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Unlearning. Strategie di disapprendimento nella società post-neoliberista
Magazine, POST - Part I - Gennaio 2017
Tempo di lettura: 15 min
Giulia Colletti

Unlearning. Strategie di disapprendimento nella società post-neoliberista

5 casi studio di pratiche artistiche e curatoriali basate sul processo di disapprendimento.

Claire Fontaine – This Neon Sign Was Made By… – 2009 – tubi fluorescenti 30×350 cm. Installazione presso Regina Gallery, Moscow. Courtesy of Claire Fontaine and Regina Gallery.

 

Il seguente saggio prende in esame alcune pratiche artistiche e curatoriali contemporanee che non si allineano ai canonici precetti del neoliberismo. In particolare, l’analisi muove da cinque casi studio: il concetto di ‘Human Strike’ di Claire Fontaine; la ginecologia fai-da-te sperimentata dal collettivo GynePunk; la Silent University fondata dall’artista Ahmet Öğüt; la mostra New Ways of Doing Nothing (2014) curata da Vanessa Müller e Cristina Ricupero presso la Kunsthalle di Vienna; e il progetto Site for Unlearning dell’artista Annette Krauss. Ciò che accomuna le pratiche appena elencate è il loro riconsiderare la condizione di staticità perpetrata dal neoliberismo attraverso un processo di ‘un-learning’, letteralmente di «disapprendimento» e «reindirizzamento» di attività e norme quotidiane ormai date per assodate. Così come Alex Williams afferma: «La piattaforma del neoliberismo non ha bisogno di essere distrutta. Ha bisogno di essere riconvertita verso obiettivi comuni. L’infrastruttura esistente non è una fase del capitalismo da distruggere, ma un trampolino di lancio verso il post-capitalismo».11A. Williams, N. Srnicek, “#ACCELERATE MANIFESTO”, Critical Legal Thinking online (14 Maggio 2013).
Un tale ripensamento può compiersi soltanto attraverso l’emancipazione del pensiero critico dalle restrizioni capitalistiche. A questa dovrebbe seguire un processo di «apprendimento collettivo»22M. Lazzarato, Immaterial Labor, Generation Online (13 Jan. 2017).
che — come ritiene Maurizio Lazzarato — è divenuto oggi vero fulcro della produttività. L’odierna realtà capitalista sta instradandosi sempre di più verso forme aggregative altre, che declinano in chiave sociale modelli di sviluppo tecnologico come l’ ‘open source’ o il ‘peer-to-peer exchange’. Come suggerisce Arun Sundararajan33A. Sundararajan, The Sharing Economy: The End of Employment and the Rise of Crowd-Based Capitalism, MIT Press, Cambridge 2017.
— che parla in termini di ‘crowd-based capitalism’ piuttosto che di post-capitalismo — questa forma di «economia condivisa», derivata e supportata dal Web, reindirizza l’attenzione su un fattore cardine che il neoliberismo ha reso eccessivamente impersonale e strumentale, cioè lo scambio di creatività e informazione come forma di legame tra individui. I casi analizzati di seguito tendono verso quest’approccio collaborativo con l’obiettivo di offrire nuove prospettive nel panorama artistico contemporaneo o — per utilizzare un’espressione di Liam Gillick — per trasformare quello che è solo «uno specchio riflettente in una finestra da cui guardare attraverso».44L. Gillick, The Good of Work«e-flux #16», May 2010, (11 Dec 2016).

 

Human Strike

«Claire Fontaine» è uno pseudonimo dietro il quale si cela il duo artistico fondato da Fulvia Carnevale e James Thornhill, e si pone come obiettivo quello di indagare le attuali conseguenze del capitalismo sulla società. Claire Fontaine eredita i suoi ‘tratti femminili’ dal movimento femminista italiano degli anni ’70, declinando in chiave attivista un forte ascendente readymade dal sapore duchampiano. Claire Fontaine si esprime principalmente attraverso la scultura e le installazioni, non sottovalutando l’aspetto critico/testuale.

Nel suo saggio, The Human Strike Has Already Begun, Claire Fontaine prende le mosse dal concetto di «disapprendimento», concependolo in termini di abbandono di sistemi e movimenti sociali come comunismo e rivoluzionee di rifiuto dei binomi «denaro-tempo, denaro-spazio, denaro-corpo».55C. Fontaine, Human Strike Has Already Begun, in Human Strike Has Already Begun & Other Writings, Mute e Post-Media Lab, Berlin 2013, p.32.
L’obiettivo è di re-indirizzare la ricerca verso l’intimità, al fine di evitare imposizioni e condizionamenti esterni. Più che un atto di sovversione del capitalismo, ‘Human Strike’ indica un concetto che «rimugina su se stesso».66C. Fontaine, cit., p.55.
In tal senso, è necessario evitare tendenze ansiogene, bisogno di appartenenza e sfruttamento corporale. Oltretutto, è indispensabile riferire ogni raggiungimento al presente, senza alcuna angoscia declinata al futuro.

Sebbene la tesi del disapprendimento presentata da Claire Fontaine possa ben assimilarsi alle pratiche contemporanee, la nozione di ‘Human Strike’ in realtà rivela due falle. La prima è legata al cosiddetto «realismo capitalista»,77M. Fisher, Capitalist Realism: Is There No Alternative?, Zero Books, London 2009.
in altri termini alla spavalda convinzione che il capitalismo sia il migliore sistema immaginabile e, pertanto, insostituibile. Sebbene Fontaine proponga lo ‘Human Strike’ in un «un nuovo stato, meno definito, più incerto»,88C. Fontaine, cit., p. 56.
tuttavia non offre null’altro se non una ‘pagina bianca’99Lo pseudonimo ‘Claire Fontaine’ si riferisce alla famosa marca francese di articoli di cancelleria.
su cui attendere il futuro. Ma se tutti gli aspetti della vita sociale sono sussunti sotto il capitale, ciò comporta un sistematico studio di scenari alternativi, e non la tiepida attesa di una spontanea aggregazione della popolazione in un nuovo sistema socioeconomico. La seconda falla nella teoria fa riferimento alla stessa produzione artistica di Claire Fontaine. Se da un lato Fontaine indirizza la sua ricerca verso un potenziale ‘cambiamento affettivo’, dall’altro persiste in un’invettiva contro il capitalismo. Nei fatti, Fontaine persiste nell’attaccare lo status quo piuttosto che produrne un’effettiva opzione.

Per evitare tali falle, la pratica artistica/curatoriale dovrebbe costituire modelli puntando a un reindirizzamento delle forze capitaliste, piuttosto che pensare a demolirle. E nel farlo si dovrebbe iniziare dalle stesse piattaforme che il neoliberismo ha creato, come la tecnologia o altri sistemi logistici.1010Cf. Williams, cit.
Sintonizzare il capitale umano con l’istituzione d’arte è il proposito che, ad esempio, si pone Francis Mckee, direttore della CCA (Centre for Contemporary Arts) di Glasgow, il quale dal 2006 ha scommesso su un innovativo programma open source. Attraverso un approccio orizzontale, la CCA è in grado di offrire spazi di espressione a chiunque lo richieda e conseguentemente di coprire vaste aree d’interesse artistico e non altrimenti insondabili dal solo board curatoriale interno all’istituzione. Così come nel linguaggio HTML, il visitatore è invitato a interagire con gli spazi e apportare ‘modifiche’ ed estensioni al programma annuale dell’istituzione, senza rinunciare al confronto con le innumerevoli realtà ospitate o che ciclicamente ruotano attorno a essa. Con questa pratica sperimentale, secondo cui gli spazi sono concessi a titolo gratuito,1111Tuttavia non bisogna sottovalutare il supporto governativo in tale esperimento, in quanto la CCA riceve sovvenzioni annuali da parte del Creative Scotland.
la CCA è stata in grado di abbandonare il binomio «denaro-spazio» e sostituirlo con un più efficace «inclusione-spazio».

 

GynePunk

«Cyborg witch» che attua un’autoanalisi. Foto di Paula Pin – Courtesy of Gynepunk.

Claire Fontaine afferma: «se il fascismo non è stato ancora smantellato, è perché il patriarcato e la sottomissione di ogni aspetto della vita al capitale sono ancora il nostro pane quotidiano».1212C. Fontaine, cit., p. 9.
Per certi aspetti, questa schiavitù risiede in alcune premesse linguistiche. Da un lato, persistiamo nel sussumere la nozione di soggettività sotto termini capitalistici, quali ad esempio ‘Capitale Umano’.1313Cf. Shaviro, Accelerationist.
Dall’altro lato, continuiamo ancora a indicare linguisticamente concetti femminili o genderless utilizzando termini maschili. Solo per fare un esempio, alcune parti del corpo della donna, come la ghiandola di Skene, portano ancora il nome dei ginecologi che le hanno scoperte. Per essere realmente innestabile nella pratica artistica/curatoriale, il concetto di ‘Human Strike’ dovrebbe declinarsi anche in un movimento di decolonizzazione linguistica e fisica. A quel punto, esso potrebbe essere correlato alla pratica delle GynePunk, le quali hanno stabilito un proprio innovativo processo artistico, puntando innanzitutto sulla svolta linguistica e medica — a loro si deve la ridefinizione della ghiandola di Skene in ‘ghiandola di Anarcha’.

GynePunk è un collettivo catalano il cui obiettivo è l’innesto nel sistema patriarcale d’inesplorate modalità tecnologiche e di genere. I membri del GynePunk formano un ‘collettivo hacker’ all’interno di una comunità post-capitalistica insediatasi vicino Barcellona, nel Pechblenda lab. Si tratta di un ‘hacker space’ utilizzato per sperimentazioni tecnologiche a fini auto-didattici. Sin dal 2013, GynePunk è parte di un più ampio network chiamato Hackteria. Hackteria è una comunità che coinvolge artisti, hackers e scienziati in un dibattito internazionale sulla bio-arte, la sperimentazione open-source e la biologia fai-da-te, allo scopo di ri-funzionalizzare una ricerca che il capitalismo ha relegato a mero profitto. GynePunk si colloca nella specificità del proprio luogo con un occhio a un contesto più ampio, puntando a una strategia ad ampio respiro al fine di evitare le restrizioni locali.

Schierandosi contro la stagnante, competitiva e restrittiva struttura del capitalismo, le GynePunk investigano la sessuologia in toto. Klau Kinky — uno dei membri fondatori — portava avanti una personale ricerca quando incrociò le storie di Anarcha, Betsey, e Lucy, rispettivamente tre schiave della piantagione del Wescott che soffrivano di fistola. Scavando a fondo nella loro storia medica, Kinky si accorse che James Marion Sims, padre della moderna ginecologia che le aveva in cura, in realtà aveva praticato i suoi esperimenti ginecologici su di loro senza alcun tipo di anestesia. Colpita da una tale violenza, perpetrata in nome della scienza, Kinky dedicò la sua ricerca alle tre donne — Anarcha, Lucy, Betsey y otras chicas del montón — rilevando come un’importante scoperta possa, di fatto, essere scaturita da brutali pratiche ai danni di alcune donne, e non dal genio di alcuni ginecologi.1414Cf. N. Srnicek, A. Williams, Inventing the Future: Postcapitalism and a World Without Work, Verso, New York 2015.

Le GynePunk non denunciano soltanto le storture dietro la storia dei padri fondatori della ginecologia, e la colonizzazione del corpo femminile, ma anche l’attuale discriminazione del sistema sanitario. A tal proposito, le Gynepunk hanno sviluppato un kit ginecologico finalizzato all’auto-analisi e pensato per immigrate, rifugiate, lavoratrici del sesso, ma anche per tutti quei gruppi sfavoriti, che per un motivo o per un altro non possono accedere all’assistenza sanitaria. Inoltre, al fine di bypassare il servizio sanitario pubblico o evitare umiliazioni legate alla questione di genere o al razzismo, le Gynepunk stanno studiando procedure di auto-analisi per malattie sessualmente trasmissibili. Sebbene spesso i membri del collettivo lavorino ai limiti della medicina tradizionale, facendosi chiamare ‘cyborg witches’, è possibile intravedere dietro la loro sperimentazione una reale presa di coscienza del fatto che «il corpo sia una tecnologia da hackerare, che aiuta a essere liberi, autonomi e indipendenti dal sistema».1515D. Bierend, Meet the GynePunks Pushing the Boundaries of DIY Gynecology, «Motherboard», 21 Aug. 2015, (11 Dec. 2016).

 

Silent University

Ahmet Öğüt, fondatore della Silent University – Courtesy of Ahmet Öğüt.

Reindirizzare le competenze necessarie per far fronte alle attuali questioni sociali non è un impulso proprio solo della pratica delle GynePunk, ma anche della Silent University, una piattaforma educativa autonoma fondata dall’artista Ahmet Öğüt nel 2012. Se il kit fai-da-te delle GynePunk fornisce un supporto medico a immigrate, rifugiate, lavoratrici del sesso, la Silent University punta sulla mancanza di una sistematica ricezione degli immigrati nel sistema culturale.

La Silent University offre un milieu educativo indipendente a migranti, richiedenti asilo e a tutti coloro che non possono praticare la propria professione o usare le loro qualifiche accademiche a causa di restrizioni politiche e sociali. La Silent University si colloca nell’«intersezione tra arte contemporanea e moderna pedagogia»,1616A. Öğüt, The Pitfalls of Institutional Pedagogy, «World Policy», 12 June 2013, (11 Dic. 2016).
saturando le convenzionali lacune con cui le istituzioni fanno ancora i conti. Allontanandosi dalle istituzionali procedure ‘top-down’, tale piattaforma parla in termini di adhocrazia, «puntando su decentralizzazione e su modelli di partecipazione orizzontali per il trasferimento della conoscenza».1717Ibid.
In questo senso, Ahmet Öğüt è un sostenitore di una pratica artistica e pedagogica emancipata dalle sperimentazioni socialmente impegnate a breve termine. Pertanto, la Silent University funge da antibiotico inoculato all’interno di un decadente corpo quale è l’attuale neoliberismo, provocando una silenziosa ma efficace reazione a lungo termine.

Una volta inseriti nella piattaforma culturale della Silent University, agli individui socialmente marginalizzati è chiesto di insegnare, di riappropriarsi della propria conoscenza, e soprattutto di attivare un processo di apprendimento focalizzando la nozione di silenzio. Il silenzio è qui concepito come uno strumento per stabilire una più forte criticità mediante l’atto dell’ascolto. Come afferma John Cage, «sono qui, e non c’è nulla da dire, ciò che ci è chiesto è il silenzio; ma quello che il silenzio richiede è che noi continuiamo a parlare».1818John Cage, Silence: Lectures and Writings, Wesleyan University Press, Connecticut 1961, p. 109.
Il silenzio e la reticenza che si celano dietro l’integrazione dei migranti rivelano il sistematico fallimento nel valutare capacità e conoscenze di gente che, di fatto, costituisce una risorsa.

La Silent University propone un modello parallelo alle convenzionali istituzioni. Non intende sovvertire le piattaforme esistenti, ma piuttosto allontanarsi da complesse amministrazioni e favorire un networking orizzontale. Dal 2012, la Silent University ha espanso la sua piattaforma. Dopo essere stata presentata a Londra, in collaborazione con la Tate, The Delfina Foundation e The Showroom, la Silent University ha sviluppato una rete di collegamenti ad Amburgo, Stoccolma, Ruhr, Mülheim, Ammam e Atene. Piuttosto che far leva su un marchio riproducibile, la Silent University offre una diversa narrativa dell’educazione. Questa include accademici migranti, docenti e consulenti, i quali realizzano corsi di formazione in base alle qualificazioni degli studenti partecipanti. Ciò significa non solo saper far fronte alle molteplici richieste, ma anche saper calibrare bisogni collettivi e del singolo. Il successo nello stabilire relazioni orizzontali è direttamente proporzionale al tempo investito, dato che, come lo stesso Öğüt ammette, «la pratica pedagogica richiede impegno a lungo termine, dedizione e determinazione».1919Cf. A. Öğüt, cit.
La Silent University, pertanto, si propone di concepire la pedagogia istituzionale all’interno dell’educazione neoliberale, spostando però l’attenzione dal cosa si impara al come lo si impara.

Georges Perec, Bernard Queysanne – Un Homme Qui Dort – 1974 – still video b/n – 81 min. Courtesy of Cecile Neurisse e Bernard Queysanne.

New Ways of Doing Nothing

Il processo di disapprendimento consiste nel riconsiderare le certezze moderne in una nuova prospettiva. Come appena visto, la nozione di silenzio può essere trasposta da un mal interpretato stato passivo a una condizione autoriflessiva. Similmente, l’inattività può essere concepita come forma di ispirazione2020V. J. Müller, C. Ricupero, Nicolaus Schafhausen, New Ways of Doing Nothing, Stenberg Press, Berlin 2016, p. 3.
e/o come forma di resistenza passiva.2121Ibid.
È quanto accade nella mostra New Ways of Doing Nothing — ospitata nel 2014 presso la Kunsthalle di Vienna. In quest’occasione, ventuno artisti sono stati invitati dalle curatrici Vanessa Müller e Cristina Ricupero a riflettere sul concetto di produttività nel contesto del neoliberismo. Il ‘far nulla’ del titolo si riferisce alla massima dell’artista Karl Holmqvist, secondo cui l’inazione artistica può scatenare un’inventiva latente, così spesso costretta dall’iperproduttività. I lavori in mostra puntavano al raggiungimento del niente, come nel caso della serie Today I Wrote Nothing (2009) dell’artista Natalie Czech. Nel loro processo curatoriale, Müller e Ricupero hanno seguito le tracce lasciate dal personaggio principale del romanzo di Herman Melville Bartleby, the Scrivener: A Story of Wall Street. Con il suo cordiale quanto pretestuoso rifiuto «preferirei di no», Bartleby attiva una resistenza passiva al lavoro richiestogli. Tuttavia, all’interno della prospettiva neoliberista, il ‘far nulla’ indica un rifiuto delle norme imposte, essenziale prerequisito alla felicità. La sovrabbondanza è generalmente concepita come un modo per fuggire la paura del niente più che una reale spirale verso il basso. In questo senso, l’iperattività è un’attitudine che punta a riempire la nostra impossibilità di ottenere il nulla.

Natalie Czech – Today I Wrote Nothing – 44 pp. – 13×20 cm (edizione di 500) – 2010 – Courtesy of Natalie Czech.

Attraverso una prospettiva sarcastica, New Ways of Doing Nothing rivendica il «diritto di essere pigri»,2222Cf. P. Lafargue, The Right To Be Lazy, Charles Kerr and Co., Chicago 1883.
così come sanzionato da Paul Lafargue. L’inattività può rivelarsi ancor più produttiva della dipendenza dal lavoro, poiché la «furiosa smania per il lavoro»2323Ibid.
conduce inevitabilmente al logoramento dell’individuo. L’unico modo per reindirizzare la sfrenatezza lavorativa è optare per un produttivo stato di inazione. In particolare, Today I Wrote Nothing (1976) di Czech dischiude questa idea. L’artista, infatti, punta a riprodurre un promemoria che il poeta russo Danii Kharms annota nel suo diario: «Oggi non ho scritto nulla. Non importa. 9 gennaio». Creando un collage con questo breve appunto, Czech in realtà mette il ‘non-scritto’ in atto, producendo a un tempo un risultato visivo e testuale.

Sebbene la formula di Bartleby, «preferirei di no», muova l’intera mostra, essa non può essere considerata un’effettiva forma alternativa al neoliberismo. Come afferma Deleuze: «La formula funziona come un’autentica agrammaticalità»,2424G. Deleuze, Bartleby; or, The Formula, in Essays Critical and Clinical, University of Minnesota Press, Minneapolis 1997, p.70.
dato che esclude logicamente ogni possibile alternativa. In Un Homme qui dort (1974) di Perec e Queysanne — anch’esso in mostra — la pretestuosa formula raggiunge il suo apice. Una volta che il personaggio principale — uno studente parigino di venticinque anni — rifiuta ogni tipo di attività, abbandonando gli studi, evitando i suoi colleghi e nei fatti «vivendo uno stato di catatonia»,2525V. J. Müller, cit., p. 9.
la stessa resistenza passiva cui si riferisce Bartleby viene ad assumere un carattere «devastante, che non lascia nulla sulla sua scia».2626G. Deleuze, cit., p.70.
Così concepita non vi è alcuna differenza tra pretestuosa inattività e alienazione da iperlavoro.

 

Site for Unlearning

Una modalità operativa di affrontare l’iperattività, così come l’inattività, emerge dalla pratica artistica di Annette Krauss. La sua ricerca si colloca nell’intersezione tra politica e conoscenza informale, sebbene comprenda anche la pedagogia. Annette mette in atto pratiche collaborative a lungo termine, che rimandano ad Ahmet Öğüt nel suo intento di rispondere a stringenti questioni sociali. Nel suo obiettivo di trovare risposte, Krauss punta a scardinare i luoghi comuni, anche qui attraverso un processo di disapprendimento.2727Cf. Unlearnig, website (11 Dec. 2016).
Sin dai suoi primi lavori, Krauss coinvolge artisti, educatori e non professionisti in progetti come Site for Unlearning (#0-presente) e Hidden Curriculum (2007-presente) — rispettivamente ospitati alla Whitechapel Gallery e The Showroom a Londra. Dal primo progetto emergono tre interrogativi: come affrontare «norme e strutture sociali che pur non volendo interiorizziamo»? Come affrontare «il processo di apprendimento fisico»? «Perché sentiamo il costante bisogno di essere produttivi»?2828Ibid.
Nel secondo progetto, i veri protagonisti sono gli scopi pedagogici.

Annette Krauss – Site for Unlearning #1 – particolare della performance in cui l’artista sperimenta la procedura di B. J. Ader di pedalare su un canale – 2013 – Courtesy of Annette Krauss.

Site for Unlearning è un esperimento artistico che persegue l’emancipazione dalle convenzioni che rispettivamente riguardano la nostra visione, esperienza e corporeità. In uno strutturato processo a lungo termine — che si dipana per episodi —, Krauss si serve dell’arte contemporanea per indagare la percezione dell’(in)visibile.2929Ibid.
Come lei stessa afferma: «Al cuore dei miei esperimenti è l’investigazione del potenziale dell’arte di occuparsi dell’apparente impossibile e di immaginare le cose in altro modo»3030Ibid.
. Pertanto, la risposta al primo interrogativo risiede nella costante negoziazione tra limiti e abilità di farvi fronte in modo creativo. In Site for Unlearning #1, l’artista gioca con il cliché dell’andare in bicicletta. È possibile disapprendere come si pedala una bicicletta? Attraverso goffi ma mirati esercizi fisici, Krauss provoca un cortocircuito nel modo di pensare l’atto dell’apprendimento. All’interno di un’intersezione di più livelli, l’artista combina la sua vena performativa con gli ultimi esperimenti di B. J. Ader sullo stesso argomento. Similmente, Krauss sperimenta l’«unlearning to walk» quando è invitata a lavorare specificamente nel contesto sociale di Tbilisi. In entrambi i casi, la sfida consiste nello scalzare gli automatismi fisici, attraverso il performare atti di riapprendimento che ricordano quelli ricorrenti nel superamento di un trauma. Nei fatti, il capitalismo ha instillato stimoli così subliminali che non riusciamo più a distinguere le conoscenze derivate da quelle innate. L’ansia da prestazione è poi un sintomo di una condizione di sovrapproduzione, finalizzata soltanto a giustificare la nostra esistenza. Il bisogno di essere ‘always on’ informa ogni livello della nostra quotidianità, specialmente quando siamo chiamati a dimostrare di essere individui di successo. Essere competitivi, produttivi e costantemente innovativi significa in tal senso sopravvivere alla precarietà. In questa corsa del topo, abbiamo persino dimenticato di soddisfare i bisogni più naturali, quelli che Krauss chiama «reproductive tasks»,3131Cf. Casco Case Study #2: Site for Unlearning (Art Organization), Casco (11 Dec. 2016).
come cucinare, pulire, mantenere relazioni sociali al di fuori dagli orari di lavoro. Tenendo queste condizioni in mente, Krauss sviluppa Unlearning #3, in collaborazione con Casco Team. Qui, ancora una volta, l’artista abbraccia l’esercizio di self-training per disapprendere e reindirizzare questi aspetti della vita che quotidianamente passano in secondo piano.

 

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di Giulia Colletti
  • Giulia Colletti è Coordinatore delle Attività Collaterali e Contenuti Digitali presso il Castello di Rivoli Museo d'Arte Contemporanea. È stata recentemente nominata membro del comitato curatoriale della 19. Biennale dei Giovani Artisti dell'Europa e del Mediterraneo. È rispettivamente iCI (Independent Curators International) e Curators Lab (Shanghai Biennale) alumna. In qualità di curatore indipendente, ha collaborato con artisti quali Elisabetta Benassi; Sarah Browne; Marcel Broodthaers; Núria Güell; Adelita Husni-Bey; Hanne Lippard; Wolfgang Tillmans; e Sue Tompkins, tra gli altri.
Bibliography

C. Bishop, Artificial Hells: Participatory Art and the Politics of Spectatorship, Verso Book, Berlin 2012.
M. Fisher, Capitalist Realism: Is There No Alternative?, Zero Books, London 2009.
C. Fontaine, Human Strike Has Already Begun & Other Writings, Mute and Post-Media Lab, Berlin 2013.
F. McKee, How to Know What’s Really Happening, Mai Abu ElDahab, Maha Maamoun, Ala Younis, Stenberg Press, Berlin 2016.
H. Melville, Bartleby, The Scrivener: A Story Of Wall-Street, in The Piazza Tales, Modern Library, New York 1997.
V. J. Müller, C. Ricupero, N. Schafhausen, New Ways of Doing Nothing, Stenberg Press, Berlin 2016.
S. Sheikh, Capital (It Fails Us Now), b_books, Berlin 2006.
N. Srnicek, A. Williams, Inventing the Future: Postcapitalism and a World Without Work, Verso, New York 2015.
A. Sundararajan, The Sharing Economy: The End of Employment and the Rise of Crowd-Based Capitalism, MIT Press, Cambridge 2017.