Antony Gormley, SLUMP II, 2019.
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Cybernetic Culture Research Unit

Il Numogramma Decimale

H.P. Lovercraft, Arthur Conan Doyle, millenarismo cibernetico, accelerazionismo, Deleuze & Guattari, stregoneria e tradizioni occultiste. Come sono riusciti i membri della Cybernetic Culture Research Unit a unire questi elementi nella formulazione di un «Labirinto decimale», simile alla qabbaláh, volto alla decodificazione di eventi del passato e accadimenti culturali che si auto-realizzano grazie a un fenomeno di “intensificazione temporale”?

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Hypernature. Tecnoetica e tecnoutopie dal presente

Avery Dame-Griff, Barbara Mazzolai, Elias Capello, Emanuela Del Dottore, Hilary Malatino, Kerstin Denecke, Mark Jarzombek, Oliver L. Haimson, Shlomo Cohen, Zahari Richter
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Dinosauri riportati in vita, nanorobot in grado di ripristinare interi ecosistemi, esseri umani geneticamente potenziati. Ma anche intelligenze artificiali ispirate alle piante, sofisticati sistemi di tracciamento dati e tecnologie transessuali. Questi sono solo alcuni dei numerosi esempi dell’inarrestabile avanzata tecnologica che ha trasformato radicalmente le nostre società e il...

Abitare l’immateriale: estetiche del caosmo
Magazine, CAOS - Part II - Settembre 2022
Tempo di lettura: 20 min
Davide Tolfo, Nicola Zolin

Abitare l’immateriale: estetiche del caosmo

Cogliere le variabilità infinite del Caos negli ambienti artistici contemporanei.

Ed Atkins, “untitled”, 2019. Photo: Ed Atkins, Galerie Isabella Bortolozzi, Berlin, Cabinet Gallery, London, Gavin Brown’s Enterprise, New York, Rome and dépendance, Brussels.

 

Tarn Adams (Bay 12 Games), “Dwarf Fortress”, 2006, immagine di gioco.

Nel 1987, l’autore di boardgames Rick Priestley, diede vita a uno dei più rinomati prodotti del panorama ludico contemporaneo, il wargame grim dark Warhammer 40.000. Si tratta di un gioco che ruota attorno alle schermaglie di guerra moderna, utilizzando miniature e temi che prendono spunto principalmente da elementi archetipici della narrativa fantascientifica. Tuttavia, oltre alla divisione in fazioni e a una narrazione di stampo prettamente epico, ciò che caratterizza questo gioco da tavolo è la vastità dell’universo narrativo in cui le vicende si svolgono e, in particolare, la suddivisione dell’ambientazione in diversi piani di realtà. All’interno di questo universo un ruolo particolare è riservato al concetto di Warp. Il Warp – o Immaterium – è un piano di realtà parallelo al piano “materiale” in cui si svolgono le vicende del mondo di gioco. Si tratta di una dimensione di totale immanenza, priva di qualsivoglia legame con le leggi della fisica della dimensione “reale” abitata da umani e altre specie. La sua composizione è formata principalmente da energia affettiva sotto forma materiale ed essa viene definita come un risultato della convoluzione delle energie psichiche e metafisiche emesse dalle entità senzienti presenti nell’universo.11Andy Chambers, Rick Priestley, Pete Haines, Warhammer 40000, 4a edizione, Games Workshop, Nottingham, 2004, pp. 122-125.
Il concetto di Warp rappresenta uno degli esempi più interessanti delle modalità con cui nel game design, nella musica elettronica sperimentale degli ultimi vent’anni e nell’arte contemporanea vi sia una comune e generale tendenza a concepire le produzioni culturali come ambienti nati dal rapporto tra atto creativo e caos. Al di là dei differenti modi in cui il caos viene concepito, è possibile osservare un diffuso interesse per considerare quest’ultimo come una forza generatrice in grado di smuovere la fissità di categorie estetiche, sociali e politiche che limitano a priori la produzione di nuovi modelli culturali. Non è un caso che sempre più realtà del mondo dell’arte abbiano rivolto il proprio sguardo verso quelle opere che si presentano come ricostruzioni di mondi fittizi, in cui narrazione e spazio espositivo si intrecciano tra loro. 

Un buon punto di inizio per esplorare i rapporti che legano la creazione di ambienti al caos è fornita dalle analisi di Deleuze e Guattari nel loro ultimo testo scritto insieme, Che cos’è la filosofia? (2002). Nel capitolo conclusivo, Dal caos al cervello, Deleuze e Guattari distinguono la filosofia, la scienza e l’arte a partire dal rapporto che esse intrattengono con il caos. Il caos non viene concepito come un ammasso generico e indeterminato di materia, ma come una dimensione in continuo mutamento al cui interno la velocità di apparizioni di nuove determinazioni non lascia spazio al formarsi di elementi consistenti nel tempo. Ciò che definisce il caos, dunque, è la velocità con cui le sue variabilità infinite si scambiano l’una con l’altra.22Gilles Deleuze, Félix Guattari, Che cos’è la filosofia?, trad. it. di Angela De Lorenzis, Einaudi, Torino, 2002, p. 203.
In rapporto a questo movimento infinito, Deleuze e Guattari definiscono l’arte, la scienza e la filosofia delle Caodi: figlie del caos che si distinguono per le diverse modalità di costruire un piano di realtà a partire da questa mutabilità incessante. Così, se la scienza mira alla stabilizzazione di varietà che possano funzionare come coordinate, punti di appoggio in grado di arginare l’incostanza dei fenomeni, la filosofia, differentemente, traccia un piano nel caos in cui il movimento illimitato della variabilità caotica diviene variazione infinita, condensandosi in concetti distinti. L’arte, a sua volta, produce delle varietà, facendo della modulazione incessante del caos un movimento creativo nel piano della percezione e della sensazione.33Ivi, pp. 204-205, 211.
In tutti e tre i casi il caos funge tanto da fonte creativa da cui provengono le creazioni stesse di queste tre forme epistemiche, quanto da forza distruttiva da cui esse devono difendersi. 

Questa ambiguità è sottolineata anche in Mille Piani (2014), dove Deleuze e Guattari aggiungono importanti considerazioni riguardanti il nesso che lega la creazione di ambienti alla dimensione caotica. Nel piano 1837. Sul Ritornello il caos viene definito «l’ambiente di tutti gli ambienti»,44Gilles Deleuze, Félix Guattari, Mille Piani. Capitalismo e schizofrenia, trad. it. di Giorgio Passerone, Castelvecchi, Roma, 2014, p. 380.
ciò da cui questi ultimi possono svilupparsi. Perché possa stabilirsi un ambiente è necessario che vengano delineate, in modo persistente, delle coordinate spazio-temporali che ne definiscano dimensioni e limiti. È per questo che Deleuze e Guattari affermano che ogni ambiente, per sua stessa composizione, è sempre aperto sul caos: una variazione di meno, una composizione troppo veloce, uno sbaglio sui tempi, e lo stesso ambiente può chiudersi su sé stesso avviando un processo di lenta decomposizione interna o, al contrario, può essere travolto da un veloce movimento di distruzione esterna. La risposta di un ambiente alla minaccia del caos è la creazione di legami e punti di passaggio con altri ambienti (ciò che Deleuze e Guattari definiscono “ritmo”),55Ibid.
creando una nuova configurazione di coordinate spazio-temporali. Per descrivere le membrane, le zone di indiscernibilità tra un ambiente e un altro, dove gli elementi non smettono di oscillare tra un polo annichilente e una virtualità costruttiva, Deleuze e Guattari introducono il termine “caosmo”.66Ibid.
 Situandosi all’interno di questi intervalli, nelle zone di confine dove il brulichio costante delle variabilità minaccia di alterare l’equilibrio di un ambiente, è possibile osservare le differenti armi con cui le arti e i progetti contemporanei rispondono al caos riconfigurando, di volta in volta, la sua funzione. 

Mark Leckey, “The Universal Addressability of Dumb Things”, 2013. Photo: Andreas Ervik.

Come descrivere Untilled, il lavoro di Pierre Huyghe presentato a dOCUMENTA(13), se non come un ambiente biosemiotico in cui la sua stessa durata nel tempo dipende strettamente dalle azioni imprevedibili che le agentività che lo abitano o lo attraversano – insetti, umani, cani, piante – possono intraprendere? La costruzione di nuovi rapporti tra oggetti inanimati nella pratica di Mark Leckey non è forse una modalità per difendersi dalla rete caotica di dispositivi e tecnologie che definisce quotidianamente la soglia della nostra attenzione? Il concetto di caos, come tutti i concetti, muta la sua definizione storicamente. Nello sconfinato terreno del game design, sempre più analizzato dalle pratiche artistiche contemporanee, la relazione tra caos e creazione di ambienti si mostra come un processo basato su continue sovrapposizioni procedurali, in cui gli algoritmi si trovano a dover processare piani e punti di collegamento legati strettamente a elementi non materiali e rappresentabili. Nella costruzione di mondi digitali, la formazione di una solida base geografica e architettonica risulta di essenziale importanza; tuttavia, la problematica si presenta quando a dover essere creati non sono elementi fisici quali aree, zone percorribili, o persino entità materiali, bensì forze emotive, spirituali e legate a una sfera di immaterialità predominante. Tale conflitto si genera specialmente nella creazione di ambienti procedurali, ovvero ambienti in cui la casualità viene definita da una serie di algoritmi, con l’intento di creare un’area in continuo mutamento, ma con una struttura basilare delineata da regole e metodologie prevalentemente precise. Le forme con cui gli elementi metafisici in un dato ambiente di gioco vengono rappresentate – tra gli esempi più comuni figurano le magie o gli incantesimi, peculiarità dei prodotti fantasy o sci-fi – sono solamente il risultato visivo e materiale di una struttura ambientale di fondo legata a un world-building caotico e non definito secondo regole di stampo scientifico. Il teorico di game studies Jeff Howard descrive la costruzione procedurale del roguelike Dwarf Fortress come un esempio perfetto di una modalità di creazione basata sulla ri-modellazione di elementi metafisici e della conseguente problematica: 

«Ogni qualvolta una nuova partita (e un nuovo mondo) vengono creati, gli algoritmi di Dwarf Fortress costruiscono un ambiente basato su migliaia di anni di storia, livelli di terreno geologicamente accurati, corsi d’acqua e antiche rovine. Esistono algoritmi ormai consolidati nella creazione di territori realistici tramite la modellazione di processi fisici reali, come l’erosione. Ma i pattern riguardanti la magia e la spiritualità sono metafisici, mitologici, folkloristici e psicologici, e gli algoritmi per determinare tali domini risultano meno concreti».77Jeff Howard, Game Magic. A Designer’s Guide To Magic Systems in Theory and Practice, CRC Press, Boca Raton, 2014, pp. 299-300 (trad. degli autori).
 

L’utilizzo del caos come strumento di creazione si dimostra quindi soggetto a determinate coordinate spazio-temporali e l’analisi di Howard pone l’attenzione sull’importanza della rimodellazione di tale concetto per la costruzione degli ambienti risultanti, pur mantenendone le qualità immanenti. Gli algoritmi che determinano la costruzione degli elementi psicologici e metafisici in un dato ambiente di gioco necessitano di una forte connotazione strutturale più che di una realizzazione visiva concreta per poter dare vita alla propria rappresentazione “in-game”.88Ivi, pp. 300-301.

Anche solo i brevi esempi riportati mostrano di far riferimento a un concetto di caos il cui significato non è sovrapponibile. Se è vero che ogni ambiente risponde alle forze entropiche del caos, analizzare i diversi strumenti messi in atto per non soccombere a quest’ultimo permette tanto di fornire un’analisi più precisa dell’ambiente stesso preso in esame, quanto di comprendere, all’interno di ogni ambiente specifico, quali pericoli, quali elementi, forze e velocità assumono, di volta in volta, il nome di variabilità caotica. 

Primo caosmo: riconfigurare lo scarto

Il caos comunicativo che scandisce la nostra quotidianità è fatto di scroll infiniti in cui notizie di guerra e immaginari apocalittici si alternano a meme e coreografie per balli su TikTok. Il rumore comunicativo non è certo una novità della nostra contemporaneità, ma questo non toglie che si tratti comunque di un importante criterio a cui riferirsi per capire i gradi di sviluppo e diffusione dell’economia dell’attenzione. Le modalità con cui ci muoviamo tra nicchie di informazioni e di senso sempre più opache e chiuse in sé stesse, organizzate in base alle nostre preferenze e alla nostra profilazione, rivelano che il paradigma postmoderno ha lasciato il posto al diffondersi di micronarrazioni. Come scrive Gianluca Didino, 

«Accelerate dalla tecnologia, le narrazioni si trasformano in “micronarrazioni”, unità minime di fiction che hanno il potere di divampare, raggiungere il proprio apice e spegnersi in tempi brevissimi. […] Così se il mondo postmoderno non stava fermo nello stesso posto abbastanza a lungo da poter scrivere un romanzo, oggi si muove tanto in fretta che le storie sono diventate oggetti incendiari, che bruciano con violenza e fuori controllo per consumarsi immediatamente».99Gianluca Didino, Essere senza casa. Sulla condizione di vivere in tempi strani, minimum fax, Roma, 2019, p. 140.

L’estrema velocità con cui si passa da un contenuto a un altro, così come da una piattaforma a un’altra, non è che il contraltare di un più lento processo di stratificazione materiale necessario a sostenere i contenuti digitali. La proliferazione incontrollata di dati richiede il bisogno di occupare spazio per la costruzione di server farm, riportando l’espansione virtualmente infinita dei contenuti digitali ai suoi limiti materiali e alle sue implicazioni politiche.1010Su questo punto si veda il capitolo Complessità contenuto in James Bridle, Nuova era oscura, trad. it. di Fabio Viola, NERO, Roma, 2019.
Il rimbalzo senza fine a cui ci conducono le condivisioni porta a una catena infinita in cui qualsiasi elemento può essere aggiunto a un altro, secondo la regola d’oro per cui ogni avvenimento può divenire contenuto se trova il formato giusto. In questo senso, non esiste un luogo che possa ritenersi totalmente esterno da tale movimento di saturazione. Le variabilità del caos formano così una rete densa e soffocante, in grado di inglobare elementi e ambienti esterni tramite assimilazione. 

Di fronte a questa produzione sfrenata di contenuti e informazioni, opere di artisti come Thomas Hirschhorn, Jon Rafman, Ed Atkins e Trisha Baga si presentano come diverse modalità di usare gli scarti e l’oberazione di contenuti come elementi su cui costruire isole di resistenza. In Spinoza Car Hirschhorn ha ricoperto una macchina di oggetti in cui scarti descritti dall’artista come profani – bottiglie e bicchieri di vetro, cartoni e cuscini – si mescolano con scarti spirituali, fogli tratti dall’Etica di Spinoza, immagini e articoli sul filosofo. Jon Rafman, d’altra parte, ha sempre fatto degli scarti digitali recuperati durante le sue esplorazioni di mondi virtuali, o all’interno di forum come 4chan o Reddit, i materiali base su cui costruire i suoi ambienti. I video che compongono la sua ultima esposizione ₳Ɽ฿ł₮ɆⱤ Ø₣ ₩ØⱤⱠĐ₴, così come la sua pagina Instagram, si presentano come dei portali per mondi popolati da creature ibride, degni figli del processo mentale che porta ad associare senza sosta figure, volte e corpi differenti quando siamo involontariamente catapultati in un doomscrolling infinito. 

Nel tentativo di teorizzare la costruzione di ambienti basata su un certo tipo di surplus è possibile fare riferimento al concetto di apofenia, ovvero la tendenza umana nel percepire pattern di significato in dati randomici.1111Sophie Fyfe, Claire Williams, Oliver J. Mason, Graham J. Pickup, Apophenia, theory of mind and schizotypy: perceiving meaning and intentionality in randomness, «Cortex 44», no. 10, University College London, London, 2008, p. 1316.
La relazione tra tale fenomeno e la produzione incontrollata di codici e informazioni a opera di determinati algoritmi porta inevitabilmente alla teorizzazione di un involontario world-building basato sullo scarto e sull’interconnessione degli elementi. Nel costante flusso produttivo di immagini, suoni, meme, eventi e linguaggi a opera di Internet, la presenza di un’immensa quantità di materiale superfluo si propaga apparentemente senza fine, la cui riconducibilità ai concetti di “scarto” e “casualità” si rende ancora più evidente dal senso di distacco creato dalla comunicazione e percezione tramite gli strumenti del web. Di conseguenza, tale immane quantità di dati tende a essere percepita come una complessa quantità di codici casuali, dettati da algoritmi randomici e apparentemente privi di un senso logico. Nelle sperimentazioni del territorio sonoro si può rintracciare una lunga storiografia di esempi in cui l’oggetto dello scarto, del surplus, viene ricodificato nel tentativo di dare coordinate semantiche alla casualità. Ed è proprio in questa analisi che Emile Frankel pone il proprio sguardo verso quelle che sono le potenzialità della randomizzazione in ambito compositivo: 

«Nelle ramificazioni caotiche, c’è un particolare senso di crescente condizionamento nel ricercare connessioni personali tra elementi disparati e privi di relazioni. Tale condizione si riversa inevitabilmente nelle possibilità compositive. L’incentivazione di un mondo confuso incoraggia paradossalmente la percezione di nuove e feconde connessioni rappresentative tra suoni astratti e azioni concrete».1212Emile Frankel, Hearing the Cloud: Can music help reimagine the future?, Zero Books, Washington, 2019, p. 61 (trad. degli autori).

Il riciclo di materiale indesiderato e in eccesso è alla base del progetto AP/MSM dell’artista sonoro Patrick Miller, pubblicato con il moniker Infant per l’etichetta di musica sperimentale Rest Now!. Tramite l’archiviazione e il successivo riutilizzo di una colossale quantità di materiale recuperato dal web – feed, registrazioni vocali, video di celebrazioni religiose e rituali ricavati da video di YouTube, field recordings e file midi provenienti da siti open source, tracce audio estrapolate da vines e video virali, ma anche note personali e sketch sonori abbozzati tramite il proprio smartphone –, Infant crea due composizioni sonore in cui la narrazione prende vita da frammenti effimeri e insignificanti con l’intento di dare vita a una dimensione estremamente personale e intima da un ambiente basato sulla perpetua produzione di materiale. I lavori creati da questi artisti formano dunque delle zone, degli ambienti, che si inseriscono tra le pieghe dei meccanismi di produzione continua di contenuti. La dissipazione dell’attenzione, in questo senso, diviene un elemento centrale per creare un caosmo fatto di scarti e glitch digitali.

Dineo Sheshee Bopape, “mabu/mubu/mmu”, 2017. Photo: Maksim Belousov

Secondo Caosmo: reincantare la materia

Nel suo ultimo testo, Inclusioni. Estetica del Capitalocene (2020), Bourriaud scrive che il rinnovato interesse per la spiritualità insita negli oggetti comuni e la resistenza per l’ideologia neoliberale fanno degli artisti del Capitalocene gli eredi delle lotte «dei maghi, degli alchimisti e delle streghe del Medioevo».1313Nicolas Bourriaud, Inclusioni. Estetica del Capitalocene, trad. it. di Stefano Castelli, postmedia, Milano, 2020, p. 12.
Ciò che rileva il teorico francese è un comune bisogno nella pratica artistica contemporanea di coinvolgere oggetti inanimati ma anche funghi, batteri e animali non umani come attori e interlocutori simbolici del medesimo processo creativo.1414Ivi, p. 48.
In questo contesto, la ricerca storica e filosofica di Federici sulla caccia alle streghe1515Silvia Federici, Calibano e la strega. Le donne, il corpo e l’accumulazione originaria, trad. it. di Luisa Vicinelli, Mimesis, Sesto San Giovanni, 2020.
così come gli studi antropologici di Descola,1616Philippe Descola, Oltre natura e cultura, trad. it. di Nadia Breda, Raffaello Cortina, Milano, 2021; Philippe Descola, L’ecologia degli altri. L’antropologia e la questione della natura, trad. it. di Paola Mussano, linaria, Roma, 2013.
De Castro1717Eduardo Viveiros de Castro, Metafisiche cannibali. Elementi di antropologia post-strutturale, trad. it. di Mario Galzigna, ombre corte, Verona, 2017.
e Kohn1818Eduardo Kohn, Come pensano le foreste, trad. it. di Alessandro Lucera e Alessandro Palmieri, nottetempo, Milano, 2021.
divengono dei punti teorici fondamentali. Non risulta esagerato, in questo senso, parlare della rinascita di un rinnovato interesse per una prospettiva animista. In Oltre natura e cultura Descola propone una quadripartizione ontologica – animismo, totemismo, naturalismo e analogismo – basata sulle diverse combinazioni dei concetti di fisicità e interiorità.1919Descola, cit., p. 141.
Il naturalismo, per esempio, è definito come un’ontologia in cui vi è somiglianza delle fisicità, ma differenza delle interiorità. Diversamente, l’animismo è descritto come una somiglianza delle interiorità e una differenza delle fisicità. Mark Leckey si è interessato ampiamente a questo tema nella mostra da lui curata nel 2013, The Universal Addressability of Dumb Things. Prendendo spunto da TechGnosis di Erik Davis,2020Erik Davis, TechGnosis: Myth, Magic, and Mysticism in the Age of Information, North Atlantic Books, Berkeley, 2015.
Leckey dispose lungo una parete con un green screen oggetti di diversa natura e formato – un elmetto cibernetico del 1985, reliquie del XIV secolo provenienti dal Victoria and Albert Museum, la statua fallica usata come arma da Alex in Arancia Meccanica – mettendo in scena le relazioni silenziose che potevano sorgere tra i diversi oggetti. Come affermò in un’intervista per «Mousse», 

«Più il nostro ambiente diventa computerizzato, più ci riporta al nostro passato primitivo, ci fa tornare indietro a una visione del mondo animistica in cui tutto ha uno spirito, rocce, leoni e uomini. Così tutti gli oggetti del mondo diventano più reattivi, le cose che una volta erano considerate mute diventano indirizzabili, e questa indirizzabilità universale – una rete di cose – crea questo paesaggio incantato».

Sophia Al-Maria, “The Magical State”, 2017, particolare del video.

Le diverse relazioni spirituali e sacre che gli oggetti portano con sé sono al centro di alcune recenti installazioni di Dineo Sheshee Bopape. Creando installazioni a partire da materiali organici – spesso terra e argilla – Bopape recupera la memoria materica che questi elementi recano con sé del loro posto di origine. La stratificazione della memoria nella materia ricopre un ruolo importante anche in The Magical State dell’artista qatariota-americana Sophia Al-Maria. In questo video l’estrazione di combustibili fossili in Colombia viene presentata come una forma di esorcismo violento nei confronti della spiritualità e del corpo femminile della materia. 

Zadie Xa, Grandmother Mago, 2019. “Meetings On Art” public programme, Venice Biennale 2019. Photo: Riccardo Banfi

Nel suo ultimo testo pubblicato in vita,2121Félix Guattari, Caosmosi, trad. it. di Massimiliano Guareschi, costa & nolan, Milano, 2007.
Guattari preannunciava il possibile ritorno di una prospettiva animista all’interno del campo artistico. Per Guattari, infatti, una delle forme di resistenza all’appiattimento semantico e alla creazione di uno spazio-tempo neutro tipiche della produzione capitalistica poteva passare proprio attraverso un ripensamento della soggettività animista. Non si tratta di una sorta di fascino colonialista verso pratiche di culture considerate altre rispetto a quelle dominanti occidentali, né di una velata nostalgia per forme di socialità pre-capitalistiche. Diversamente, per Guattari, si tratta della rinascita di modalità di espressione eterogenee – rituali, interspecifiche, mimiche – che resistono e frenano l’assimilazione a un’unica matrice, a un unico paradigma semantico totalizzante. La forza di resistenza di questi diversi nuclei comunicativi deriva, secondo Guattari, dalle territorialità a cui i segni rimandano.2222Ivi, pp. 108-109.
Alla natura deterritorializzata, astratta, dei segni e dei valori capitalistici, da cui deriva la loro capacità di imporsi come presunti modelli universali, si oppone una pluralità di segni vincolati a delle territorialità – la memoria specifica dei luoghi che i diversi materiali raccolti da Bopape recano con sé; la storia dello sciamanesimo coreano depositata negli abiti che Zadie Xa crea per le sue performance – mai totalmente trascrivibili gli uni sugli altri. Questi concatenamenti di segni territorializzati reagiscono all’occhio caotico neoliberale, per il quale qualsiasi temporalità viene assimilata nel tempo universale del profitto. Gli elementi materici messi in gioco in queste pratiche artistiche assumono un ruolo fondamentale nel loro porsi 

«In una posizione trasversale, vibratoria, che conferisce loro un’anima, un divenire ancestrale, animale, vegetale, cosmico. Simili oggettità-soggettità (objectités-subjectités) tendono a operare per proprio conto, a incarnarsi in fuochi animisti; si cavalcano l’un l’altra, si invadono reciprocamente per costruire entità collettive metà cosa e metà anima, metà uomo e metà bestia, macchina e flusso, materia e segno…».2323Ivi, pp. 109-110.

Terzo Caosmo: disantropormofizzare gli ecosistemi

Nel padiglione centrale della 59esima Biennale d’Arte di Venezia si trova l’esposizione collettiva dal titolo Una foglia, una zucca, un guscio, una rete, una borsa, una tracolla, una bisaccia, una bottiglia, una pentola, una scatola, un contenitore, la quale impiega il testo critico The Carrier Bag Theory of Fiction (1986) di Ursula K. Le Guin come propria base critica. Lə artistə presenti nell’esposizione provengono da diversi campi e pratiche artistiche, alternando installazioni e dipinti in quella che la curatrice Cecilia Alemani definisce come «coreografia architettonica». Ed è esattamente grazie a questa definizione che si può riallacciare il concetto di opere come ambienti al contesto creato dalla curatrice. L’esposizione rimanda all’analisi esposta da Le Guin in relazione alla tesi Women’s Creation (1975) dell’antropologa Elizabeth Fisher, secondo la quale le narrazioni epiche e mitologiche – e di conseguenza i generi di fiction più comuni come sci-fi o fantasy – sono affette da un modus operandi fondato sul dominio e il soggiogamento, riflesso nella tecnologia adoperata in tali racconti. Armi, eventi e la maggior parte degli oggetti adoperati nell’epica portano con essi un fattore di aggressività e suprematismo. Ursula K. Le Guin propone invece una narrazione favorevole alla preservazione del mondo in cui essa si svolge, in cui le azioni e gli intenti si riflettono nell’ambiente in maniera tutelare.2424Ursula K. Le Guin, Dancing at the Edge of the World: Thoughts on Words, Women, Places, Grove Press, New York, 1989, pp. 165-170.
L’esposizione artistica in questione re-immagina visioni e artefatti sotto una luce preservante, presentandosi come un’iconografia dell’immagine del contenitore, senza cadere in ridondanti e scadenti metafore tra il ruolo del recipiente e il corpo femminile. 

Agnieska Kurant, “_A.A.I.”, 2014

Gli strumenti forniti da Le Guin fungono da database per la costruzione di una cronaca distopica in cui elementi narrativi – gli artefatti affilati, le forme prominenti di armi e utensili, il proto-xenofemminismo rintracciabile nella produzione di Le Guin ecc. – vengono decostruiti in un nuovo immaginario, che ne ricostruisce le sembianze, seppur ricalcando il pattern semantico originale. Pur presentando una ricerca e dei mezzi di espressione artistica diversi, Pierre Huyghe, Anicka Yi, Carsten Höller o Agnieszka Kurant condividono un forte interesse nel saper dare forma, con i propri lavori, a installazioni in cui il ruolo di artista come creatore viene messo in secondo piano rispetto alla sua posizione come osservatore o preservatore. Come nota Bourriaud,2525Bourriaud, cit., p. 95.
ospitando all’interno della propria pratica l’agency e l’intelligenza di forme di vita non-umane – le termiti di Agnieszka Kurant, l’amanita muscaria di Carsten Höller, le alghe di Anicka Yi – questi artisti ripensano il mondo animale e vegetale come potenza semiologica. È bene sottolineare che non si tratta di lavori in cui la creatività inumana viene integrata mantenendo tuttavia inalterato il ruolo umano di signore e conquistatore incontrastato del mondo. Ciò che è fondamentale notare nei lavori di Pierre Huyghe o di Rosemarie Trockel è che l’interesse nei confronti di agency non-umane passa, per prima cosa, attraverso un decentramento della pratica e dello sguardo umano.2626Su queste tematiche si vedano gli ormai canonici testi: Donna Haraway, Chthulucene. Sopravvivere su un pianeta infetto, trad. it. di Claudia Durastanti e Clara Ciccioni, NERO, Roma, 2019; Anna Lowenhaupt Tsing, Il fungo alla fine del mondo. La possibilità di vivere nelle rovine del capitalismo, trad. it. di Gabriella Tonoli, Keller, Rovereto, 2021; Bruno Latour, Riassemblare il sociale. Actor-Network Theory, trad. it. di Donatella Caristina, Meltemi, Sesto San Giovanni, 2022; Jane Bennett, Vibrant Matter a political ecology of things, Duke University Press, Durham-London, 2010.
Questo cambiamento di paradigma è inoltre fondamentale perché tali intrecci di relazioni e collaborazioni non si dissolvano in un caos fatto di tendenze entropiche. Come ha scritto Stefanie Hessler a proposito della mostra da lei curata, More-than-humans

«In un periodo afflitto dal cambiamento climatico, da una crisi sanitaria globale e da un’ingiustizia sociale di cui non si vede la fine, la ricerca scientifica di base è straordinariamente importante. È fondamentale tuttavia non dimenticare che la produzione di conoscenza, come l’arte, per contare qualcosa, non può essere strumentalizzata all’infinito, e che è necessario dare ad altre forme di conoscenza, si tratti di epistemologie non occidentali o intelligenze non umane, lo spazio per trasformare ciò che è considerato conoscenza. Riconoscere i nostri legami con altre specie e tenerne conto nella ricerca apre alla possibilità di una nuova cosmopolitica – per usare il termine della filosofa Isabelle Stengers – di ecologia condivisa e attenzione verso le altre specie». 

Simili a dei biotopi, questi lavori mirano a mettere in luce le relazioni e le modalità di comunicazione interspecifiche delle forme di vita che abitano o transitano all’interno del loro spazio, rivelando il fragile equilibrio su cui si basano tali rapporti.2727Sulla difficoltà di rappresentare le agentività animali e vegetali si veda Marco Malvestio, Raccontare la fine del mondo. Fantascienza e Antropocene, nottetempo, Milano, 2021.
Più che tentare goffamente di eliminare la propria presenza antropica, questə artistə rivelano che l’intelligenza umana non è che una, tra le tante e diverse, forme di organizzazione del mondo.2828Carl Safina, Al di là delle parole. Che cosa provano e pensano gli animali, trad. it. di Isabella C. Blum, Adelphi, Milano, 2018; Laura Tripaldi, Menti parallele. Scoprire l’intelligenza dei materiali, Effequ, Firenze, 2020.
 

Gli infiniti ripiegamenti delle variabilità caotiche

Una simile tripartizione va incontro di per sé a limiti ben evidenti. È chiaro, infatti, che si tratta di una suddivisione dai confini sfumati e che molte delle opere citate potrebbero rientrare in più gruppi. Senza contare il fatto che lavori di artistə come Laure Prouvost, Arthur Jafa, per non parlare di Tomás Saraceno o Hito Steyerl, potrebbero essere considerati esempi di pratiche artistiche in grado di situarsi ai bordi stessi dei raggruppamenti tematici che abbiamo proposto. Tuttavia, ci sembra comunque rilevante osservare che una simile mappatura, per quanto parziale, permette di mettere in luce il comune sforzo nel creare degli ambienti effimeri all’interno dei quali una parte essenziale del lavoro è data dal saper gestire e organizzare forze, spinte e tensioni provenienti dai diversi elementi impiegati. Che si tratti di lottare con un white noise comunicativo, di sospendere il meccanismo stimolo-ricompense che deriva dalla mercificazione di ogni aspetto della vita, o di sabotare la predazione antropica, la delimitazione di uno spazio di resistenza passa attraverso un confronto con la radice del proprio esaurimento. Saper costruire un ambiente, per tornare al punto di partenza di questo saggio, significa lavorare nei luoghi di transito, nelle membrane. Significa, in altri termini, saper riconoscere e modulare il rapporto con le differenti variabilità caotiche che segnano e alimentano ogni singolo ambiente. 

Vukasin Ivkovic, “War for Badab scenes”, 2021.

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"Information is power. But like all power, there are those who want to keep it for themselves. But sharing isn’t immoral – it’s a moral imperative” (Aaron Swartz)

Autori
  • Davide Tolfo
    Davide Tolfo si interessa di filosofia e arte contemporanea. Ha scritto per Marsilio Editore, NOT, La Deleuziana, Mimesis e KoozArch.
  • Nicola Zolin
    Nicola Zolin è sound designer e co-fondatore dell’etichetta sperimentale Rest Now! recordings. Si occupa di musica, gaming, theory, arti visive e le intersezioni tra di esse. Ha pubblicato testi per NOT, KoozArch, Cactus Magazine e La Deleuziana.
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