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Voci plurime a incastro: il pittoresco svelato
Magazine, MITO - Part I - Aprile 2019
Tempo di lettura: 14 min
Jonathan Gobbi, Lisa Andreani, Marco Furlani

Voci plurime a incastro: il pittoresco svelato

Storie di colonialismo: il “Cuore delle Ande” di Church, le ricerche sulla geografia critica di Alexander von Humboldt e la rappresentazione della Vergine delle Ande: breve trattato corale sull’espediente narratologico del pittoresco, tra descrizione della realtà e ridefinizione di immaginari.

Edwin Church, Il cuore delle Ande, 1859, olio su tela, Metropolitan Museum, New York.

 

Questo saggio si offre come esercizio di scrittura intermediale e collettiva. Plurime sono le voci che si esprimono al suo interno.

I dialoghi presenti, come intermezzi del testo, sono stati in parte prelevati o riadattati dalla pubblicazione realizzata dal duo di artisti Furlani-Gobbi in occasione della terza edizione di Teatrum Botanicum, PAV Parco Arte Vivente (Torino), mentre la riflessione qui trattata è stata elaborata e ampliata partendo dal progetto che gli artisti hanno presentato in occasione del festival.

Julius Schrader, Alexander von Humboldt, 1859, olio su tela.

Nell’intervento formulato saranno esaminati due casi che, creando tra loro un tessuto intrecciato di convergenze tra modalità rappresentative e momenti storici, evidenzieranno un duplice aspetto della categoria del pittoresco: il suo meccanismo meramente descrittivo in grado di “simulare” la realtà e, al contempo, la capacità di costruzione e immissione di un dato immaginario. Una forza doppia, dunque, di dipendenza e autonomia rispetto al reale.

La circolarità dell’analisi ruota intorno alla possibilità di mostrare come, attraverso due rappresentazioni pittoriche differenti, il pittoresco e la sua idea di scorcio possano presentare, tramite la formulazione di un linguaggio formale e allestitivo, una spinta coloniale e imprenditoriale. L’immissione di uno sguardo esterno o interno ma armonico su un territorio, selezione di un frame attraverso un dispositivo, carica un luogo di significati che possono poi essere nuovamente tradotti. La traduzione, in questo caso, è la formulazione di un’adorazione non neutrale, l’annullamento dello sguardo scientifico o spirituale per la produzione di mercato.

Il pittoresco, dunque, nato come sistema di composizione pittorica caratterizzato da una formulazione di regole di base, si manifesta come creazione di un paesaggio fatto di elementi eterogenei e insoliti legati all’interno di una struttura armonica.

Lo sviluppo estetico di tale categoria ha avuto origine nell’Inghilterra del XVIII secolo, quando il rapporto tra arte e natura si estese oltre i confini della pittura, sino a giungere all’architettura del paesaggio. Ben nota, in questi termini, è la composizione dei giardini all’inglese, sebbene il vocabolo sia stato utilizzato prima di questo periodo e ripreso successivamente dando prova delle sue innumerevoli sfaccettature.11Per un ulteriore approfondimento si faccia riferimento a H. Wölfflin, Rinascimento e Barocco, Sansoni, Firenze, 1988; R. Vinturi, Complessità e contraddizioni nell’architettura, Dedalo, Bari, 1980; E. Panofsky, Breve ed irriverente storia del gusto inglese, Allemandi, Torino, 1990; R. Milani, Il Pittoresco. L’evoluzione del gusto tra classico e romantico, Laterza, Bari, 1996.

A breve, pertanto, analizzeremo il caso del paesaggista americano Frederic Edwin Church (1826-1900), il cui dipinto Il Cuore delle Ande, attualmente conservato al Metropolitan Museum di New York, nella rappresentazione di un panorama altamente selezionato non rinuncia al potere di un display scenografico e teatrale22L’allestimento dell’opera è stato ricostruito e mantenuto nel corso di questi anni uguale a quello della serata inaugurale del 1859. Inserito all’interno di una cornice, il dipinto era accerchiato da tende che tirate ai lati davano la suggestione di trovarsi davanti a una finestra, di immettere il proprio sguardo su un paesaggio svelato.
in grado di filtrare e amplificare la dimensione pittoresca dell’immagine. Successivamente passeremo agli innumerevoli ritratti della Vergine andina che, nella veste di montagna, durante il periodo coloniale diviene per la Scuola di Cuzco33La Scuola di Cuzco fu un movimento artistico che si sviluppò durante il periodo coloniale (XVI, XVII e XVIII secolo) in diversi sedi tra cui Cusco in Perù e diverse città sulle Ande in Ecuador e Bolivia. Il contributo pittorico dato a questa scuola da parte degli spagnoli e più in generale dagli Europei fu molto rilevante. È possibile infatti notare un aspetto fortemente tenebroso derivato in particolar modo dal barocco ispanico. I dipinti della Scuola di Cuzco sono considerati di stampo didattico, come forma religiosa da parte degli spagnoli per convertire gli Inca al cattolicesimo.
uno dei principali soggetti iconografici.

Nello specifico, queste due proposte ruotano intorno a due ulteriori elementi: il pittoresco e la sua applicazione formale attraverso il dispositivo della tenda-cornice-scenografia e la figura di Alexander von Humboldt. Quest’ultimo, punto di riferimento per una nuova lettura del sapere geografico, esploratore e naturalista tedesco, rappresenta per le figure coinvolte nello studio il modello da cui trarre ispirazione e la fonte di informazioni in grado di inserirsi e tendere un filo rosso tra le due analisi formulate.

La tenda-sipario, invece, emerge a seguito del suo utilizzo, sempre con finalità e linguaggi formali differenti (veste-montagna, da un lato, per la Vergine andina e pratiche allestitive dall’altro) quale strumento per creare un ritaglio, uno scorcio di spazio e di visione ben preciso.

La diegesi della narrazione proposta da Church e dagli artisti della Escuela Cuzquena, e prima ancora da Humboldt, inscrive la presenza di una dimensione storica che, benché minimale e celata dagli innumerevoli dettagli naturali, parla di rapporti di potere e di tentativi di resistenza.

Furlani-Gobbi, Staffage, 2018, Teatrum Botanicum – PAV (Torino).

New York, 1859. Esterno.
J.: Non ti distrarre a guardare il cielo.
M.: È solo che è strano vedere stormi di pappagalli qui in città.
J.: Sarà una trovata pubblicitaria per la presentazione del Cuore delle Ande di Church.

Nel 1859, all’interno dello Studio Building di New York, fu esposto per la prima volta Il Cuore delle Ande. Il paesaggio andino ritratto dall’americano Church riscosse una quantità di pubblico senza precedenti. Infinite erano, infatti, le code che si formavano all’ingresso dell’edificio per vedere il tanto acclamato dipinto. Al di là della forte cura per i dettagli, in particolare nella rappresentazione della fisionomia del paesaggio sudamericano, ciò che colpì ampiamente i visitatori fu l’allestimento, il display dell’opera stessa. Una tenda-finestra incorniciava, in strati e strati di drappeggi, Il Cuore delle Ande, che veniva così svelato agli occhi dei suoi osservatori. Sopraelevato era il basamento, il palcoscenico, che costruiva l’orizzonte di una fedeltà nella rappresentazione naturalistica che veniva quindi imposta.

La pausa prima della scoperta: prima di posare gli occhi sugli innumerevoli dettagli della natura andina, come attesa alla concessione del vedere, lo sguardo è chiuso. Il sipario è calato, si aspetta che la natura ritratta si manifesti.

Come da copione la tenda si apre, è ora possibile l’accesso alla meraviglia, a quel ritaglio visivo che è catalogazione, descrizione misurata del cosmo.

Il pittore dell’Hudson River School rappresentò con studio attento la topografia del Sud America. Il paesaggio montano sullo sfondo, il Chimborazo in lontananza, i morbidi pendii e le cascate, insieme all’accurata presentazione della flora equatoriale, si conformavano secondo i princìpi di quel pittoresco del quale Humboldt aveva suggerito il perpetrare del suo uso come metodo di apertura all’indagine scientifica. L’ottica è di Goethe, il metro di Newton.

New York, 1859. Interno.
Church: Sono tutti così presi dalla lettura di questo Darwin! E dimenticano la lezione del maestro, il grande von Humboldt! Darwin stesso racconta di aver intrapreso il viaggio attorno al mondo leggendo von Humboldt!
Questa mia opera è dedicata a lui: quest’accuratezza di particolari che si fondono e creano il paesaggio, così come i vari fenomeni, sono collegati a formare la natura stessa.
Lì, all’interno di quell’architettura che richiama una finestra, sotto quei tendaggi che portano lo spettacolo della natura su un palco, lì è il mio omaggio.
Tra poco l’opera verrà svelata.
La natura verrà svelata.
L’esotico disposto alla portata dei miei concittadini.
Loro non hanno speso giornate a riportare i colori di un fiore, a catalogare specie animali e vegetali, a misurare l’incidenza della luce sul blu del cielo.
Se solo questo fastidioso vociare potesse smettere.
Pappagalli. Stormi di pappagalli qui in città…

Alexander von Humboldt, Geografia delle piante equinoziali, 1803, incisione, Stadtmuseum, Berlino.

Nel 1827, durante la sua prima lezione berlinese sul Kosmos, Humboldt introduce il suo progetto per una geografia critica, Erdkunde, fondata sulla mediazione della visione e traducibilità dello sguardo ricolmo di ammirazione e sbalordimento. La finalità della sua ricerca è rivoluzionare culturalmente il concetto di paesaggio, di un pittoresco non più immagine di «una mancanza d’ordine compensata dalla varietà», ma vero e proprio proposito gnoseologico naturalistico. Un rovesciamento in grado di «strappare la borghesia tedesca dal proprio atteggiamento contemplativo, dai “vacui giochi poetici”, per dotarla di un sapere in grado di garantirle invece la conoscenza e il dominio della terra»44F. Farinelli, Storia del concetto geografico di paesaggio, in Aa. Vv., Paesaggio. Immagine e realtà, Electa, Milano, 1981, p. 151.
. Con la sua precisione e accuratezza, la rappresentazione diviene una condizione di calcolabilità in cui il paesaggio e il pittoresco restano e vivono solo nella funzione di pre-testo.

Il panorama pittoresco, come “set e field”,55Il termine set fa propriamente riferimento a tutte le scenografie e prop cinematografici che hanno costituito innumerevoli paesaggi nella nostra storia. Field, invece, viene utilizzato per enfatizzare un aspetto antropologico, di studio sul campo. Entrambi i vocaboli illustrano altre due possibilità di lettura della dimensione pittoresca.
velato al mondo nella sua cornice, è la traccia di un tentativo e di una volontà politica e sociale, di una raccolta di documenti e materiali che saranno utili a Humboldt per la destrutturazione del sapere geografico-aristocratico e per l’instaurazione del dominio scientifico della nascente borghesia tedesca.

Se l’invito di Humboldt alla pittura di paesaggio in forme pittoresco-scientifiche consente di agire su un immaginario visivo al fine di fornire strumenti intellettuali, il risultato ricadrà per converso in fini e scopi di profitto economico pari a quelli che fornirà il paesaggio realizzato da Church. Finanziato da Cyrus West Field come mezzo affabulatorio per attirare investitori nelle sue imprese sudamericane, Il Cuore delle Ande rappresentò una visione concupiscente in quanto oggetto da ammirare ai fini della speculazione economica. Il magnate americano, infatti, sovvenzionò proprio a tale scopo i viaggi del pittore dell’Hudson River School in Ecuador e in Colombia tra il 1853 e il 1857.

La doviziosa armonia incantata del quadro pittoresco asservita all’occhio economico: il rischio di investimento è mitigato da un immaginario esotico attraente“…il rischio di investimento è mitigato da un immaginario esotico attraente” e la prospettiva di guadagno è prospettata da una natura incantata.

Ai piedi del Chimborazo, due figure di spalle.
Ruckenfigur 1: Siamo stati fortunati a trovare questo sentiero in mezzo a questo intrico di vegetazione.
Ruckenfigur 2: Sono più contento di questo ruscello in cui rinfrescarci. Fermiamoci ai piedi di quella croce (cosa ci farà poi una croce in questa foresta dispersa nel cuore delle Ande?) e ammiriamo il panorama per qualche minuto.
Ruckenfigur 1: Non m’interessa il panorama! Dobbiamo stabilire la fattibilità di quei lotti abitativi! Con il successo avuto da quel pittoruncolo la richiesta di persone che vogliono migrare in queste terre è aumentata vertiginosamente. E pensare che il signor Church si credeva uno scienziato, un fine osservatore della natura sulle tracce di quell’altro tedesco di cui non si ricorda oramai più nessuno! Infine, non è stato altro che un abile pubblicitario e il suo quadro null’altro che un billboard degno della miglior tradizione americana.
Ruckenfigur 2: Non essere ingiusto, adesso. Diciamo che il suo finanziatore è stato abile nell’unire la parte estetica con uno spiccato senso per gli affari. E comunque ero presente all’inaugurazione dell’opera ed è stato veramente incredibile. A parte forse un eccesso di teatralità dato da quelle tende e un rumore di fondo dato da insoliti stormi di pappagalli.
Ruckenfigur 1: Bah, anche qui è pieno di pappagalli ovunque! Sarà per questo che le piante sono così rigogliose.
Ruckenfigur 2: Sei un poeta.
Ruckenfigur 1: No, sono un architetto e tu un biologo. Siamo scienziati e non poeti, o pittori o quant’altro. Siamo qui per misurare, fare ricerca e portare dei risultati.
Ruckenfigur 2: Ciò non toglie che la natura è incredibile. Guarda, quello in riva al fiume è un esemplare di Amina casatii!
Ruckenfigur 1: M’interessa solo se è commestibile. O se le radici possono intaccare le fondamenta delle case.

Anonimo, Vergine della montagna, XVIII secolo, olio su tela, Casa National de la Moneda, Potosì.

Così come furono traditi gli edificanti propositi di Church, similmente l’invettiva antischiavista prodotta da Humboldt, esplicitata nel suo saggio dedicato alla Nuova Spagna, fatto di precise descrizioni delle politiche disumane sulle popolazioni indigene schiavizzate, ebbe l’effetto contrario. Tanti dati, tante misurazioni e strumenti di lettura finirono per tramutarsi in un dossier perfetto per gli investitori, sia che essi volessero conoscere la produttività di una coltivazione latifondiaria o lo stato dello sfruttamento di una miniera in Messico o sulle Ande. Su questo argomento torneremo tra non molto.

Nelle miniere del Cerro di Potosì, due minatori.
M1: Ho portato il canarino, è lì nella gabbia, se muore vuol dire che è finita l’aria.
M2: Almeno non continuerà a cianciare come quei pappagalli.

M1: Hai sentito che Simon è tornato dall’Europa? Si dice che abbia parlato con quel von Humboldt, quel barone tedesco che va in giro a fare domande e a misurare l’azzurro del cielo. Gli ha messo in testa nuove idee.
M2: Bolivar intendi? Sì, mi hanno detto. Vuol fare la rivoluzione, non so, non ci credo. Preferisco accendere una candela alla Vergine.
M1: Questa barba, che è come carta vetro! Mio padre ci è rimasto nella pancia di questa montagna, nel suo ventre matrigno fatto di vene d’argento. E tu continui a recarti al santuario a implorare la sua benevolenza, ad accendere candele, credendo che ti salverai. Non ti rendi conto che la Vergine in cui cerchi rifugio, da cui elemosini protezione, è la stessa che ci inghiotte nei suoi cunicoli? Siamo noi il suo nutrimento, portata in gloria sull’altare spagnolo.
M2: Parli come loro, seppur contro di loro. Lei ci protegge, sotto la sua veste, siamo fatti della stessa terra.
M1: La rivoluzione!
M2: Ricordami di darti ragione quando saremo finalmente liberi di scalare la montagna con uno zainetto Quechua.

Introducendo la figura della Vergine delle Ande recuperiamo la stessa ambientazione geografica andina dell’analisi precedente di Church, per osservare in questo caso un meccanismo sincretico di salvaguardia culturale e territoriale. Inserita tra i soggetti principali delle raffigurazioni della Scuola di Cuzco, questa elaborazione “meticcia” divenne pervasiva sul territorio, modello ibrido per mettere in luce un duplice immaginario sacrale, cristiano e indios. Sintesi quindi di molti culti e siti già precedentemente dedicati alla Madre Terra, la Vergine delle Ande rappresentava una combinazione di elementi raccolti all’interno della personificazione della montagna.

La confluenza delle linee naturalistiche nella veste triangolare della madre cattolica si arricchì, infatti, per mantenere vivido un certo rigore nei confronti delle tradizioni, di un omaggio al paesaggio andino, caratterizzato in particolare da un’ampia gamma di fiori e gioielli, flora e fauna, colori del territorio. Gli innumerevoli dettagli di cui erano tempestate le forme morbide di fianchi montani, le forme architettoniche di un abito a campana, generavano un mantello-tenda in grado di abbracciare una rappresentazione votiva ben precisa, esportando la visione del paesaggio andino mentre si vede importato il culto sacro della Madonna cristiana.

il carattere votivo della Madonna andina si trasforma in paradosso lenitivo.

Il risultato è la sovrapposizione della divinità andina Pachamama con il culto della Vergine. Pachamama, portatrice di fertilità e protettrice di coltivazioni, ancor prima dell’arrivo degli spagnoli, nella sua figura accoglieva, in rappresentazione di forma montana, tutto ciò che si situava sulla superficie terrestre. Sebbene da parte dei colonizzatori non mancarono tentativi di abolirne il culto, questa divinità mantenne nel tempo una sua forza e solidità tali da generare un adattamento, una congruenza sincretica e formale con la Vergine cristiana.

Il luogo è nuovamente quello del pittoresco, prodotto di un ambiente naturale e spirituale specifico. La composizione di carattere descrittivo della tenda-abito è uno scorcio ben preciso, ancora l’autorizzazione dell’artista andino che racchiude l’immaginario del suo mondo per lasciarlo sopravvivere. I tratti specifici europei (la luce focalizzata sulle figure, il gusto barocco, l’uso della foglia d’oro) si allineano a un uso intenso dei colori e a uno spazio frammentato in cui in primo piano ricade la montagna.

All’interno di questa iconografia, un caso particolare però, un quadro ben preciso, è in grado di farci percorrere nuovamente le tracce di Humboldt: The Virgin Mary of the Mountain of Potasiama (Anonimo, XVIII secolo). Il monte a cui la Vergine e la sua veste fanno riferimento è il Cerro Potosì o Cerro Rico situato in Bolivia, alto 4782 m, la più grande miniera in quota del mondo:

«La montagna di Potosì, dice il signor di Humboldt, fornì da sé sola e senza contare l’argento con cui si pagarono i diritti reali, dalla sua scoperta nel 1545 fino ai dì nostri, una massa d’argento equivalente a 5.750 milioni di lire torinesi».66A. Balbi, Compendio di geografia: compilato su di un nuovo piano conforme agli ultimi trattati di pace e alle più recenti scoperte, Tipografia Pomba, Torino, 1834, p. 1492.

In questo caso, il carattere votivo della Madonna andina si trasforma in paradosso lenitivo, antidoto per la sopravvivenza delle risorse naturali, mentre il loro deturpamento incombe. Non è soltanto l’evangelizzazione che ricade sul popolo di Potosì, ma anche la crudeltà di uno sfruttamento nelle miniere di una montagna tumefatta ma ricca di una flora ormai solo idealizzata. Il rito di pacificazione, attraverso la sua rappresentazione, chiede a Madre Terra una tregua, l’interrompersi del massacro dei figli minatori.

Le dotte ricerche di Humboldt anche su tale soggetto, minuziose nel dettaglio, si presenteranno nuovamente come materia perfetta per un’indagine di mercato, un accesso alla rendicontazione e allo studio di ipotetici rischi di investimento dove l’azione filantropica di Humboldt viene scartata e non presa in considerazione.

Sulla salita alla vetta del Chimborazo.
Alexander von Humboldt: Mi viene in mente quel pappagallo che abbiamo visto in Amazzonia, ultimo testimone di una lingua ormai persa della tribù degli Atures, spazzata via dai conquistadores. Parlava, ripeteva parole ormai senza senso, vuote, nessuno più capace di decifrarne il significato.
Aimé Bonpland:77Aimé Bonpland (1773-1858) fu un botanico, naturalista ed esploratore francese. Fu il compagno di viaggio di Alexander von Humbolt nella traversata durata cinque anni nei territori del Messico, Colombia e nelle zone toccate dai fiumi Orinoco e Rio delle Amazzoni.
Cammina, Alexander, o non arriveremo in vetta.
Alexander von Humboldt: Ci penso spesso ultimamente. Ma nemmeno mi ascolti. Sono ripetitivo?

 

J.: Questo dialogo è insensato.
M.: È una prospettiva. Anzi, è solo un altro scenario.
J.: Stiamo dipingendo un’altra versione del Cuore delle Ande, un pittoresco esotico dalla nostra prospettiva europea.
M.: Sì, è difficile resistere al fascino.
J.: Già.

Intermediale è l’architettura composta da diverse modalità d’espressione: il saggio critico e una sceneggiatura divisa in parti dialogiche e descrizioni di scene. Una scomposizione e ricomposizione architestuale che, tentando di rendersi affine a un tipo di ricerca più esplorativa che di analisi e di indagine, formula nuove possibili proposte di lettura. Un tentativo per interrogarsi, senza cercare alcuna legittimazione, un dare credito alle immagini per muovere da esse un sistema di domande.

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"Information is power. But like all power, there are those who want to keep it for themselves. But sharing isn’t immoral – it’s a moral imperative” (Aaron Swartz)

Autori
  • Jonathan Gobbi
  • Lisa Andreani
    Curatrice e critica d’arte. Vive e lavora a Roma. Dal 2020 è coordinatore curatoriale ed editoriale all'interno del MACRO - Museo per l’Immaginazione Preventiva, sotto la direzione artistica di Luca Lo Pinto. Lavora come archivista per l'Archivio Salvo ed è parte del Comitato Scientifico. Nel 2019 ha preso parte al programma di ricerca Global Modernism Studies all'interno della Bauhaus Dessau Foundation. Nello stesso anno ha cofondato, insieme a Simona Squadrito, REPLICA, progetto di ricerca dedicato ai libri d'artista.
  • Marco Furlani
Bibliography

A. Balbi, Compendio di geografia: compilato su di un nuovo piano conforme agli ultimi trattati di pace e alle più recenti scoperte, Tipografia Pomba, Torino, 1834.
Aa.Vv., Paesaggio. Immagine e realtà, Electa, Milano, 1981.
F. Farinelli, Geografia, Einaudi, Torino, 2003.
J. F. Lejeune, Cruelty and Utopia: Cities and Landscape of Latin America, CIVA, Bruxelles, 2003.