Katarzyna Kozyra, “Homo Quadrupeds Blue”, 2018. http://www.postmastersart.com/archive/kozyra19/kozyra19_direct.html
«My dad bought me a dog once | Don’t even ask me what I had to do in order to get it | And after a while | I started to love that dog more than I loved my dad | And once, instead of calling the dog by his name: hey, Hugo, come to me! I said: hey, kid, come to me! And so my old man lost his shit completely | He stood over me like an SS soldier and said: What the hell is this? Why are you calling a dog a kid? You are going to give me a grandson, do you understand!? | This ass of yours will give me a grandson, is it clear!?».
(SIKSA, Tato, kup mi psa (Dad, buy me a dog), Stabat Mater Dolorosa, 2018)
«Questo è il mio sangue e questo è il mio corpo – giù le mani!»: si tratta di uno dei messaggi realizzati con uno spray rosso sulla Curia Metropolitana di Varsavia, che ha attirato subito l’attenzione dei passanti. In quel momento un messaggio non meno significativo recitava: «BASTA INFERNO PER LE DONNE». Era il 2018, in Polonia, quando parte della popolazione femminile del Paese – sconvolta, umiliata e arrabbiata – è scesa nuovamente in piazza per combattere in difesa dei diritti umani fondamentali. Il progetto governativo “Stop abortion” (un vero e proprio divieto all’aborto anche in caso di gravi difetti congeniti), sostenuto dalla Chiesa e dai fondamentalisti religiosi, in quel momento doveva essere riesaminato dal governo. Tuttavia la situazione era piuttosto scoraggiante già due anni prima, nel 2016, quando l’emittente televisiva France24 commentava in questo modo gli eventi scatenati nel Paese:
«All’inizio di quest’anno, in tutte le chiese polacche, si è letto ad alta voce un messaggio ufficiale: riguardo alla protezione delle vite dei nascituri, non possiamo continuare con l’attuale compromesso che legittima l’aborto in tre tipi di casi».
I fatti di cronaca immediatamente successivi sono ricostruiti dettagliatamente in un articolo pubblicato su «Krytyka Polityczna»:
«Il 5 luglio 2016, il cosiddetto progetto di legge “Stop abortion” è stato sottoposto al portavoce del Sejm (la Camera bassa del parlamento polacco). Costui ha proposto un divieto totale dell’interruzione di gravidanza stabilendo inoltre che, in caso di aborto, siano puniti sia la donna che l’individuo che ha effettuato la procedura. Un movimento di massa contro questa legge, chiamato “the Black Protest” ha acceso subito gli animi. I simboli della protesta erano un ombrello nero e una gruccia in fil di ferro – un riferimento ai metodi rischiosi utilizzati negli aborti illegali11La citazione è tratta da «Calvert Journal». [Le traduzioni italiane di questo e altri testi riportati sono a cura di KABUL magazine]
».
Com’è noto, tale dibattito ha raggiunto una portata internazionale, spingendo la popolazione di più di cinquanta Paesi tra Europa, Asia e Australia a solidarizzare con le donne e le proteste polacche.22All’interno del suo articolo You are not alone. The birth of grassroots feminism in Poland, Agnieszka Graff descrive le sue prime impressioni riguardo a questa improvvisa insurrezione avvenuta in Polonia in maniera del tutto spontanea: «I graffiti femministi possono essere letti come un’invasione del territorio della Chiesa – una risposta all’invasione perpetrata sui corpi delle donne che la Chiesa stava legittimando. All’inizio tale avvenimento mi ha sconvolto e sorpreso (si era infatti oltrepassato un confine che, uno o due anni prima, sarebbe stato invalicabile), ma ben presto ho provato uno strano senso di sollievo, simile al sentimento che accompagna una tempesta imminente dopo una giornata afosa e soffocante. Sì, c’era qualcosa nell’aria, qualcosa di inevitabile. Ma di cosa si trattava esattamente? Diciamo che, forse, c’era stata una qualche rottura, l’