Esposizione coloniale di Parigi, 1907.
«Tutti gli ambienti sono intrisi di colonialità. I corpi che li attraversano se ne imbevono e ne diventano portatori inconsapevoli»
Rachele Borghi, Pensare decolonialmente
Il museo imperialista
La narrazione storica, intesa come costruzione discorsiva, crea un sistema di pensiero, di interpretazione e rappresentazione delimitato specificamente. La modalità attraverso cui si orienta lo sguardo per costruire un discorso cela sempre una base ideologica in cui il sistema sociopolitico e l’apparato culturale si mescolano, stabilendo le direttive su cui costruire le identità e definire sé stessi. Per creare e garantire lunga vita a questo meccanismo, le istituzioni utilizzano quello che Michel Foucault definisce volontà di verità, un elemento arbitrario e contingente con lo scopo di esercitare pressione e un potere di costrizione sulle narrazioni ritenute non allineate. In questo modo, il Nord Globale ha imposto progressivamente i suoi presupposti culturali, consolidando codici e sistemi narrativi che favorissero la sua configurazione ideologica a scapito delle altre culture del mondo.
Il museo è una delle istituzioni al centro di questo dibattito, poiché socialmente rappresentato come spazio neutrale, pensato come catalizzatore e veicolo di messaggi estetici. Rientra, invece, nel panorama delle eterotopie come spazio di connessione in cui i rapporti interni sono continuamente sottoposti a processi di sospensione, neutralizzazione o inversione. In quanto istituzione, esso ha un ruolo che «non è limitato alla rappresentazione dell’arte: nutre e si nutre dell’ecosistema culturale al quale appartiene attraverso una complessa serie di azioni che risiedono spesso nel regno dell’immateriale».11Ute Meta Bauer, The Making of an Institution, in Marco Scotini (a cura di), Utopian Display. Geopolitiche curatoriali, Quodlibet, Macerata, 2019, p. 36.
Il museo è, allo stesso tempo, luogo di accumulazione e di controllo che esercita un potere normativo sui corpi che lo attraversano e, ponendo al centro l’atto del mostrare e del rappresentare, a sua volta dà forma agli oggetti che mette in scena. In questo processo, si viene a creare un pubblico specificamente orientato e orientabile, attraverso i principi rigidi alla base dell’organizzazione visuale e percettiva dello spazio museale. La narrazione che esso veicola è, quindi, il riflesso del contesto sociale, culturale e politico di un territorio, tanto da creare veri e propri paradigmi di interpretazione della realtà che, a loro volta, subiscono e attuano un processo di doppia influenza. Questa reciprocità si esprime attraverso la costruzione discorsiva che i luoghi espositivi mettono in atto, soprattutto nel momento in cui sono chiamati a relazionarsi con il passato e con l’alterità. Così:
«Il museo ha fornito le risorse immaginative e performative, gli orizzonti cognitivi e le pratiche utili alla costruzione del/della cittadin_ europe_ modern_, indirizzandol_ come soggetto “universale”, sempre in relazione con un’alterità rispetto alla quale definirsi per differenza, ancorandosi a una serie di dicotomie fondanti (sé/altro, natura/cultura, deviante/normale)».22Giulia Grechi, Decolonizzare il museo: mostrazioni, pratiche artistiche, sguardi incarnati, Mimesis, Sesto San Giovanni, 2021, p. 46.