bodily cartographies: Pathologizing The Body And the City, «The Funambulist», 7, sett-ott 2016.

Quatremère de Quincy & Younés Samir, The true, the fictive, and the real: The historical dictionary of architecture of Quatremere de Quincy, A. Papadakis, London, 1999.

Rousseau Jean-Jacques, On The Social Contract, Hackett Publishing Co, 2019 [1762].

Sheherazade Giudici Maria, Aureli Pier Vittorio, Familiar Horror: Toward a Critique of Domestic Space, «Log», 1(38), 2016.

Wallenstein Sven-Olov, Biopolitics And The Emergence Of Modern Architecture, Princeton Architectural, New York, 2009.