Jacqueline de Jong, The Situationist Times, 3, Hengelo, 1963. Courtesy di Ellef Prestsæter e Torpedo, Oslo, in collaborazione con Jacqueline de Jong, Malmö Konsthall e Museum Jorn.
Prolegomeni a una topologia eterodossa
È il 1964. Jacqueline de Jong ha già pubblicato i primi tre numeri di The Situationist Times (TST, 1962-67), «una rivista realizzata da artisti, non una rivista sull’arte»,11Ellef Prestsæter (ed.), These are Situationist Times, Torpedo Press, Oslo, 2019, p. 32.
e scrive una lettera22Ibid., pp. 15-17.
a un tal Mr. Welling, l’unico giornalista che sembra interessato a pubblicare una recensione sul progetto. Il tono è intimo e franco, non si vergogna di condividere le molteplici difficoltà incontrate sin dal principio e di criticare apertamente l’Internazionale Situazionista (IS), rea di aver espulso ingiustamente il braccio tedesco del movimento, il Gruppe SPUR. È evidente il disappunto che la pervade, eppure non si lascia trascinare via dall’odio, e la sua analisi riconosce senza indugio gli enormi debiti che il progetto ha nei confronti delle strategie situazioniste di détournement, dérive e modification. Ciò che colpisce però è la centralità di un altro elemento, secondario nel vocabolario situazionista, la topologia.
«Siamo interessati alla topologia perché c’è una certa connessione tra questa scienza e le nostre idee. “Analysis Situs” è il vecchio nome della topologia. È una matematica antieuclidea, […] una specie di matematica chewing gum, in cui tutto può essere cambiato».33Ibid., p. 16. Traduzione di chi scrive [We are interested in topology because there is a certain connection between this science and our ideas. “Analysis Situs” is the old name for topology. It is an anti-Euclidean mathematics, […] a kind of chewing gum-mathematics, in which everything may be changed].

Prima di concludere la lettera, de Jong sottolinea tre punti chiave nell’economia del progetto. La topologia non è utilizzata né come strumento né in chiave simbolica, «ma nel modo più superficiale possibile», ossia formalmente, riempiendo lo spazio della doppia pagina; l’interesse è riversato verso una serie di figure topologiche, come la spirale, il nodo, il cerchio, il labirinto, forme astratte dal riverbero antro(to)pologico; la redazione è pensata come un collettivo mobile, un gruppo frammisto che condivide il rifiuto verso la settorializzazione del fare ricerca, «ci chiamavamo dilettanti professionisti! Ed eravamo contrari a tutto ciò che puzzava di specializzazione».4