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Dancing is what we make of falling (4, 5, 6): audio e sinossi dei talk
Project, 22 November 2018
Talk/podcast

Dancing is what we make of falling (4, 5, 6): audio e sinossi dei talk

Registrazioni audio e sinossi degli ultimi tre talk tenuti in occasione di "Dancing is what we make of falling" (OGR, Torino).

Crop Over, Sonia Boyce, 2007, 15′, two-channel video (production still: Mother Sally, collection: Barbados Museum and Historical Society.

Dal 13 settembre al 19 ottobre si è svolta a OGR, Officine Grandi Riparazioni Torino, l’iniziativa Dancing is what make of falling, un evento scandito in sei appuntamenti serali che hanno visto la proiezione di una serie di video d’artista e l’intervento di ricercatori e collaboratori all’interno di dibattiti e talk sugli argomenti affrontati dalla mostra.

Preso in prestito dal poeta e ricercatore Fred Moten, il titolo dell’evento trasforma “la caduta in una danza”, mostra un tentativo di osservare attraverso una diversa prospettiva tutto ciò che è considerato come “periferico”, “altro” rigettato dallo sguardo a difesa di immaginari precostituiti.

Le fioriere divelte dai manifestanti dopo l’omicidio del cittadino senegalese Idy Diene, Firenze, marzo 2018. Foto Enrico Ramerini – Cge.

A partire da tali premesse, siamo stati parte attiva dell’evento collaborando con OGR attraverso una duplice modalità: da un lato abbiamo selezionato e tradotto per la prima volta in italiano alcuni testi che consideriamo oggi necessari per approfondire il dibattito sull’attuale movimento queer, individuato da noi come espressione più peculiare di quell’“altro” e “periferico” a cui l’evento di OGR fa riferimento. Di seguito il riepilogo dei 6 testi che abbiamo tradotto e distribuito gratuitamente nel corso di ciascuna serata:

  • bell hooks, Selling hot pussy. Rappresentazioni della sessualità femminile nera nel mercato culturale, 1992.
  • Tim Lawrence, Una storia di drag ball, house e della cultura del voguing, 2011.
  • Emi Koyama, Il manifesto del transfemminismo, 2001.
  • Jason Ritchie, Come si dice in arabo “fare coming out”? L’attivismo queer e la politica della visibilità, 2010.
  • Jeffrey A. Tucker, “La contraddizione umana”: identità come/ed essenza nella trilogia Xenogenesis di Octavia E. Butler, 2007.
  • Moya Bailey, Virilità omolatente e cultura hip hop, 2013.

Dall’altro lato, la nostra collaborazione con OGR è consistita nella registrazione (consultabile sul nostro sito) dei vari talk che si sono tenuti in occasione di ciascuna serata e nella stesura delle relative sinossi che riportiamo qui di seguito per orientare il lettore nella fitta e complessa trama di argomenti che sono stati trattati.

Per approfondire la prima parte del nostro contributo clicca qui.

Testi di Lisa Andreani, Simona Squadrito e Francesca Vason.


Dancing is what we make of falling #4

“Ontologia della spazzatura” e “capitalismo anale” sono i due macro temi introdotti dalla curatrice Lucrezia Calabrò Visconti per attraversare la visione di Dust Channel di Roee Rosen e Dump Queen di Goldschmied&Chiari.

The Rebirth Of Sacred Cow Mixtape Trailer, Hardeep Pandhal, 2017, 4k video, 4’44”, Edition of 3 + 2 AP (PANDHAL-2017-0007).

La discussione parte da una riflessione su The Waste Land, il celebre poemetto di Thomas Stearns Eliot. Luogo di una terra infeconda, immagine del disagio della modernità e della morte senza ritorno, l’opera di Eliot vede come fondamentale la divisione del titolo in due parole. Secondo la curatrice della biblioteca di Harvard University la distanza tra i due termini, waste e land, sarebbe da considerarsi come catalizzante. Waste, infatti, rappresenta una situazione temporale, momentanea e precaria, mentre land un luogo di purezza, imprescindibile per redimersi. È a partire da questo input che vale la pena interrogarsi sulle potenzialità del waste, la spazzatura, termine che in inglese può essere tradotto attraverso una ricca gamma di sfaccettature di significato, come junk, dump o dust.

Quale disciplina filosofica atta a indagare ciò che costituisce la dimensione dell’essere, l’ontologia si rivela la materia più adatta a enfatizzare il peso e l’importanza del waste. In An Ontology of Trash il ricercatore statunitense Greg Kennedy conferma l’ambiguità e duplicità del termine. Esso contiene in se stesso il carattere della resistenza e insieme l’esaltazione del suo essere. A enfatizzare la sua sfuggente e mobile definizione è l’opera presentata da Goldschmied&Chiari presso Museion e in occasione della mostra collettiva L’Albero della cuccagna. Nutrimenti dell’arte. Individuando gli anni Ottanta come inizio dell’epoca del consumismo, costituita da speculazioni finanziarie e televisione di massa, il duo ha presentato la messa in scena di una festa ormai giunta al termine, immagine (traslando il significato in un senso più ampio) di una decadenza priva di speranze. Credendo che quelli esposti in mostra fossero “resti” di sporcizia, lo staff del museo ha ripulito le sale cancellando del tutto l’installazione. La definizione di ciò che risulta da buttare o da tenere è ricondotta pertanto a una scelta soggettiva. Week end, il film del ’67 di Jean-Luc Godard, incrinato ritratto della società consumistica, nel piano sequenza più lungo della storia del cinema, nel grande ingorgo di auto in fila l’una dietro l’altra, mette in luce il flusso di trasformazione della merce in spazzatura. Autore del New Materialism, Godard genera un’allegoria del tempo storico in cui viviamo.

Copertina de ‘La terra desolata’ (The Waste Land), poemetto del 1922 di Thomas Stearns Eliot

La surreale operetta di Roee Rosen, sulle note di Maxim Komar-Myshkin, racconta la storia di un’aspirapolvere. Attraverso una pratica fondata sulla costruzione di personaggi fittizi, tra cui lo stesso compositore, Rosen costruisce il ritratto di un elettrodomestico depresso intento a guardare in tv alcune campagne pubblicitarie che sponsorizzano se stesso. Mettendo in risalto il rapporto tra sporcizia e sacralità, l’opera di Rosen enfatizza quanto lo sporco sia da considerarsi come una questione di contesto e dislocamento. Il fulcro resta sempre quello di capire quale sia il luogo più adatto a nasconderlo.

Protagonista di Dump Queen è Carmen Miranda, cantante e attrice brasiliana che, dopo essere approdata a Hollywood, diviene immagine rappresentativa di una forma di esotismo rappresentata dalle sue estrose acconciature di ceste di frutta. Tuttavia, malgrado la visione stereotipata, la star Miranda, attraverso i suoi film, è in grado di generare una folta serie di reinterpretazioni drag della sua parodia. Nell’opera di Goldschmied&Chiari, una ballerina la reinterpreta ballando all’interno della discarica di Guidonia, a Roma. All’interno di un luogo della rimozione dell’eccesso, Miranda canta Chica, chica, boom, chic.

L’ultima parte del talk è dedicata all’analisi del concetto di “capitalismo anale”. L’interpretazione di Ernst Bornemon in Struttura psichica del capitalismo classico e dello spirito finanziario (1923) rimarca una visione del capitalismo come nevrosi ossessiva e regressione della fase anale di Freud. L’estremo senso di possesso, la gratificazione mai soddisfacente fa i conti con l’impossibilità escremenziale. La discussione si conclude sul mockumentary colombiano del ’77 Agarrando pueblo (meglio noto come The Vampires of poverty), diretto da Carlos Mayolo e Luis Ospina. La parodia dei documentari che intendono rappresentare la povertà nel terzo mondo diviene un “metafilm” in grado di mettere in luce una vera e propria pornografia della povertà.

In occasione di questo appuntamento, KABUL magazine ha presentato Come si dice in arabo “fare coming out”? L’attivismo queer e la politica della visibilità, un saggio scritto dall’antropologo Jason Ritchie sulle politiche israeliane apparentemente a sostegno della comunità locale LGBTQI+ ma in realtà fortemente ostili e vessatorie nei confronti dei vicini palestinesi.


Dancing is what we make of falling #5

A introdurre il quarto incontro è Valentina Lacinio che, partendo da un estratto della Salomé di Carmelo Bene e da un testo di Wilde sulla storia della stessa, ci parla delle origini etimologiche e delle evoluzioni dell’espressione silver shield, che da scudo, oggetto di protezione, passa con il tempo ad assumere il significato di piatto, platter. Le riflessioni avviate nel corso della serata partono infatti proprio da un piatto d’argento dal valore protettivo, il Silver Platter, un bar fondato nel 1963 nell’eastside di Los Angeles e oggetto del documentario di Wu Tsang, Wildness. Per più di cinquant’anni il locale ha rappresentato un luogo di sicurezza e di espressione per la comunità LGBTQ+ latinoamericana. Il documentario riflette sul concetto di safe space e sulla sua rilevanza all’interno della società, oltre che sulle contraddizioni che inevitabilmente comporta. L’intento positivo di creare uno spazio protetto, scevro dalle limitazioni della cultura dominante, rischia infatti di portare a uno spazio chiuso, limitato, fonte ulteriore di isolamento, di ghettizzazione e intolleranza. Il fuori diviene spazio ostile e nemico. Si riduce il confronto con il diverso in modo da amplificare, paradossalmente, i motivi per cui sia necessario un safe space. Al di là dell’aspetto critico della funzione dello spazio sicuro, il lavoro di Wu Tsang mette in luce l’importanza sociale delle attività del Silver Platter che, tramite le serate del martedì, dava spazio a dj e artisti della comunità. Presto, questo momento si rivelò un’arma a doppio taglio, dato che, pur essendo un utile momento di apertura al mondo, allo stesso tempo portava a processi di cambiamento, snaturalizzazione e gentrificazione. In modo emblematico, la protagonista del documentario afferma: «Li ho tenuti saldi come un giubbotto antiproiettile argentato, contro l’ignoranza, lo squallore e l’odio del mondo esterno».

QUEERDO, primo numero della collana K-STUDIES, 2018, edito da KABUL magazine.

All’interno del documentario, un’attrice transgender riporta le testimonianze dei frequentatori del Silver Platter, personificando in questo modo le varie esperienze e divenendo unico emblema dell’eredità del luogo. Questa scelta nasce dalle riflessioni di Tsang sulla responsabilità di un regista di documentari nel raccontare una storia, oltre che sul rapporto tra verità e rappresentazione. Da qui prende le mosse un documentario magico-realista, che consente di riportare la ‘fantasia collettiva’, ossia la complessa materia che costituisce il vissuto comunitario. Si raccontano pertanto l’atmosfera, il valore e le energie di un luogo senza preoccuparsi dell’esattezza delle testimonianze.

Nel corso della discussione, tale modalità narrativa è stata associata a un genere di performance tecnica in cui il corpo si appropria di una testimonia estranea: la cosiddetta full body potention.

Un ulteriore esempio di linguaggi a confronto riguarda il libro di Mary Shelley, Frankenstein, in cui la mostruosa creatura compie notevoli sforzi per esprimersi attraverso il linguaggio del proprio creatore, allo scopo di renderlo partecipe della sua vita. In questo modo, da mostro disumano con cui è impossibile interagire, essa diviene un’entità caratterizzata da uno specifico linguaggio altro.

Nel 1977, l’attivista Alma Sabotini denunciò pubblicamente le peculiarità sessiste insite nella lingua italiana sostenendo la necessità di modificare il linguaggio per modellare visioni e mentalità degli individui. Adottando tale prospettiva, lo sguardo sul linguaggio e i significati del mondo transgender diventerebbe pertanto uno strumento per attuare un radicale cambiamento e distacco nei confronti del binarismo sessuale.

In occasione di questo appuntamento, KABUL magazine ha presentato Il manifesto del transfemminismo della cyberattivista Emi Koyama, in cui, a partire dalla definizione del termine “trans”, spesso utilizzato in modo improprio, viene avviata una pubblica denuncia dei privilegi di genere, marcando sulla necessità di una maggiore consapevolezza del proprio corpo e sul bisogno di passare all’azione. Il manifesto reca con sé un messaggio di profonda fiducia rivolto a una società in grado di rispettare, anziché rinnegarle, le identità di genere miste, affermando inoltre “una visione più inclusiva del mondo” attraverso il sodalizio tra le differenti posizioni femministe.


Dancing is what make of falling #6

Chiudono la serie di appuntamenti tenuti al Binario 2 di OGR, l’intervento della ricercatrice e performer Ilenia Caleo, lo screening dedicato a Hardeep Pandhal e Sonia Boyce e le performance di Ramona Ponzini & Rpm Watts e di Enrico Boccioletti & Alessandro Di Pietro.

Qual è il ruolo delle emozioni in questo particolare momento storico? Che rapporto intercorre tra passione e politica? Qual è il ruolo delle emozioni nella scena politica e sociale contemporanea?

Viviamo in uno scenario postideologico –  spiega Ilenia Caleo – in cui la liquidazione dell’ortodossia ideologica ha ceduto il posto a modalità decisionali che si basano principalmente sul con-senso (termine appartenente a un’area semantica riferibile all’ambito dell’emozione, del sentire e del percepire). Tale cambiamento ha portato a una graduale affermazione della componente emotiva nella scena pubblica, andando a interferire nella costituzione delle relazioni e inevitabilmente nella concezione stessa dei rapporti sociali e interpersonali, e pertanto nella considerazione dell’altro. Per questa ragione sentimenti come odio, risentimento, rabbia sono entrati a far parte della scena contemporanea, sino addirittura a caratterizzarla come sta accadendo. Ciò che si fatica a considerare è che la sfera emotiva possa avere implicazioni politiche così evidenti in quanto, proprio appartenendo in modo crescente alla dimensione pubblica, definiscono inoltre un’economia politica degli affetti a cui i fenomeni razzisti e la percezione dell’altro, soprattutto se omofobica, fanno inevitabilmente riferimento.

Nel corso del suo intervento, Caleo ha voluto mettere in discussione alcuni assunti che recentemente sarebbero stati decostruiti da altri punti di riferimento e di vista. Il primo assunto vacillante riguarda la convinzione di poter racchiudere l’emotività all’interno di una dimensione intima, privata e individuale. Il secondo, invece, mina la convinzione che le passioni facciano parte di un patrimonio biologico innato; al contrario le passioni sono sentimenti “contagiosi”, in grado di crescere, insediarsi e diffondersi o assopirsi. Traendo spunto dal linguaggio della performance, la ragione del presentarsi di molti atteggiamenti xenofobi o, più semplicemente, omofobi risiederebbe nel rapporto tra identificazione e immedesimazione. Tale relazione è alimentata dall’empatia – estremamente selettiva – che genera aggregazioni omogenee di persone in grado di determinare inclusioni ed esclusioni, ambizioni e stili di vita.

Un ulteriore aspetto interessante emerso, spesso trattato solo all’interno della letteratura psicologica, riguarda alcune riflessioni della filosofa femminista Sara Ahmed sul sentimento di paura, trovando qui un’interpretazione inattesa: che cosa sono le paure? La psicologia tradizionale è abituata a concepire la paura come una reazione di repulsione o apprensione in prossimità di una situazione di pericolo. In altri termini, si tratterebbe di un avvertimento generato dal nostro istinto a sopravvivere. Ahmed mette a fuoco un aspetto centrale: la paura non è già insita negli esseri umani come in un circuito chiuso e autoreferenziale, ma è ciò che ci mette in relazione con il prossimo, «è la materia entro cui ciascuno di noi entra in contatto con l’altro». Ed è in questo punto di contatto che si moltiplicano il potenziale del nostro agire e la nostra volontà decisionale, in quanto secondo tale prospettiva possiamo anche scegliere di non avere paura.

Passando in rassegna alcuni passi del Leviatano di Hobbes, Caleo evidenzia come sin dai suoi esordi costitutivi, lo stato moderno sia stato fondato sul sentimento di paura, attraverso il controllo e il mantenimento dell’ordine. È possibile creare delle falle nel rapporto tra potere e paura? È possibile mettere in atto sistemi sociali di autoregolazione che si sottraggano alla mediazione violenta del potere? La questione, conclude Caleo, risiede nella possibilità di immaginare nuove forme di affinità sociale che, al di là della famiglia, possano essere assunte in controtendenza ai sentimenti di paura e odio che stiamo registrando.

In occasione di questo sesto e ultimo appuntamento, KABUL magazine ha reso disponibile la traduzione in italiano di Homolatent Masculinity & Hip Hop Culture, un testo apparso nel 2013 in «Palimpsest: A Journal on Women, Gender, and the Black International» e redatto da Moya Bailey, attivista afroamericana e docente presso la Northeastern University. Bailey, tra i molti impegni come attivista per i diritti sociali, è co-fondatrice del collettivo Quirky Black Girls e collaboratrice dell’Octavia E. Butler Legacy Network.

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Autori
  • Francesca Vason
    Francesca Vason è curatrice e storica dell'arte. Lavora con M+B Studio a Venezia come curatrice e project coordinator di​ progetti espositivi internazionali​. Collabora con TBA21-Academy e Ocean Space, La Biennale di Venezia, Danish Art Foundation, OCA - Office for Contemporary Art Norway, Singapore​ ​Design Council, oltre a sviluppare progetti indipendenti. ​Prende parte a Campo - programma per curatori italiani della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo​ e, dopo aver scritto​ per magazine come Juliet e InsideArt​,​ è tra i fondatori di​​ KABUL magazine, dove attualmente opera come autrice e referente per le sezioni Project ed Editions.
  • Lisa Andreani
    Curatrice e critica d’arte. Vive e lavora a Roma. Dal 2020 è coordinatore curatoriale ed editoriale all'interno del MACRO - Museo per l’Immaginazione Preventiva, sotto la direzione artistica di Luca Lo Pinto. Lavora come archivista per l'Archivio Salvo ed è parte del Comitato Scientifico. Nel 2019 ha preso parte al programma di ricerca Global Modernism Studies all'interno della Bauhaus Dessau Foundation. Nello stesso anno ha cofondato, insieme a Simona Squadrito, REPLICA, progetto di ricerca dedicato ai libri d'artista.
  • Valeria Minaldi
    Laureata in Neuroscienze all'Università degli Studi di Padova, ha collaborato nella ricerca scientifica in particolare nell'ambito della Neuroestetica. È psicologa e psicoterapeuta specializzanda a orientamento cognitivo costruttivista. Lavora come consulente nell'ambito delle valutazioni dello stress lavoro-correlato presso COM Metodi; si occupa di consulenza e divulgazione scientifica, supporto psicologico individuale e di gruppo. Fa parte del board curatoriale, è cofondatrice e managing editor di KABUL, magazine online che tratta di arti e culture contemporanee, casa editrice indipendente e associazione culturale no-profit dal 2016.