Fotografia scattata da un soldato americano. A Satar Jabar, il detenuto ritratto in foto, era stato detto che avrebbe ricevuto una scossa elettrica se fosse caduto dal supporto sul quale era stato posto.
Quella di Rosi Braidotti, docente di studi di genere a Utrecht, filosofa e femminista italiana cresciuta in Australia, è una ricerca filosofica fondata sul concetto di differenza (di genere, etnica e culturale), analizzato allo scopo di scardinare la logica binaria, gerarchica e oppositiva attraverso cui il potere disciplinare e normativo costituisce le identità dei soggetti contemporanei. Nelle sue opere, le tradizionali distinzioni categoriali tra uomo e donna, europeo e straniero, sé e altro, umano e non umano, e persino tra vita e morte, sono indagate a partire da una prospettiva di negazione nei confronti della deriva postmodernista del relativismo culturale e nell’ottica di una generale ridefinizione del soggetto contemporaneo all’interno di un mondo globalizzato, tecnologicamente mediato e che non può fare a meno di tener conto delle differenze di genere e di etnia.
In Bio-power and necro-politics, pubblicato nel 2007, è possibile rintracciare i prodromi di quel più articolato pensiero filosofico neomaterialista e femminista che Braidotti esporrà in The Posthuman (2013, pubblicato l’anno seguente in Italia come Il postumano), in cui la filosofa arriverà ad avanzare una vera e propria teoria di superamento della dicotomia tra umano e non umano, proponendo inoltre la rielaborazione di un’etica pubblica e la creazione di comunità fondate sull’appartenenza ad alternativi legami di “parentela” (o kin, come sarà definita da Haraway e Povinelli).
In virtù di questa sua natura di studio quasi preparatorio, Bio-power and necro-politics presenta un’argomentazione condotta attraverso una struttura composita e densa di riferimenti a studiosi e intellettuali contemporanei occidentali e non. Il pretesto che dà avvio al saggio è il rapporto tra biopotere e necropolitica, rispettivamente l’ambito della vita, da un lato, e l’ambito della morte, dall’altro, su cui il potere esercita il proprio controllo. Braidotti apre la sua riflessione sostenendo che «biopotere e necropolitica sono due facce di una stessa medaglia», mutuando naturalmente tale concezione dall’opera del filosofo camerunese Achille Mbembe, Necropolitica, il cui assunto principale è che la nozione foucaultiana di “sovranità” «consista, in larga misura, nel potere e nella capacità di decidere chi può vivere e chi deve morire».11A. Mbembe, Necropolitica, Ombre Corte, Verona 2016 [2003].
Mantenendo quest’ottica, biopotere e necropolitica apparirebbero pertanto inscindibilmente connesse, influenzandosi a vicenda: «L’esplosione di interesse per la politica della vita riguarda anche la questione della morte e delle nuove modalità di morire» (R. Braidotti, Biopotere e Necropolitica).