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Come spiegare a mia madre che ciò che faccio serve a qualcosa? Oreste alla Biennale
Magazine, ASSEDIO - Part I - Ottobre 2016
Tempo di lettura: 11 min
Stefano Vittorini

Come spiegare a mia madre che ciò che faccio serve a qualcosa? Oreste alla Biennale

Arte, tecnologia, network e 'spazi di positiva inquietudine': il caso Oreste alla Biennale di Venezia del 1999.

Pino Boresta – Tabella Oreste – Paliano – courtesy Giancarlo Norese.

Con questo articolo vorrei raccontare e rileggere la partecipazione di Oreste alla Biennale di Venezia del 1999 e il contesto entro il quale questa partecipazione si è articolata, cioè la mostra dAPERTutto di Harald Szeemann.

Può essere utile focalizzarsi su questa esperienza perché progetto Oreste riflette un momento specifico dell’evoluzione del pensiero e della cultura occidentale che negli anni Novanta ha innescato cambiamenti irreversibili specialmente nelle dinamiche di comunicazione, di negoziazione della conoscenza e di interazione tra le persone. Cambiamenti che furono accelerati dall’inizio della stagione dell’innovazione tecnologica, già cominciata negli anni ’80 e che nel decennio successivo ha avuto uno slancio non previsto (con il Personal Computer prima, e in seguito con Internet).

Oreste a Paliano – courtesy Giancarlo Norese.

Il titolo di questo intervento è la prima cosa che mi lega a Oreste. È una domanda che spesso mi pongo quando cerco di definire i miei obiettivi professionali, e da qui sono cominciate le mie ricerche. “Come spiegare a mia madre che ciò che faccio serve a qualcosa?: Comunicazione, quotidianità, soggettività. Un convegno sulle nuove ricerche artistiche in Italia” è il titolo di un incontro che si è tenuto al “Link” di Bologna dal 31 ottobre al 2 novembre del 1997 e che costituisce una delle prime iniziative organizzate da Oreste. Durante il convegno, a cura di Salvatore Falci, Eva Marisaldi, Giancarlo Norese, Cesare Pietroiusti, Anteo Radovan, Cesare Viel e Luca Vitone, si discusse dell’impatto che l’innovazione tecnologica stava avendo sull’evoluzione delle dinamiche di comunicazione, sulla quotidianità e sulla soggettività, e di come questi cambiamenti si riflettessero poi nella pratica artistica. Al convegno intervennero prevalentemente artisti, presentando le proprie ricerche e il proprio lavoro. Le attività svolte furono collettive o organizzate in gruppi di lavoro, affinché la condivisione di idee potesse far scaturire nuove collaborazioni.

In un’intervista, Pietroiusti, parlando del convegno, si esprime in questo modo: «Non mi ero fatto delle idee precise a che cosa puntare, certamente (c’era) la volontà di verificare l’esistenza e la solidità in qualche modo di una rete di relazioni fra persone. Fra persone che hanno voglia di lavorare insieme, di mettere in gioco le proprie idee, il proprio tempo».

«Oreste non è nessuno. Non è un gruppo che produce opere collettive, non è un sindacato che rivendica riconoscimenti, non è un’associazione culturale. Per ora è un insieme variabile di persone, in prevalenza artisti italiani» (Oreste alla Biennale, Booklet, 1999). La “dialettica negativa” utilizzata in quest’ultima frase per descrivere Oreste si rivela probabilmente il modo più semplice ed efficace per cogliere la natura del progetto e il contesto in cui si è sviluppato.

Oreste alla Biennale – courtesy Giancarlo Norese.

Il gruppo Oreste è stato attivo dal 1997 al 2001. Anni durante i quali sono state organizzate, oltre al convegno di Bologna e altre iniziative, due riunioni significative nelle estati del 1997 e del 1998, nella Foresteria comunale di Paliano. Tali incontri, più vicini all’idea di vacanza estiva che a quella di residenza per artista, avevano l’obiettivo di creare un tempo e uno spazio specifico di condivisione e scambio. Lo scopo di queste permanenze a Paliano non era produrre opere collettive o mostre, ma creare opportunità di incontro tra artisti e operatori culturali, elaborando in tal modo progetti “da sviluppare successivamente all’incontro, allo scopo di costituire una rete comunicativa e operativa all’interno della quale potersi muovere in futuro”. Oreste, con questi incontri, faceva da piattaforma di condivisione nella quale si riunivano gruppi di artisti accomunati dagli stessi interessi. Le esperienze di Paliano potrebbero essere definite come un modello di forum a metà tra l’idea di foro romano e quella di internet-forum, ma sotto forma di “colonia estiva per artisti”. Oreste nasceva da urgenze di contesto legate a un momento specifico del sistema dell’arte italiano che risentiva di problemi atavici, tendenzialmente tutt’ora presenti, come la crisi del mercato dell’arte e il poco impatto delle istituzioni pubbliche sulla realtà e sul territorio. Il gruppo poneva al centro il neonato concetto di “network” che oggi è la pietra angolare di ogni dibattito nel mondo dell’arte, con l’obiettivo (o speranza) di “creare un nuovo modello di sistema”.

 

Oreste a Paliano – courtesy Giancarlo Norese.

Anno cruciale nella vita di Oreste è stato certamente il 1999, con la partecipazione alla 48° Biennale di Venezia a cura di Harald Szeemann. In una testimonianza di Agnes Kohlmeyer, all’epoca assistente di Szeemann per la Biennale, apprendiamo che l’interesse del curatore svizzero nei confronti di Oreste è progressivamente cresciuto durante il periodo di studio visit, grazie alle quali si rese conto che l’adesione al gruppo da parte di molti artisti italiani costituiva una rete nazionale alternativa in grado di sopperire, in un certo senso, all’assenza delle istituzioni pubbliche del Paese. Una rete autonoma che credeva nel potenziale delle relazioni e funzionava soprattutto da generatore di energie, dando vita a iniziative, nuove possibilità e occasioni. Lo stesso Szeemann racconta: «Non ho deciso immediatamente, ma dopo alcune riflessioni ho scritto a Cesare Pietroiusti che Oreste rappresentava per me una parte di apertura che voglio ottenere per questa Biennale» (H. Szeemann, Oreste alla Biennale, 1999). Szeemann prosegue sostenendo inoltre che Oreste «ha offerto alla Biennale un nucleo di positiva inquietudine».

Oreste alla Biennale – courtesy Giancarlo Norese.

Per ricostruire il più fedelmente possibile quanto successo, si è rivelato fondamentale raccogliere alcune testimonianze dirette. Dal breve scambio di e-mail con Giancarlo Norese e Cesare Pietroiusti, due degli artisti attivamente più coinvolti nel progetto, ho tentato di capire innanzitutto quali fossero gli obiettivi di Oreste alla Biennale e che cosa avesse spinto Harald Szeemann a includerlo al suo interno. 
Dalle testimonianze è emerso che lo scopo generale di Oreste era quello di offrire un’occasione di visibilità e scambio per collettivi e iniziative con qualche affinità, e di creare una rete di conoscenze dalla quale far nascere collaborazioni indipendenti sia dalle leggi di mercato, sia da quelle del ‘capolavoro’. Tali obiettivi, come la nascita stessa di Oreste, scaturivano da una percezione che definirei “neo-positivista” delle possibilità che in quegli anni si stavano aprendo. Alla domanda su quali fossero gli stimoli alla base della nascita di Oreste e come mai il progetto fosse così orientato nel favorire le relazioni, i dialoghi e gli incontri tra artisti e operatori culturali in senso ampio, Pietroiusti risponde: «credo che tutto questo entusiasmo derivasse dalla percezione delle potenzialità della posta elettronica come generatrice di contatti, e di internet come generatore di conoscenze (il 1999, anno di dAPERTutto, è l’anno in cui comincia a funzionare il motore di ricerca di Google). L’idea di mettere insieme queste potenzialità con l’invito alla Biennale (evento da sempre percepito come “mitico” dagli artisti) sembrava generare prospettive straordinarie».

La partecipazione di Oreste alla Biennale si declinò in una programmazione intensa (una serie di incontri, performance, discussioni, conferenze, pranzi e incontri informali) diluita nei 5 mesi di apertura della manifestazione (13/06/1999 – 06/11/1999), nella Sala A del Padiglione Centrale e nel terrazzo adiacente. Lo spazio era allestito con tavoli, sedie e materiale di documentazione dei progetti precedenti. In questo modo fu costruito una sorta di spazio di decompressione rispetto ai ritmi tradizionali della mostra, e funzionale alla programmazione di Oreste. Tutte le iniziative e gli eventi sono riportati nel booklet online.

Tra le numerose attività promosse, ricordiamo:

Piacere, Picasso! Convegno su organismi indipendenti del centro nord e del sud Italia;

– presentazioni di progetti paralleli, come Oreste 2, Out of the Blue e Bacinonapoli;

– il convegno Fanzine, riviste prodotte da artisti e pubblicazioni aperiodiche internazionali;

Arte pubblica. Progetti ed esperienze europee, incontro coordinato da a.titolo;

– la presentazione del progetto Arte a tutto vapore, coordinato da Laura Palmieri, a cui parteciparono artisti, architetti e velisti, tra cui Caroline Bachmann, Stefano Boeri e Francesco Careri (Stalker).

Fax inviato da Harald Szeemann per la pubblicazione di Oreste alla Biennale – courtesy Giancarlo Norese.

Come si nota dalle fotografie di documentazione, Oreste si trovava all’interno dello spazio espositivo, nello specifico tra le opere di William Kentridge, Katarina Fritsch e Sarah Sze. Gli artisti del progetto trasformarono la porzione di spazio espositivo a loro assegnato in uno spazio vivibile che potesse in un certo senso «moltiplicare per cento l’invito ricevuto» (per usare le parole di Pietroiusti), nel quale far succedere qualcosa che non fosse una performance o un happening. Lo spazio di Oreste all’interno di dAPERTutto era nuovamente un “forum”, una piazza, una ‘chat-room reale’ che inseriva lo spettatore della Biennale all’interno di un processo relazionale in grado di generare nuove iniziative suggerendo una direzione alternativa al sistema. Forse la volontà di Oreste fu proprio quella di creare un sistema open-source per la creazione di progetti, anticipando in un certo senso i social network.

Quello degli ‘spazi di positiva inquietudine’, cioè spazi di apertura – come quello di Oreste alla Biennale – grazie ai quali si genera costantemente realtà e si aggiunge significato all’esperienza del visitatore, è diventato oggi un aspetto centrale nelle large-scale exhibitions e nella poetica di molti curatori. Si pensi alle platforms di dOCUMENTA11, alle lectures organizzate a Kabul e alle residenze per scrittori all’interno del ristorante cinese “Dschingis Khan” durante dOCUMENTA13, a Utopia Station di Nesbit, Obrist e Tiravanija durante la Biennale di Venezia del 2003, e allo spazio ARENA all’ultima Biennale italiana a cura da Okwui Enwezor. Tutte queste iniziative hanno avuto in comune la peculiarità di manipolare (o hackerare) il format di questa tipologia di mostre ed espanderlo sfruttando il potenziale catalizzatore di persone e interessi. Nel corso degli anni simili scelte curatoriali hanno modificato progressivamente il senso di tali mostre, che da classiche mostre-evento, in cui l’attenzione era focalizzata sui contenuti, sulla lista degli artisti invitati e le loro singole opere, sono oggi diventate delle mostre nelle quali è fondamentale, prima di tutto, esserci di persona per condividere esperienze tangibili circoscritte in quel tempo e spazio specifici. Un’interessante, anche se piccola, crepa, creata per sfuggire, almeno un po’, dallo stato di assedio delle regole di sistema, del mercato dell’arte e della finanziarizzazione delle opere.

Le scelte curatoriali di Szeemann e il testo dAPERTutto nell’ordine delle sue autorealizzazioni mostrano come questa esposizione, oltre a contrastare e criticare dall’interno l’istituzione della Biennale, sia una testimonianza degli sviluppi e dei cambiamenti degli ultimi vent’anni del 1900 e che attualmente hanno ancora diverse eco nel dibattito sulla produzione artistica, sulla museologia e sulla pratica curatoriale. 
Nella struttura della mostra e nella scelta di artisti come James Lee Byars, Douglas Gordon, Gino De Dominicis, Dominique Gonzalez-Foerster, Pierre Huyghe e Philippe Parreno, ritroviamo molti collegamenti ad alcune questioni fondamentali in quegli anni e che ancora oggi trovano uno spazio di discussione: lo studio dei sistemi complessi, il Pensiero Debole (la presenza di un ruolo forte del “soggetto”, sia sul piano dell’etica, sia quello della conoscenza oppure il binomio essere-verità) e l’Estetica Relazionale (la prima pubblicazione del testo di Bourriaud risale al 1998).

Oreste a Paliano – courtesy Giancarlo Norese.

La partecipazione di Oreste alla Biennale è un caso-studio in grado di testimoniare le modalità di ricezione di cambiamenti antropologici cominciati 17 anni fa e che oggi, a trasformazione ultimata, si sono imposti alla generazione dei millennials come realtà quotidiane. Infatti, le politiche ecologiche, la sharing economy, l’architettura dell’informazione, il rapporto globalization/glocalization, le diverse forme di resilienza sociale, la criticizzazione dell’idea di periferia e minoranza nascono proprio in quel periodo di fine millennio (un po’ ottimista, un po’ apocalittico). 
Ciò, riportato in scala al sistema dell’arte, ha suscitato nuove direzioni di ricerca: pensiamo all’idea di ‘decolonizzazione’, all’organizzazione delle collezioni e delle esposizioni museali, all’ibridazione come paradigma, al problema della sostenibilità economica dei musei (attuabile tramite un’operazione di costruzione di un carattere identitario forte), al rapporto istituzione-pubblici, al dibattito sul sistema delle Biennali d’Arte (o più in generale delle grandi manifestazioni globali) e al loro opposto (la proliferazione di piccole fiere indipendenti).

Tutto ciò non basta tuttavia a spiegare esaustivamente cosa siano stati. Per aggiungere qualcosa allo spettro di significati di Oreste e della Biennale del 1999, credo sia utile concludere riportando le parole utilizzate da Szeemann per parlare della mostra:

è suono è immagine provocatoria è litania è oracolo è solidarietà minacciosa è esistenziale-sincopato è strategia doppia è engagement è Oriente giocoso è eclissi e cerimonia è slancio nella materia dei colori è autoaiuto nel gruppo è opulento e filigrana, ornamento sublime è demolizione di eroi è scultura di mass-media è cannibale e distorto è numinoso è testa gigante è bellezza occidentale nello Zen è “ultimi giorni” e caducità è comico e serio è sumerico d’oggi è dipingere come espressione di vita è grattarsi come nuova iconografia è concentrato di figura è silenzio è dietro la monocromia è intelligenza condivisa è anarchico è automutilante è disegno-conquista è Mandala e fiaba è propaganda raggirata è gruppo asiatico con individuo è relazionarsi con la famiglia è trovare forme è telefonare a tratti è di nuovo un altro santo è distruzione e scampo è avere a che fare con una specie in via d’estinzione è solidarietà esplicita è performance cinese è corpo e forza di gravità è frontiera del dolore è denudamento è arrostire è erotismo ricamato è breakdance come via d’uscita è lutto è accusa e sofferenza è festoso e attivo è contraffazione e lascito è autoconservazione e curiosità è soffrire sul medium è lounge e famiglia è invio degli apostoli è “tutti veneziani” è splash! è camminare sulla fune è cuore eterno e amore fugace è baco da seta in azione è atelier del futuro è capitale lì è capitale qua è comportamento ibrido è protesta contro i macho di ogni sorta è rifugio di raccoglimento è poesia del fabbricato è l’opposto dello starmuseum è trasparenza del dominio è omaggio alle “Sisters in the Sky” è sospendere e invertire è passaggio dal bambino all’uomo è raddoppiamento della poesia nomade è cyborg è boria globale e risveglio nazionale è sublimazione della fustigazione è borotalco per bambini è profusione di tempo è hybris dei multis è concerto di vetro è o solare mio è rivalità fra tradizione e liberazione è la parrucca necessaria alla vita è ornamento dell’oggetto è bene imitarlo è genesi delle montagne dai rifiuti è tappeto volante che galleggia è librarsi e scoppiare è sofferenza e riscatto dei contadini di terre argillose è Majestic Splendor è l’interno e l’esterno è la porta d’Oriente è interrogarsi sulla domanda dei padiglioni nazionali è desiderio pensato adesso è racconto gigante è amore per gli spazi è un altro respiro è libertà dall’obbligo di prefazione è il benvenuto ai paesi presenti con o senza padiglione è il benvenuto alle mostre “a latere” e augura a tutti una meravigliosa passeggiata attraverso i Sé”.



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di Stefano Vittorini
Bibliography

Catalogo 48. Biennale Internazionale d’Arte, Marsilio, Venezia 1999.
Come spiegare a mia madre che ciò che faccio serve a qualcosa? Progetto Oreste 0 (zero), Edizioni Charta, Milano 1998.
M. Ferretti, Progetto Oreste. Una rete di artisti (1997–2001), Università degli Studi di Milano, Milano 2008.
Oreste alla Biennale. Oreste at the Venice Biennale, Edizioni Charta, Milano 2000.
Progetto Oreste Uno, Edizioni Charta, Milano 1999.