Antony Gormley, SLUMP II, 2019.
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Il lato creativo del dark web
Magazine, HYPER – Part I - Marzo 2020
Tempo di lettura: 19 min
Silvia Cegalin

Il lato creativo del dark web

Le esperienze e le lotte artistiche dall’altra parte del web.

Un fotogramma dal documentario “Deep Web Dive” di Trevor Paglen, 2016.

 

Immersione nel Deep e nel Dark Web: cosa sono e come funzionano

«Non gridare al fuoco nel cyberspazio».
(J. C. Herz , I surfisti di Internet, Feltrinelli, Milano, 1999)

Per affrontare l’argomento di cui vi parlerò in questo articolo occorre spingersi aldilà della superficie per andare in profondità, in quel lato oscuro che spesso si ha timore di incontrare, ma che una volta conosciuto tanta paura non fa.

Oscura, dark, non a caso, è anche definita quella parte di Internet che si posiziona a un livello sotterraneo, nascosto e per molti ancora ignoto. Internet, infatti, è composto da tre strati: il surface web, il deep web e il dark web. Il surface web, ossia “web di superficie”, è la porzione di Internet in cui i contenuti sono direttamente accessibili a tutti perché indicizzati dai motori di ricerca, come per esempio Google, Yahoo, Bing. Questa, non a caso, è la parte del web più conosciuta e visitata dagli utenti, proprio perché i dati, essendo stati mappati, sono raggiungibili tramite una semplice ricerca.

Diverso, invece, è il caso del deep web, l’area di internet non indicizzata e quindi impossibile da trovare attraverso i motori di ricerca. In questa parte di rete sono inclusi l’insieme dei contenuti accessibili tramite login (forum, email, conto corrente bancario, pagine private di un sito), e ovviamente le pagine non ancora indicizzate; vi si entra perciò mediante autenticazione.

Ciò che è curioso rilevare è il fatto che il deep web comprenda il 96% della rete Internet, mentre i soli restanti 4% appartengono al web di superficie; inoltre, il deep web, nel suo strato più abissale, presenta una zona (all’incirca il 3%) ulteriormente nascosta, più buia: il dark web, anche detto dark net.

A differenza del deep web, il dark web si raggiunge esclusivamente grazie a specifici software che consentono l’anonimia. Il più conosciuto è Tor, ma vale la pena citare anche Freenet e I2P. Di conseguenza, i siti presenti nel dark net non terminano mai in .com o .org, ma in .onion o I2P.

Tor browser logo.

In Weaving the Dark web: Legitimacy on Freenet, Tor, and I2P, il teorico della comunicazione Robert Gehl chiarisce che Tor consente la navigazione in modo invisibile in quanto funziona mandando la richiesta online per connettersi a un network diverso, che a sua volta lo rimanda a un altro, non permettendo in questo modo di decifrare l’IP di chi stia realmente visualizzando il sito. E sempre tramite il browser Tor, che in questo caso si sostituisce a Firefox, si accede a siti quali Onion, da cui può partire l’esplorazione negli “inferi” di Internet.

La componente più interessante del dark web è la navigazione in totale anonimia, sia per i visitatori sia per chi pubblica e detiene le pagine, e proprio su questo punto si gioca la controversia più significativa che infiamma i dibattiti intorno al dark web. Il poter restare anonimi può infatti rappresentare, per alcuni, un motivo in più per compiere atti illeciti.

In merito si è espresso il giornalista inglese Jamie Bartlett, che nel libro The Dark net. Inside the digital underworld sottolinea come nel dark web gli utenti, non essendo identificabili, si sentano liberi non soltanto di esprimere le proprie idee (non esistendo alcuna forma di censura e monitoraggio), ma anche di mettere in atto comportamenti devianti, punibili dalle norme etiche e soprattutto aggressivi (si pensi in questo caso alle figure dei troll, che possono agire senza essere bloccati).11Un celebre caso di trolling menzionato dallo stesso Bartlett nel suo volume è quello della studentessa Sarah, che dopo essere entrata in 4chan ha iniziato, su invito, a inviare foto intime a diversi utenti, rivelando di volta in volta qualche dettaglio su di sé. I troll, sempre rimasti anonimi, a partire da queste informazioni sono riusciti a risalire a tutti i dati personali di Sarah, compresa la via in cui abitava. I troll hanno quindi condiviso le foto in cui Sarah era nuda a tutta la sua cerchia di amici e parenti.
E ciò succede perché, continua sempre Bartlett, la concezione che si ha della propria identità digitale è nettamente separata da quella sociale e reale, come se stando al pc ci si trasformasse in un altro individuo.

Essendo immune a qualsiasi tipo di controllo e restrizione, cosa a cui è invece soggetto in maniera alquanto prepotente il surface web, il dark web si rivela di conseguenza terreno fertile per il contrabbando, lo scambio di merce illegale e la diffusione di ideologie e movimenti estremisti che possono risultare anche pericolosi.

Tra queste attività va menzionato il Silk Road, l’Ebay del dark web, sito creato nel 2011 ma attualmente chiuso, divenuto in brevissimo tempo uno tra i maggiori canali per la vendita di droga, sorpassando persino gli altri market illegali. Il Silk Road è congeniale per la compravendita di droghe, o di altra merce illegale, come le armi, ma è anche un sito che consente di ingaggiare killer, o altro genere di criminali. Ora tutto ciò è possibile grazie al pagamento in Bitcoin, criptovalute che non essendo tracciabili facilitano la diffusione di condotte punibili dalla legge.

il dark web è diventato il contenitore per eccellenza per contrastare la massificazione dei pensieri.

Senza l’esistenza dei Bitcoin, il mercato del Silk Road non potrebbe esistere, o meglio sarebbe molto più rischioso; infatti, come ha recentemente dichiarato l’esperta di tecnologie digitali Natalya Kaspersky durante una conferenza universitaria a San Pietroburgo, entrambi, sia il dark web che le criptovalute, sono nate insieme e realizzate dall’intelligence americana per coprire operazioni segrete.

Da quanto descritto, l’immagine che se ne ricava del dark web è prevalentemente negativa, e questa è anche l’idea generale che ne ha la maggior parte delle persone che, precisa Bartlett, proprio per questo motivo evitano di esplorare il dark web, perché non solo ne hanno paura, ma ingenuamente credono che visitarlo sia in qualche modo vietato.

Tuttavia, il web oscuro non è soltanto sede di attività illecite o esperienze estreme“…il web oscuro non è soltanto sede di attività illecite o esperienze estreme”, ma è anche uno spazio che contiene in sé aspetti positivi e sicuramente all’avanguardia. A fare forza sulle sue componenti meritevoli è Robert Gehl, che proprio sullo scambio di idee e informazioni libere e non monitorate individua uno tra i punti forti del dark net. Non dobbiamo stupirci, infatti, se proprio il dark web è stato – ed è il luogo perfetto – in cui far circolare news, reportage e dati censurati dai maggiori media e dal surface web stesso, e che grazie a questa caratteristica ha permesso ad attivisti, giornalisti, artisti e oppositori di regime di ottenere notizie altrimenti sconosciute, creando così un’opportunità di incontro e discussione.

In linea con l’idea di Gehl è anche il critico e teorico Geert Lovink, che in Dark Fiber. Tracking Critical Internet Culture dichiara che il fenomeno dell’attivismo sociale e politico trova la sua linfa vitale proprio nel dark web. I blog, i forum e i siti presenti nelle maglie profonde della rete hanno come obiettivo quello di formare una coscienza collettiva che sia in grado di contrastare le ideologie dominanti e un sistema informativo solitamente influenzato e influenzabile. Attraverso figure, continua sempre Lovink in L’abisso dei social media, come quella di Anonymous, il dark web grazie alle azioni di hacktivismo è diventato il contenitore per eccellenza per contrastare la massificazione dei pensieri e la manipolazione degli eventi oggettivi: «Siamo nell’epoca di WikiLeaks e di Anonymous, degli attacchi informatici tipo denial-of-service contro infrastrutture vitali e del whistleblower Edward Snowden, tutti soggetti che catturano l’immaginazione globale. Si tratta di un mondo che già da qualche decennio è rimasto terra incognita per le istituzioni pubbliche. Qui la comunicazione non è più un lusso e si ribalta in una questione ben più grande, lasciandosi alle spalle le tattiche già concepite per il ghetto».22G. Lovink, L’abisso dei social media. Nuove reti oltre l’economia dei like, EGEA, Milano, 2016, p. 235.

E in Media Activism sempre Lovink dichiara che, mentre il resto dei sistemi comunicativi (tra cui è incluso pure il surface web) è diventato obsoleto e costretto a una deriva accelerata causata in parte dalla crescita esponenziale dei social media, il dark web, invece, resta, almeno per il momento, l’opzione più congeniale per la libera circolazione delle idee e per creare  movimenti anti-sistema, ma non per questo necessariamente violenti, in grado di usufruire del web come risorsa utile per modificare in modo concreto il panorama in cui viviamo.

L’assenza di censura è, perciò, uno tra i caratteri rilevanti del web oscuro. Tale aspetto, naturalmente, assume connotazioni e ruoli differenti a seconda che si tratti di Stati democratici o regimi autoritari e dittatoriali. Come ha spiegato Eric Jardine in The Dark Web Dilemma: Tor, Anonymity and Online Policing, il dark web può acquisire valori positivi se presente all’interno di quegli Stati in cui le informazioni subiscono una censura costante, perché ciò consente alla popolazione di accedere a notizie che altrimenti le sarebbero negate, e di poter, a sua volta, confrontarsi con i vari utenti su quanto sta succedendo in quei territori, così di fatto da costruire una rete sociale attiva e telematica.

La questione è diversa se la si affronta invece in un paese democratico liberale, poiché, prosegue Jardine, sebbene l’hacktivismo contro le lobby funzioni in maniera energica producendo azioni che poi si manifestano concretamente nel reale, in questo si corre tuttavia il rischio che il mancato monitoraggio e l’anonimia vadano a scalfire alcuni diritti fondamentali dei cittadini (come quello della privacy, per fare un esempio) e che dunque, più che come sinonimo di libertà, il dark web si trasformi in un’occasione per sviluppare atti che poi rimangono il più delle volte impuniti.

Nonostante il dilemma espresso da Jardine, resta comunque evidente il fatto che il dark net svolga una funzione – almeno ad oggi – irrinunciabile, poiché è soprattutto grazie a esso che si sono consolidati  movimenti sociali, innovatori e artistici (che analizzeremo nel prossimo paragrafo) efficaci per deviare dal generale appiattimento culturale che, come sostiene l’inventore del browser Freenet, Ian Clarke, ha contagiato i maggiori media, rendendo il dark web una valida alternativa alla comunicazione mainstream e decentralizzandolo dalle varie forme di controllo e potere.

Per concludere, quindi, prendendo come spunto le parole di Jamie Bartlett, si può definire il dark web come un universo di libertà e potere, di informazione e creatività, un mondo che con i suoi tentacoli ci fa desiderare l’oscurità aumentando di volta in volta una curiosità morbosa e illuminata allo stesso tempo.

 

Il lato vitale del dark web e le sue forme artistiche

Ed è tra i sentieri di queste lande infiammate di oscurità che i nostri sensi si stupiscono, scorgendo nel buio una forma di luce. Questa seconda parte che mi accingo ad affrontare intende infatti esaminare il lato vitale del dark web, ossia quelle azioni positive e con un chiaro intento artistico che lo rendono un contenitore attivo e lontano dall’immagine negativa a cui generalmente è associato.

Se Tatiana Bazzichelli in Networked Disruption definisce la net art33La net art è una forma d’arte sorta a metà degli anni ’90. Si tratta di un’arte creata e fruibile esclusivamente via Internet, deviando così dagli spazi artistici tradizionali, come gallerie e musei, dando vita, di conseguenza, a un’esperienza artistica in forma telematica che stimola la produzione di linguaggi sino a quel momento inesplorati. Il termine è stato coniato nel 1995 dall’artista e programmatore Vuk Cosic, che ebbe l’idea quando a causa di un messaggio email indecifrabile – “[…] J8~g#|\;Net. Art{-^s1 […]” – decise di estrarre le uniche lettere leggibili e creare così il termine net art.
 come un’arte di rottura con i sistemi narrativi e produttivi delle altre principali forme artistiche, le esperienze creative che troviamo nel dark net, possiamo dire, subiscono una doppia rottura, perché non solo possiedono le caratteristiche dell’Internet Art, ma ne amplificano i lati radicali. L’arte presente nell’altra parte del web è un’arte demistificata“…L’arte presente nell’altra parte del web è un’arte demistificata” in quanto, posizionandosi al di fuori del centro di controllo ed espositivo tradizionale, possiede una libertà incondizionata che la porta a essere, prima ancora che un’arte basata sugli interessi economici, un’arte improntata sulle relazioni umane.

la net dark art è autoreferenziale in quanto il web stesso è il tema principale.

In tale contesto, la business class dell’arte viene sminuita, o più precisamente cancellata, in quanto gli artisti che operano nel dark web, come presto vedremo, non sono mossi da un eventuale desiderio di profitto o nell’affermazione del proprio ego, ma motivati dall’intrecciare relazioni che portino a un reale cambiamento della società e del suo modo di intendere l’arte in genere.

La comunità che agisce nella net, ma ancora di più nel dark web, è, citando Richard Day in Gramsci is Dead: Anarchist Currents in the Newest Social Movements, una comunità virale che attraverso strumenti quali la resistenza e la ricostruzione consente agli artisti, agli hacktivisti e agli spettatori stessi di tessere alternative forme di condivisione tramite un’azione che inizialmente è di rottura dai vecchi schemi.

La rete, perciò, è all’interno dei prodotti artistici web, come asserisce in What is netart ;-)? Joachim Blank, simultaneamente soggetto e oggetto. Idea in linea con il pensiero del critico tedesco Tilman Baumgärtel, che individua in Internet non soltanto il codice stesso che costruisce l’opera (che volendo fa eco alla famosa citazione di McLuhan: il medium è il messaggio), ma aggiunge che la net dark art è autoreferenziale in quanto il web stesso è il tema principale affrontato nei vari progetti, autoreferenzialità che, attenzione, proprio per il fatto di situarsi al di fuori dei circuiti classici, non è più vista come caratteristica negativa ma come il segnale che essa è «un’arte che non ha più bisogno di essere chiamata arte».44T. Baumgärtel, [net.art 2.0]. New Materials Towards Net art, Verlag für moderne Kunst, Nurnberg, 2001, p. 25.

Franco & Eva Mattes, Dark content, 2015.

Tra gli artisti che hanno interagito con il dark web vi è il duo composto da Eva & Franco Mattes,55Eva & Franco Mattes (classe 1976), attivi dalla metà degli anni Novanta, sono tra gli esponenti più interessanti della net art. Nelle loro creazioni si sono dedicati a destrutturare i contenuti offerti da Internet ridefinendo il modo di usufruire e fare arte, avviando non solo un dibattito che coinvolge la società, il web e i nuovi mezzi comunicativi, ma creando vere e proprie forme di provocazione che si situano ai confini tra finzione e autenticità. Tra i loro progetti meritevoli di essere citati sono: il Luther Blissett project (1994/1999) e United we stand (2005/2006). Per una maggiore analisi delle loro opere si rinvia alla lettura di: D: Quaranta, Eva and Franco Mattes: 0100101110101101.org, Charta, 2009; e Portraits, Exhibition Catalogue, Fabio Paris Art Gallery, Brescia, 2007.
essenziali in quanto sin dagli esordi della loro carriera, attraverso le loro opere, hanno messo in discussione il concetto di identità che, come abbiamo già notato, nel dark web viene del tutto annullato in quanto il punto di forza è appunto l’anonimia. Inizialmente il duo, per firmare le sue creazioni, utilizzava la formula 0100101110101101.ORG, che Domenico Quaranta, nel saggio Life and Its Double contenuto nel libro Portraits, interpreta come un’esplicita presa di distanza autoriale conferita alla figura dell’artista, oltre che un modo per contrastare la crescente importanza che i dati identificativi personali stanno assumendo nella vita quotidiana e burocratica. L’adottare un codice binario piuttosto che i propri nomi può essere pertanto letto come una rinuncia verso quella fama e successo che spesso portano gli artisti a un’auto-esaltazione fine a se stessa.

Non a caso, tra il 1998 e il 1999, 0100101110101101.ORG realizza il progetto Darko Maver, che ha come obiettivo quello di inventare l’identità fittizia di un artista dissidente, opera che sottolinea con maggiore forza quanto sia labile il confine tra la realtà e la sua manipolazione, specie quando concerne l’idea di identità.

Franco & Eva Mattes, Emily’s video, 2012.

Occorre tuttavia aspettare il 2012 per avere la prima opera di Eva & Franco Mattes con esplicito riferimento al dark net: si tratta di Emily’s video. L’opera chiama in causa i pregiudizi e gli stereotipi che generalmente si hanno del dark web, mettendo in scena le reazioni dei telespettatori a un video trovato sul dark web. Per realizzare l’opera, gli artisti hanno pubblicato una call. Dopo aver selezionato i volontari, una ragazza di nome Emily si è recata nelle loro case per mostrare il video. Le loro espressioni sono quindi state registrate attraverso una webcam. Ed è proprio nella visualizzazione delle reazioni sconvolte e scioccate dei partecipanti che, in un certo modo, Eva & Franco Mattes giocano con la concezione negativa che si ha del dark web, associato solitamente alla violenza e a contenuti borderline, pur non rivelandoci mai, tuttavia, il contenuto delle immagini.

La loro opera più importante dedicata al dark web è però sicuramente Dark Content (2015), creazione che comprende 100 interviste a moderatori anonimi di Internet in una location che ricalca le ambientazioni tipiche d’ufficio. Dialoghi che sono stati divisi in episodi in formato video e in cui, per tornare ancora al tema identitario, i moderatori compaiono in versione avatar e con voce modificata da software vocali, ovviamente per non rischiare di esporsi. Il dark web, qui, assume un ruolo decisivo, non solo perché l’opera appare inizialmente nel dark net, ma anche perché i moderatori nel web sotterraneo non esistono, in quanto la loro funzione prevede di controllare, moderare ed eventualmente bloccare i contenuti non in linea con la regolamentazione presente nel surface web. Una figura, quella del moderatore, che filtra le informazioni e che inevitabilmente modifica la nostra esperienza nel web, limitando una libertà di visione presente invece, con i suoi pro e i suoi contro, nel dark web.

Un altro lavoro fondamentale per comprendere il ruolo del dark web nei contesti artistici è Pivilion (2015), realizzato da Dina Karadzic e Vedran Gligo durante una residenza presso «Schlosspost» avente come tema la decentralizzazione di Internet. Il duo croato decide in merito di realizzare una galleria d’arte nel dark web con lo scopo di esporre lavori non soggetti alla censura o al controllo preventivo. Uno spazio d’arte decentralizzato che, situandosi al di fuori delle dinamiche tradizionali del mercato dell’arte, si pone in una posizione di indipendenza e libertà.

Nell’intervista del 2016 apparsa su «Schlosspost»,66Di seguito il link: https://schloss-post.com/art-dark-net/ (ultima consultazione: 12 aprile 2020).
Karadzic e Gligo ribadiscono infatti l’idea che la galleria di Pivilion sia nata con l’intento di costruire spazi d’arte in cui emerga la forza di una comunità culturale che non sia vittima delle strategie commerciali e istituzionali e che, al contrario, faccia leva su uno scambio aperto di opinioni tra espositori, curatori e visitatori. E proprio per questo il dark web è sembrato ai due artisti la sede migliore in cui creare questo spazio, perché la mancata sorveglianza da parte di terzi ha permesso il costituirsi di una rete nomade che ha alla base trasparenza e un coinvolgimento attivo e non filtrato. In questo caso, quindi, il dark web ha avuto una funzione essenziale e positiva per agevolare le connessioni culturali a un livello più autentico. Karadzic e Gligo, non a caso, definiscono il loro progetto Off, perché grazie alla collaborazione con altri artisti hanno dato vita a un codice funzionante che ha ampliato i modelli di fare arte e della sua distribuzione, puntando anche verso un’educazione che non escluda nessuno.

Trevor Paglen & Jacob Appelbaum, Autonomy cube, 2014.

Se i lavori di Eva & Franco Mattes e di Karadzic e Gligo hanno evidenziato il carattere sociale del dark web e la sua propensione a un attivismo comunitario, con le opere di Trevor Paglen,77Per un approfondimento sull’artista si segnala J. Bryan-Wilson, L. Cornell, O. Kholeif, Trevor Paglen, Phaidon, 2018.
fotografo, geografo ed esperto di tecnologie, il dark net si svela nella sua materialità, andando quindi oltre la componente virtuale, per riscoprirsi nella propria dimensione fisica. In Deep Web Dive (2016), Paglen rende letterale la declamazione di origine kleeiniana di “rendere visibile l’invisibile”, in quanto ciò che mostra attraverso le sue fotografie è l’esposizione nuda dei cavi di fibra ottica presenti sui fondali marini. Qui Paglen trasforma Internet in un’immagine materica, e in questo incastro tra la metafora concernente il deep web (ossia di un Internet sommerso) e la visibilità della struttura fisica della fibra ottica, l’artista ci comunica come nella profondità di spiagge, lidi e paesaggi marini i cavi risiedano conservando i nostri dati, le nostre foto, la nostra vita. Ed è proprio in questo modo che Paglen è in grado di avviare, attraverso le sue fotografie, un dibattito sui concetti di privacy e sorveglianza (temi a lui molto cari e presenti in quasi tutta la sua produzione), ricordandoci come ogni nostra azione nel web sia registrata e memorizzata da Google. All’interno di questa geografia sperimentale che si muove tra artificiale e naturale, Paglen immortala il corpo del web che, nella sua rivelazione, ci ricorda che per avere una visione completa delle cose occorre spingersi aldilà della superficie, calarsi in fondo: così come accade per la navigazione in Internet, che per essere il più autentica possibile deve andare oltre il surface web.

Un’ulteriore opera di Paglen che chiama in causa il dark web è Autonomy cube (2014), una scultura che può essere al tempo stesso vista e usata, in quanto si tratta della struttura interna di un computer disponibile di un hotspot Wi-Fi chiamato Autonomy Cube, che può essere usato dai visitatori della galleria. Ora, ciò che è essenziale rilevare è che Autonomy Cube indirizza il traffico Internet in una rete Tor che, come già sappiamo, consente ai visitatori di restare anonimi e di agire in totale libertà sul dispositivo. In quest’opera, dunque, è come se Paglen giocasse con il contrasto tra la folla “carnale”, presente nel luogo espositivo, e le individualità, in questo caso non tracciabili e immateriali dei vari utenti connessi ai loro pc o Iphone, instaurando una componente di mistero in quanto né lui né gli altri visitatori sono a conoscenza dei siti dark net esplorati, sottolineando ancora una volta l’importanza fondamentale della privacy e le limitazioni che spesso offre la navigazione nel surface web.

l’arte creata nel dark web ha aperto a scenari visivi, di fruizione e produzione prima inesplorati.

!Mediengruppe Bitnik, Random Darknet Shoppe, 2016.

Più provocatoria è l’opera Random Darknet Shopper (RDS) del 2014 del duo svizzero formato da Carmen Weisskopf e Domagoj Smoljo, noti soprattutto come Mediengruppe Bitnik. il progetto ha ricevuto anche una menzione onoraria al Prix Ars Electronica del 2016 nella sezione Interactive Art+. RDS è una creazione che si pone ai limiti della legalità, in quanto consiste in un software finalizzato a selezionare e acquistare merce in modo casuale e per un valore di massimo 100$ di bitcoin nel mercato del dark net. I prodotti giungeranno in seguito nel luogo della mostra riempiendo così l’intero spazio espositivo. Sin qui, dunque, niente di strano, a eccezione del fatto che, come sappiamo, nel dark web “gira” merce di ogni tipo, ragion per cui tra la merce acquistata vi era anche della droga. Ed è proprio qui che si manifesta l’elemento del rischio, l’attesa per l’inatteso e la perdita del controllo, ossia tutte componenti che riguardano il dark web: «In breve, RDS è una macchina enunciativa automatica di un contenuto oscuro come il dark net, dispositivo hauntologico grazie al quale il fantasma della parte più remota della rete si manifesta nella “casa” che infesta con i suoi simulacri, a mostrare il caos che alberga ogni cosmos, come suo rovescio e suo fuori».88M. Amaglio, F. Dimaio, Random Darknet Shopper Guerriglia semiotica tra ready-made, illecito e post-medialità, Relazione del corso di Semiotica dei nuovi media, Università di Bologna, 2019.

Portando in un suolo concreto ed espositivo del materiale incognito, in RDS i Mediengruppe Bitnik hanno pertanto avviato una riflessione su cosa sia lecito o meno fare nel campo dell’arte, e quali siano i confini che segnano i territori di ciò che è consentito o vietato fare: nel caso specifico le autorità si trovarono incapaci di definire un colpevole di reato per l’acquisto di stupefacenti, in quanto era stato lo stesso computer, tramite una selezione casuale, a selezionare il prodotto. Random Darknet Shopper resta perciò uno tra i lavori più illuminanti e contemporanei dedicati al dark web.

Dagli esempi esposti si deduce che l’arte creata nel dark web ha aperto a scenari visivi, di fruizione e produzione prima inesplorati, rendendo le relazioni di networking il punto forte per la sua sopravvivenza. È inoltre interessante rilevare come tali rapporti si siano riversati anche nel mondo reale, dando vita a mostre ed eventi fisici (anche se al momento, a dir la verità, non ancora moltissimi), in cui le tematiche del dark e del deep web sono diventate occasione pubblica di confronto e scambio di opinioni. È il caso, per esempio, della mostra The Darknet ‒ From Memes to Onionland. An Exploration, presentata presso la Kunst Halle Sankt Gallen tra ottobre 2014 e gennaio 2015, in cui grazie alla partecipazione di studiosi del calibro di Valentina Tanni si è aperto un dibattito sulle nuove forme d’arte e l’evento Dark Technology Dark Web (Spektrum – art science community, Berlino 21-23 aprile 2017), in cui ha preso parte anche l’esperta di networking art Tatiana Bazzichelli. Eccezioni che rilevano come anche nel web più sotterraneo siano presenti forme di vita che così oscure poi non sono.

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di Silvia Cegalin
  • Silvia Cegalin è laureata in Discipline dello spettacolo dal vivo a Bologna. Scrittrice e articolista freelance interessata alle arti digitali e performative e con un'attenzione verso i fenomeni culturali underground, i suoi articoli sono apparsi in Alfabeta2, Menelique, Philosophy kitchen, Kasparhauser e Punk Vanguard Magazine.
Bibliography

Jamie Bartlett, The Dark web. Inside the digital underworld, Melville, 2015.
Tilman Baumgärtel, [net.art 2.0]. New Materials Towards Net art, Verlag für moderne Kunst, Nürnberg, 2001.
Tatiana Bazzichelli, Networked Disruption. Rethinking Oppositions in Art, Hacktivism and the Business of Social Networking, Aarhus Universitet Multimedieuddannelsen, 2013.
Joachim Blank, What is netart 😉 ?, 1996.
Robert Gehl, Weaving the Dark Web: Legitimacy on Freenet, Tor, and I2P,  MIT, 2018.
Eric Jardine, The Dark Web Dilemma: Tor, Anonymity and Online Policing, Centre for International Governance Innovation and Chatham House, 2015.
Geert Lovink, L’abisso dei social media. Nuove reti oltre l’economia dei like, EGEA, Milano, 2016.