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La didattica attiva e sperimentale di PIA
Project, 11 May 2023
Intervista

La didattica attiva e sperimentale di PIA

Intervista ai fondatori del progetto in occasione della seconda edizione del nostro workshop di scrittura per l’arte contemporanea

PIA, corso 2020, crits, Marco Musarò. Ph Raffaella Quaranta.

Cinque anni fa nasceva PIA, una scuola indipendente e sperimentale, di ricerca e produzione per artisti e curatori con sede a Lecce. Il progetto è stato fondato da Jonatah Manno e Valeria Raho, e il suo team attuale è formato da Raffaella Quaranta, Marianna De Marzi, Maria Stradoni, Pierluigi Calignano, Andrea Fiore, Ivan Romano.

Come ci raccontano i fondatori del progetto, PIA si ispira alle architetture organiche e all’idea di giardino. La didattica sperimentale messa in atto da PIA abroga l’idea piramidale e gerarchica dell’istruzione, in favore di un coinvolgimento attivo tra studenti e mentori attraverso lo scambio reciproco di esperienze e strumenti. La scuola rappresenta sicuramente un unicum in Italia e può fornire all’attuale modello dell’istruzione nuove prospettive, suggerendo modalità inedite di pensare e fare scuola. 


Simona Squadrito: Per cominciare vorrei approfondire con voi gli intenti e i principi che animano PIA, le ispirazioni da cui prendere spunto per organizzare la didattica di questa scuola indipendente di arti visive e cultura del contemporaneo che avete fondato circa cinque anni fa. 

PIA: È vero, siamo una scuola, insegniamo la storia dell’arte recente e offriamo opportunità di crescita e arricchimento per la ricerca e la produzione artistica dei nostri studenti. Ma in realtà PIA è molto più di questo. La scuola propone una didattica sperimentale che si autogenera a seconda degli interessi dei partecipanti e degli ospiti. La strategia didattica che adotta PIA si fonda sullo scambio di informazioni e strumenti, e guarda più alle metodologie delle scuole esoteriche che a quelle tradizionali per le arti. Ci piace pensarci come un organismo che muta nel tempo a seconda delle spinte e dei moti interni. PIA è pensata infatti come un’architettura organica, si ispira all’idea di giardino.

Simona Squadrino: L’idea di fondare una scuola è nata a seguito del ritorno di Jonatah in Puglia, dopo le diversi anni passati all’estero. Al principio, la vostra idea era quella di portare nel territorio pugliese esperienze formative di rilievo. Come ha preso corpo il progetto?

PIA (Jonatah Manno): La mia è stata più un’intuizione, la scuola in sé è sorta in modo molto spontaneo. Quando sono tornato in Puglia con questa idea, l’ho condivisa scoprendo che questa necessità – quella di un centro in cui poter coltivare la creatività degli artisti presenti sul territori – abitava già nelle persone che operavano qui.

PIA è un po’ un Frankenstein delle esperienze formative che nel corso della mia vita ho ritenuto interessanti e che mi hanno aiutato a migliorare come persona e come artista.

Il nostro approccio ha, tra gli esempi a cui fa riferimento, le residenze nei campus a cui ho partecipato negli Stati Uniti, che hanno un taglio molto produttivo e puntano sulla comunità di artisti e sui visiting artist, che vengono con il ruolo di mentori per i partecipanti. Si tratta di comunità estremamente conviviali dove si vive tutti insieme.

Il nostro intento è stato ed è quello di colmare un gap presente sul territorio, e dare agli artisti informazioni e un luogo adatti. Uno spazio di condivisione di pensieri professionali ed emotivi. L’obiettivo è di costruire un luogo in cui è possibile collaborare con altre persone che condividano interessi comuni, pur non provenendo dal medesimo contesto scolastico. PIA si è da subito proposta come spazio collettivo fatto di persone con background eterogenei e appartenenti a generazioni diverse. Queste persone, insieme, formano un gruppo di lavoro in cui crescere professionalmente e umanamente.

Laboratorio di ceramica per il contemporaneo, bottega di Lorenzo Colì, 2022. Ph Raffaella Quaranta.

Simona Squadrito: Quando parlate di colmare un vuoto o un gap, spesso fate riferimento al divario tra Nord e Sud. Approfondendo il vostro programma, gli intenti e il vostro approccio didattico, mi sembra di poter affermare che una realtà come PIA rappresenta un unicum in Italia. Pensate che in grandi città come Roma o Milano esistano luoghi o scuole d’arte simili?

PIA (Jonatah Manno): Dalla mia esperienza di artista che si è formato attraverso un percorso alquanto tradizionale (accademia e residenze in Italia e all’estero), posso dire che una realtà come quella proposta da PIA non è così diffusa in Italia. Anzi, non credo che attualmente sia presente, in nessuna città italiana, un esempio simile al nostro.

PIA si basa e si costruisce via via, attraverso le persone che vi transitano: insegnanti, studenti e ospiti che interagiscono tra loro direttamente e reciprocamente. Non proponiamo una didattica a struttura piramidale al cui vertice preveda un professore in cattedra che impartisce lezioni. Vi è invece uno scambio di informazioni da parte di chi ha più esperienza o cose da dire che mette a disposizione di tutti. L’immagine simbolica che mi viene in mente per descrivere PIA è il sigillo di Salomone.

Simona Squadrito: Tu, Valeria, hai una formazione e un’esperienza diverse da quella raccontata da Jonatah. Condividi le sue affermazioni? 

PIA (Valeria Raho): Sì, le condivido, anche nella diversità dei nostri approcci. Io ho un background diverso da quello di Jonatah. Sono una curatrice e ho una formazione accademica nel campo della storia dell’arte, che ho sviluppato anche verso il mondo del giornalismo e della comunicazione. Guardandomi alle spalle mi sono resa conto che ogni volta che ho lavorato a un progetto ho fondato una scuola. La mia è una sorta di vocazione. Nel progettare PIA ho lavorato sui vuoti che ho percepito nel rapporto con le istituzioni. Questo progetto fa convogliare tutti i miei vari interessi, prendo spunto dalla storia dell’arte pura, dalla psicanalisi, dalla sociologia ma anche dall’antropologia e dalla filosofia, nel tentativo di insinuare nuove curiosità agli studenti. Pia mi rappresenta molto, il mio interesse non è solo sulla forma della scuola, ma sulle diverse metodologie che ho studiato. Prendo esempio da quegli artisti che hanno insegnato e che hanno fondato delle scuole. Ho approfondito queste mie curiosità, sottolineando nelle mie ricerche questo genere di approcci alla didattica, si tratta di uno studio che continuo a fare. Mi ritengo tuttora una studentessa. Forse è un atteggiamento che avrò a vita e che condivido con i partecipanti della nostra scuola, non mi siedo in cattedra, ma cerco di pormi sullo stesso livello dei ragazzi, provando a mantenere un’attitudine alla scoperta e alla discussione. 

Workshop PIA, L’ira di Sant’Irene, Liliana Moro (visiting artist), 2021. Ph. Raffaella Quaranta.

Simona Squadrito: Vorrei farvi una piccola provocazione. Ritengo che i modelli della didattica devono partire dal presupposto della realtà, del presente. La didattica deve partire dalla lettura del modello di mondo con cui si confronta. La messa in discussione della frontalità della lezione, dell’autorevolezza del docente è esplosa alla fine degli anni Sessanta. Gli studenti di allora abrogarono un modello di scuola nozionistico incarnato dalla lezione “frontale”, accusando tale modello di essere demagogico e autoritario.

Sono passati più di cinquant’anni da quegli anni di contestazione e in questi anni vi è stata anche una “mutazione antropologica”, aggravata da un cattivo uso delle informazioni accessibili grazie alle tecnologie contemporanee. Un problema di oggi, per esempio, è quello di non saper distinguere un’informazione vera da una falsa, di non saper risalire alla fonte dell’informazione. Il cattivo uso di strumenti di informazione come Internet ha portato a un appiattimento culturale. Mi sembra che oggi siano cambiati il tessuto sociale e il livello culturale, e credo che i giovani forse abbiano invece bisogno di figure come quella del “maestro”, uomini e donne di grande cultura e responsabilità capaci di trasmettere le loro esperienze e competenze. Penso inoltre sia necessaria una didattica che punti più agli strumenti metodologici che allo scambio di informazioni. PIA come affronta questo aspetto?

PIA: Intendiamo il termine “informazione” come tool. Ci domandiamo collettivamente come si possa realizzare una determinata cosa e attuiamo in breve delle strategie collettive affinché si possa ottenere un livello elevato di qualità. L’idea è quella di un giardino che si autogenera e si arricchisce sia dall’interno che dall’esterno. Non vogliamo creare una scuola che graviti, in maniera personalistica, attorno alla figura di un maestro. Crediamo che le dinamiche di confronto e negoziazione siano necessarie, e che probabilmente un’istituzione tradizionale non sia in grado di metterle in moto. La nostra scuola intende accogliere una pluralità di sguardi, supportarsi su una figura di docente-mentore che testimoni e accompagni il processo di fioritura dello studente. Lavoriamo molto su un concetto di autorialità condivisa e distribuita, in grado di mettersi continuamente in discussione. La nostra scuola non ha voti, non prevede esami, i suoi corsi non hanno una fine vera e propria, e la stessa suddivisione tra indirizzi esiste più per mere ragioni tecniche e pratiche che per altro.

“Fuzzy Games” mostra finale studenti, ex Ospedale Santo Spirito, 2021. Ph Raffaella Quaranta.

Simona Squadrito: Sono passati cinque anni dall’apertura della scuola. Avete avuto il tempo di fare i conti con la realtà, con il suo urto, e di valutare se i principi fondativi della scuola hanno ottenuto o meno risultati. Soprattutto avete avuto modo di sperimentare sul campo il vostro approccio didattico. Quali sono le vostre valutazioni?

PIA: La scuola si rimodella continuamente. In questi anni ci siamo sempre sorpresi dei risultati raggiunti, anche in negativo. Sicuramente gli urti li abbiamo avuti, ma in termini pratici rifaremmo le stesse cose che abbiamo fatto fin dal principio. Le grandi soddisfazioni che abbiamo avuto ci danno la spinta per continuare. In meno di cinque anni, il nostro progetto è cresciuto molto superando ogni aspettativa. Ci sono state cose che ci hanno sorpreso più di altre, come per esempio quando l’anno scorso abbiamo avuto alcuni studenti del Nord Italia, capovolgendo così la direzione migratoria tradizionale che solitamente muove invece dal Sud verso il Nord.

Simona Squadrito: Il vostro programma di studio prevede due percorsi: Fresher – beginner e Sophomore – advanced. Come si sviluppano praticamente questi indirizzi e come prendete annualmente le decisioni in merito al programma di studi?

PIA: Si tratta di un percorso incentrato sulle arti visive e sulla cultura contemporanea che cerchiamo di nutrire attraverso letture e incontri. Siamo un laboratorio di idee per il contemporaneo con due indirizzi, uno Fresher e l’altro Sophomore. Il primo consente al partecipante di qualsiasi età di esplorare liberamente, di lavorare con grande libertà senza l’ansia da prestazione. Il secondo, invece, è rivolto a coloro che hanno già avuto esperienze e che si sentono pronti a restituire le proprie ricerche alla città.

L’idea è di creare un percorso che non è mai uguale al precedente. Questo avviene perché facciamo sempre tesoro dei feedback dei nostri studenti e di quegli aspetti che per loro è importante sviluppare in continuità nell’anno successivo.

Annualmente all’interno del programma effettuiamo diversi cambiamenti rispetto alle materie e ai laboratori che vengono attivati. A cambiare non è solo il programma, ma il gruppo di studenti, dunque anche nel caso in cui si presentasse uno studente di anni precedenti troverebbe una scuola completamente diversa, fatta anche di stimoli differenti. 

“Capriola…an art week in Lecce”, 2022, Palai. Screening curato da Isabelle Cornaro e Daniel Jacoby. Ph Raffaella Quaranta.

Simona Squadrito: Qual è l’età media dei vostri studenti? Quanti studenti avete annualmente?

PIA: Quest’anno tra i nostri studenti è presente una ragazza di diciassette anni, la più giovane, ma abbiamo avuto anche studenti di cinquant’anni. Non abbiamo limiti di età, vogliamo un po’ uscire dalla logica dell’artista giovane. In media la classe ospita tra i dieci e i venti studenti l’anno. 

Simona Squadrito: Quali sono i criteri di selezione degli studenti e della formazione annuale della classe?

PIA: Facciamo un colloquio conoscitivo, che è utile per capire la motivazione dello studente e chiarire alcuni aspetti del lavoro artistico da parte di chi applica. Non esiste un vero e proprio sbarramento all’ingresso, per noi è importante capire se c’è vera motivazione nel partecipare, vivere e fare esperienza del progetto PIA.

Simona Squadrito: Qual è l’impegno che è richiesto agli studenti in quantità di ore, e quanto dura l’intero corso di studi? 

un corso di PIA, guest Daniele Balice, 2022. Ph Raffaella Quaranta.

PIA: La scuola si svolge in media due giorni a settimana, solitamente durante il weekend. La lezione di storia dell’arte è fissa. Il prossimo anno vorremmo attivare anche un corso di inglese e uno di scrittura. Poi, ovviamente, ci sono i laboratori pratici. L’intero percorso di studi dura tre anni. Vorremmo attivare una quantità maggiore di corsi pratici e fornire competenze plastiche utili e spendibili. Quest’anno abbiamo iniziato il corso di ceramica e di cartapesta per il contemporaneo grazie all’aiuto di artigiani professionisti. L’obiettivo, in questo caso, è di riuscire a mantenere in vita tecniche e professioni che purtroppo stanno progressivamente scomparendo, almeno da queste parti.

Simona Squadrito: Come si finanzia la scuola con le sue attività? Ricevete sostegno da parte di istituzioni pubbliche e/o private? 

PIA: In passato abbiamo avuto dei supporter che hanno coperto i costi delle borse di studio, ma si può dire che in questo momento siamo completamente autonomi. Tramite la fee offerta dai nostri studenti riusciamo a coprire i costi della scuola.

Simona Squadrito: Ogni anno PIA organizza la Lecce Art Week. Com’è nato il festival e come si è sviluppato il calendario di quest’anno? 

PIA: La LAW è nata tre anni fa in maniera spontanea. Volevamo connettere gli spazi leccesi che si occupano di arte contemporanea, ma anche invitare alcune realtà, non solo della Puglia, che ci sembrano interessanti.

Il festival è nato un po’ per gioco e in maniera molto carbonara. Per noi è un’occasione di divertimento. Nell’arco di circa una settimana in città si dispiega un percorso artistico. A essere coinvolti sono gli spazi d’arte, le botteghe tradizionali che usano la cartapesta e la ceramica, e tutti quei luoghi della città che ci sembrano rilevanti per quanto riguarda il loro contributo storico ed estetico. Contributo spesso legato a un’idea di Arts and Crafts, di persone che portano avanti pratiche perlopiù cadute in disuso. Abbiamo intitolato questo percorso “The hidden Idume”, in riferimento al fiume Idume che scorre sotterraneo tra le vie di Lecce. Questo tipo di artigianato di decorazione pubblica era alquanto fiorente ancora fino agli anni ’70, e le maestranze erano spesso costituite da studenti dell’Istituto d’Arte. Si trattava di una sorta di fucina di maestri che lavoravano il ferro battuto, il vetro, la ceramica, che praticavano la pittura, per abbellire gli edifici pubblici e residenziali della città.

La programmazione, quella più battente, sulla contemporaneità nei primi tre anni è stata ospitata in alcuni edifici storici leccesi, come il Castello Carlo V, l’ex ospedale di Santo Spirito. Si tratta di spazi molto suggestivi che il Comune ci ha permesso di abitare durante il festival. Abbiamo invitato alcune realtà del luogo e non, e infine abbiamo anche organizzato la mostra di fine corso degli studenti di PIA

Festa finale di "Capriola... an art week in Lecce", Masseria Wave, 2022. Ph Raffaella Quaranta.
Quest’anno abbiamo voluto sostituire il nome “Lecce Art Week” con uno più personale e caratteristico. Abbiamo chiamato il festival “Capriola”, una parola che ci piace perché suggerisce un gesto infantile, spontaneo e allo stesso tempo sportivo e di capovolgimento. 

I luoghi principali in cui si è svolta Capriola sono state le Mura Urbiche e il Complesso dell’Istituto per i ciechi, il programma del festival ha offerto ogni giorno diversi appuntamenti inediti tra performance, screening e talk. Il giorno dell’opening abbiamo avuto più di 600 ospiti, un numero importante per una città come Lecce. Abbiamo coinvolto anche altre realtà urbane, istituzionali e non, come Fondazione Biscozzi Rimbaud e il Museo Castromediano. Abbiamo coinvolto anche realtà della provincia, come Kora Center e Giardino Project, che hanno collaborato presentando una programmazione autonoma coinvolta all’interno del programma del Festival. 

Capriola non ha attirato solamente addetti ai lavori o interessati all’arte, ma anche semplici cittadini, curiosi e famiglie che finalmente hanno avuto accesso a luoghi della città solitamente interdetti al pubblico. Per noi, è stato come fare un dono alla città. Sicuramente un’occasione di festa che ha attirato un pubblico diversificato, anche da fuori regione. La settimana si è conclusa con una vera e propria festa presso Masseria Wave. Il nostro auspicio è di poter proseguire questa esperienza per altri anni malgrado tutte le difficoltà.

“Capriola…an art week in Lecce”, Michele Rizzo per Cani, Museo Sigismondo Castromediano, 2022. Ph Raffaella Quaranta.
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di Simona Squadrito
  • Simona Squadrito è curatrice e critica d'arte, vive e lavora a Milano. Dopo il conseguimento della laurea magistrale in Filosofia e Storia delle Idee all'Università degli Studi di Torino ha intrapreso un percorso lavorativo e formativo nelle arti visive, conseguendo nel 2020 il master di secondo livello in Museologia Museografia e Management dei Beni Culturali. Presidente dell'Associazione culturale Casagialla, è stata dal 2015 al 2020 direttore di Villa Vertua Masolo. È cofondatrice di "REPLICA. L'archivio italiano del libro d'artista" e cofondatrice dell'associazione culturale KABUL magazine. Dal 2014 scrive e collabora per diverse testate e piattaforme digitali.