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Antirave: l’esperienza collettiva dei free-party in Italia
Magazine, ESCAPISMI -Part II - Giugno 2025
Tempo di lettura: 7 min
§ame

Antirave: l’esperienza collettiva dei free-party in Italia

Intervista ai fondatori di §AME

Fotogramma da ANTIRAVE.

Il cosiddetto “decreto anti-rave” è stato introdotto dal governo Meloni il 31 ottobre 2022 e convertito in legge a dicembre dello stesso anno, con alcune modifiche rispetto alla versione originaria. La norma mira a disincentivare e punire l’invasione arbitraria di terreni, edifici, pubblici o privati, per organizzare raduni musicali o di intrattenimento non autorizzati che prevedano la partecipazione di oltre 50 persone. Le sanzioni previste includono pene detentive da 3 a 6 anni e multe fino a 10.000 euro. Il provvedimento si applica in particolare quando tali eventi rappresentano un concreto pericolo per l’ordine pubblico, la sicurezza o la salute pubblica.

La legge ha suscitato ampie critiche da parte di giuristi, associazioni per i diritti civili e organizzazioni come Amnesty International. Le principali preoccupazioni riguarderebbero la vaghezza dei termini utilizzati, che lasciano spazio a interpretazioni arbitrarie e potrebbero compromettere il diritto alla libertà di riunione e di espressione. Amnesty ha sottolineato il rischio di un’applicazione discrezionale della norma, tale da colpire anche manifestazioni pacifiche prive di intenti pericolosi. Nonostante la legge, i free party non autorizzati non sono scomparsi in Italia. Anzi, negli ultimi mesi se ne è registrato un aumento, segno che la normativa non ha prodotto l’effetto deterrente auspicato dal governo. 

In questo contesto si inserisce Antirave, un documentario autoprodotto che attraversa il mondo dei free-party con uno sguardo urgente, politico e profondamente partecipato. Frutto del progetto §AME, il film è l’esito del racconto di un’esperienza collettiva, tra spontaneità creativa, distribuzione dal basso e tensioni etiche. Nell’intervista ai fondatori emergono domande cruciali sul ruolo del documentarista, sull’appropriazione culturale e sul senso stesso di raccontare storie fuori dal circuito dell’intrattenimento.

Per visualizzare il documentario, potete andare su ZalabView o su Openddb


KABUL: Com’è nato il vostro documentario? Quale esigenza o intento lo ha guidato?

§ame: Va detto, in totale franchezza, che ai tempi non avevamo idea di come funzionasse la produzione di un documentario. Erano i primi di marzo 2024 quando venne l’idea di produrre Antirave, inizialmente nominato Parade. Quello che ci trovavamo tra le mani era una serie di clip sparse, che a grandi linee raccontavano alcune tra le maggiori street parades in Italia tra il 2023 e il 2024. In un altro hard disk, a far polvere, stava un’intervista di Vanni Santoni, condotta pochi mesi prima nell’archivio di lingue straniere della biblioteca Brunelleschi a Firenze. A unire tutto c’era la voglia di provare a raccontare ciò che avevamo visto, provato, sentito, durante quelle “tekno-dimostrazioni” che, per noi, avevano ri-messo in discussione l’appropriazione degli spazi pubblici, del concetto di “decoro cittadino” a seguito dello shock repressivo estremizzato dal decreto 633-bis… La volontà di Antirave era quella di raccontare un’esperienza significativa di reazione giovane e massiva a un progetto di repressione sistemica, nonché “messa a profitto” dell’intrattenimento notturno.

Ci piaceva l’idea che il documentario potesse risuonare dai soundsystem prima che iniziasse la “festa”. Concependo il documentario come strumento e vettore di trasformazione e cultura, utile a ricordare ai partecipanti del “rito”, la valenza politica del “free-party” e i suoi intrinseci valori di libertà d’espressione, auto-organizzazione, nonché fenomeno trascendentale.

K.: Che cosa significa autoprodurre un documentario in Italia? Quale valore politico ha per voi?

§: Una storia di valore non deve essere “perfetta”: deve funzionare, rispondere a una necessità. Chi la fruisce deve sentirsi ascoltat*, rappresentat*. Ad oggi possiamo dire che Antirave ci ha offerto una prospettiva ampia su cosa significhi autoprodurre e auto-distribuire un docu-film. Non crediamo che la diffusione sia dovuta a un’eccelsa qualità del contenuto – che, di per sé, non è altro che una sequenza di immagini “festose” accompagnate dal ritmo ipnotico della voce di Vanni – quanto piuttosto a una “fame” diffusa di ascoltare quella storia, in un’attualità politica che lascia ben poco spazio a immaginari rivoluzionari.

Fotogramma da ANTIRAVE.

D’altronde, l’autoproduzione è alla base del free-party, così come l’autodeterminazione di uno spazio, pubblico o privato che sia. Nei free party non ci sono guardie a controllare i biglietti, né guardaroba, né stand sponsorizzati da Heineken. Il divertimento è autogestito dalle logiche stesse della cultura: dalla logistica alla musica, fino al consumo di sostanze. Nel nostro caso, l’autoproduzione diventa una prassi per tutelare la libertà di espressione e l’autenticità delle storie. Ci piace immaginare il video autoprodotto come uno strumento per abbattere i costi di produzione, in un mercato ormai assuefatto a investimenti milionari per contenuti d’intrattenimento “usa e getta”. Preferiamo processi progettuali fondati sulla libertà espressiva, senza compromessi, senza dover attendere la lenta macchina del finanziamento… Ovviamente, questo significa viaggiare in bus, dormire in tenda quando serve, usare attrezzatura a basso budget e, soprattutto, saper padroneggiare ogni fase del film-making: dalla regia alla produzione, dalla color al sound design, dal montaggio al mastering audio…

K: Come avete gestito la fase di distribuzione?

§: Tra il 2024 e inizio 2025, Antirave è stato proiettato in più di 30 eventi sparsi per tutta la penisola: per strada, nei centri sociali, in occupazioni, festival musicali, scuole, multisala, rassegne di cinema indipendente, parchi autogestiti, fino ai Teknival francesi… Attraverso questo “tour” ci siamo resi conto che non avevamo bisogno di un distributore per far circolare le nostre storie: potevamo farlo da soli.

K.: E ha funzionato?

§: Abbiamo provato a raccontarci con sincerità, perché – come Te – anche noi siamo vittime di una competizione tossica; come Te, vediamo la vita scivolare via in una scrollata, sentiamo il sole scaldarci sempre più e lo sconforto montare davanti a uno scenario geopolitico da vertigini. Le cose non vanno, e un’esigenza personale si trasforma presto in un’urgenza collettiva, generazionale. È stata proprio questa urgenza a fare da “cas(s)a di distribuzione”. Ma non saremmo mai arrivati fin qui senza il supporto di singoli e comunità del panorama underground italiano. Attraverso i movimenti di Smash Repression, il documentario ha assunto una forma che va ben oltre l’intrattenimento, diventando una sorta di manifesto di ciò che stava accadendo sui carri delle street parades. Rendere il progetto partecipativo e corale – con il coinvolgimento diretto dei soggetti stessi del documentario – ci ha permesso di comprenderne a fondo le logiche: la capacità di organizzare proiezioni, feste e dibattiti da un giorno all’altro, senza permessi, mobilitando centinaia di persone.

Fotogramma da ANTIRAVE.

K.: Secondo voi come ha fatto il contenuto a girare così tanto e con il minimo sforzo?

§: Parliamo non solo di Antirave, ma anche di quei progetti dalle tematiche affini come Interdit di Lorenzo Marino e F(r)ee di Alessandro Ugo. Diciamocelo: il Rave Party è diventato un trend. La techno inizia a farsi strada nella pubblicità mainstream, gli occhialetti “veloci”, i giubbotti larghi e le scarpe grosse diventano fashion. Gli spasmi muscolari della trance, tipici del “sottocassa”, vengono riprodotti su TikTok… Da fenomeno “robboso”, il rave diventa “cool”. Ma come mai? È solo la nostra voglia collettiva di immagini crude, stroboscopiche, impastate di droga? Oppure c’entra il tentativo del business privato di entrare nella festa libera, per controllarla, monetizzarla, mettere a profitto qualcosa che per sua natura si oppone proprio a quella logica?

«Prima t’ignorano, o non si accorgono che esisti, poi ti combattono, ti criminalizzano, ed infine se non riescono a batterti, ti comprano…».
(Vanni Santoni, Antirave)

Il “successo mediatico” del Rave non era certo nei nostri intenti iniziali. Ce ne siamo resi conto solo più tardi, quando gli insight di Instagram hanno iniziato a mostrarci picchi inaspettati sui reel – mai raggiunti con altri contenuti, come attivismo ambientale, Palestina, decrescita… Ed è lì che è scattato il primo campanello d’allarme, seguito da raffiche di domande: ma perché lo stiamo facendo? Qual è la responsabilità etica di un documentarista che si affaccia a contesti sensibili come il free-party? Quali saranno le conseguenze?

K.: Come vi presentereste?

§: §AME è un progetto nato da due fratelli, Carlo e Pietro, mossi dall’esigenza di cercare e raccontare storie di cambiamento sui territori, attraverso la pratica del “documentario d’urgenza”. Per documentario d’urgenza intendiamo la produzione di contenuti dal forte valore attuale: storie che devono essere raccontate ora, nell’immediato, dando priorità al messaggio e alla sua potenzialità trasformativa, più che alla perfezione tecnica. Sin dall’inizio abbiamo scelto di spingere il concetto di autoproduzione, cercando di restare il più possibile fuori dalle logiche del mercato dell’intrattenimento, a favore dell’urgenza, della spontaneità e dell’autenticità. Lo stesso approccio vale per la distribuzione dal basso: proiezioni pensate per attivare dibattito, riflessione e partecipazione collettiva.

Fotogramma da ANTIRAVE.

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