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L’oggettività contro la verità. Cerca, e cerca di nuovo. Curiosità e cura
Digital Library, April 2018
Tempo di lettura: 9 min
Tim Ingold

L’oggettività contro la verità. Cerca, e cerca di nuovo. Curiosità e cura

Seconda parte di "Gli ostacoli dell’oggettività e la ricerca della verità", un inedito di Tim Ingold.

 

L’oggettività contro la verità

Il chimico Friedrich August Kekulé, in una lezione che ricordava la sua scoperta della struttura delle molecole di benzene, ha offerto questo consiglio a ogni giovane scienziato: «Prendi nota di ogni impronta, di ogni rametto piegato, di ogni foglia caduta». Allora, disse, vedrai quale sarà il prossimo posto adatto ai tuoi piedi. Per Kekulé, la scienza era una specie di viaggio a piedi, o come lo definiva lui stesso, un «cercare la strada».11Kekulé, in Benfey (1958: 23).
Entrando in corrispondenza con cose che si stanno ancora formando, piuttosto che lasciarsi semplicemente informare da ciò che si è già buttato all’esterno da solo, colui che cerca la strada non solo raccoglie ma accetta ciò che il mondo ha da offrirgli.

Tim Ingold durante IperPianalto. Workshop alla Fondazione Spinola Banna per l’Arte.

È in questa più umile professione, credo, piuttosto che nell’arrogarsi il diritto esclusivo di rappresentare una realtà data, che l’indagine scientifica può corrispondere alla sensibilità artistica come un modo di conoscere-nell’-essere.22Ingold (2013b: 747).
Le mani e le menti degli scienziati, come quelle degli artisti e degli artigiani, assorbono nei loro metodi di lavoro un’acutezza percettiva che è in armonia con i materiali che hanno catturato la loro attenzione, e mentre questi materiali cambiano, muta anche l’esperienza del lavorare con essi. Sicuramente, nella pratica, gli scienziati si differenziano – tanto quanto gli artisti, e in effetti quanto tutte le persone – in base alle specificità delle loro esperienze e dalle abilità che da queste prendono forma, non dai confini territoriali dei loro campi di studio.

Di conseguenza la scienza, quando diventa arte, è insieme personale e carica di sentimenti; la sua saggezza nasce dall’immaginazione e dall’esperienza, e le sue molteplici voci appartengono a tutti coloro che la praticano, non a qualche autorità trascendentale a cui questi fungono da rappresentanti indifferenti. E laddove l’esplorazione scientifica si unisce all’arte dell’indagine, crescere nella conoscenza del mondo diventa contemporaneamente crescere nella conoscenza di se stessi. Il luogo in cui arte e scienza convergono, allora, è la ricerca della verità.

Parlando di verità non intendo fatti in contrasto con la fantasia, ma l’unisono di esperienza e immaginazione in un mondo che ci percepisce come vivi e che è vivo per noi. Confondere la ricerca della verità con la ricerca dell’oggettività è un grave errore. Perché, lontanissima dall’offrire il cammino regale verso la verità, l’oggettività ci blocca la strada. Lo fa chiedendoci di tagliare ogni legame con il mondo. La verità, al contrario, chiede la nostra totale e incondizionata partecipazione. Ci chiede di riconoscere ciò di cui siamo debitori al mondo, per la nostra stessa esistenza e formazione, come esseri viventi in esso, così come ciò che il mondo deve a noi. La ricerca, sostengo, è un modo per rafforzare questo rapporto di debito reciproco. Come tale, implica sia la curiosità che la cura.

Siamo curiosi quando si tratta del benessere delle persone che conosciamo e amiamo, e non perdiamo mai l’opportunità di chiedere loro come stanno. Questo perché ci stanno a cuore. Non dovremmo provare lo stesso per il mondo che ci circonda? Siamo curiosi perché ci sta a cuore. Ci stanno a cuore la Terra e tutti i suoi abitanti, umani e non umani. Ci sta a cuore il passato, perché ci aiuta a conoscere meglio noi stessi e il luogo da cui siamo venuti. E ci sta a cuore il futuro perché quando ce ne saremo andati vorremo lasciarci indietro un mondo che le generazioni successive potranno abitare.

Tim Ingold durante IperPianalto. Workshop alla Fondazione Spinola Banna per l’Arte.

 

Cerca, e cerca di nuovo

In breve, la curiosità e la cura sono due facce della stessa medaglia. La medaglia è la verità. La ricerca, allora, è il perseguimento delle pratiche di curiosità e cura. Non si può negare che verità può voler dire cose diverse, a seconda della filosofia o della dottrina di un dato accademico. La verità di un fisico può non essere la verità di un teologo, un antropologo o un musicista. Comunque il cercare la verità accomuna tutti. Sta tutto nel tentativo di fare le cose nel modo giusto: empiricamente, intellettualmente, eticamente o esteticamente. Iniziare a cercare in questo modo non è come entrare in un labirinto o iniziare una caccia al tesoro, in cui l’oggetto che desideriamo è già lì, pronto e in attesa, se solo siamo in grado di trovarlo. La verità è un’aspirazione: è ciò che tentiamo di raggiungere, ciò che desideriamo, ma che continuamente sfugge alla nostra stretta. Più le andiamo vicino, più si ritrae dietro all’orizzonte della concettualizzazione.

Tim Ingold durante IperPianalto. Workshop alla Fondazione Spinola Banna per l’Arte.

Cercare la verità, allora, non porterà a risposte definitive, né è quello il suo scopo. Si tratta piuttosto di sospendere tutti i pregiudizi o le presupposizioni, cambiare ogni certezza in domanda. Pensi di sapere già la risposta? Non è sicuramente così. Cerca ancora, e ancora, e ancora! Questo – il cercare di nuovo – è ciò che la parola “ricerca” significa in senso letterale. Privata della prospettiva di vedere definitivamente la luce, la ricerca rimarrà per sempre nell’ombra. La ricerca intensa e concentrata, come dice il filosofo dell’educazione Tyson Lewis, ha una qualità infernale: «Senza una direzione precisa, senza una metodologia chiara, senza una fine visibile, procediamo alla cieca, a caccia di nuovi indizi».44Lewis, 2011, p. 592.
Gli accademici sono anime ansiose! Eppure sono pieni di speranza, perché essendo una missione itinerante di “sperimentazione paziente”,55L’idea di una “sperimentazione paziente” viene dal filosofo Erin Manning, 2016, p. 13.
[5] la ricerca converte ogni chiusura in un’apertura, ogni apparente strada senza uscita in un nuovo inizio. È il garante del fatto che la vita andrà avanti, della sua continuità. E per questo motivo la ricerca è una delle prime responsabilità di coloro che sono in vita.

Ora, vista l’attuale situazione globale, idealizzare la ricerca come perseguimento della verità, che pone le sue basi nella curiosità e nella cura, potrebbe suonare ostinatamente ingenuo, o addirittura nostalgico. «Parla sul serio» vi sento dire. «Se vuoi creare un mondo migliore per le generazioni future, ovviamente provaci, ma per fare un progresso anche minimo dovrai assicurarti dei fondi, mostrare dei risultati, e fare in modo che vincano su quelli dei tuoi avversari». In breve, per fare ricerca e avere successo devi giocare a un gioco, le cui regole e i cui premi sono determinati da governi e corporation già intrappolati nella logica inesorabile della globalizzazione.

Tuttavia tale logica ha corrotto il significato della “ricerca” sino a renderla irriconoscibile. Non ha più molto a che fare con il tipo di studio critico che una volta chiamavamo “erudizione”. L’erudizione è stata infatti relegata al bidone della spazzatura del lavoro accademico, un aspirapolvere di fondi pubblici, destinato a restare nell’oscurità. La vera ricerca, ci viene detto, ha a che fare con la produzione di conoscenza, il valore della quale va misurato in base alla sua novità, piuttosto che alla sua vicinanza con la verità. La maggior parte della ricerca finanziata oggi include la raccolta di grandi quantità di “dati” e la loro elaborazione per mezzo di programmi in “output” che – nella loro potenziale applicazione – potrebbero avere un “impatto”. Poiché le risorse del pianeta si stanno prosciugando e vi è una competizione sempre più dura causata dal calo dei rendimenti, nell’economia neoliberale della conoscenza il cambiamento e l’innovazione sono all’ordine del giorno, e solo ciò che è nuovo vende. “La buona ricerca”, nel macabro linguaggio del capitalismo delle corporazioni, “porta l’innovazione”.

 

Tim Ingold durante IperPianalto. Workshop alla Fondazione Spinola Banna per l’Arte.

Curiosità e cura

È vero, buona parte della ricerca che è portata avanti in quella che sempre più spesso è conosciuta come “accademia” non è orientata verso l’applicazione immediata. Si dice di essa che è spinta dalla curiosità, ma viene anche chiamata “blue sky”. Gli scienziati si sono espressi in difesa del loro diritto di intraprendere una ricerca blue-sky, nonostante l’onere che questa ha sui fondi pubblici, accennando più e più volte a una serie di scoperte che, solo molto tempo dopo essere state fatte, si sono rivelate di un tale beneficio pratico che oggi dipendiamo da esse nel quotidiano della nostra esistenza. Ma in territorio accademico la curiosità ha divorziato dalla cura, dalla libertà e dalla responsabilità. Come se stesse importando prestazioni al netto, il reddito dell’accademia deriva dalla sua esportazione di conoscenza, ma resta nelle mani di coloro che comprano la conoscenza per determinare come questa andrebbe applicata, se per costruire bombe, curare malattie o manipolare i mercati. Perché gli scienziati dovrebbero avere a cuore tutto questo?

Tale atteggiamento, diffuso tra coloro che praticano le cosiddette materie STEM (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica), rivela come il candido interesse verso le blue-sky non sia altro che fumo negli occhi per coprire la spregevole resa al modello di produzione di conoscenza imposto dal mercato. Equivale a una difesa egoista di interessi speciali che sono sempre più concentrati nelle mani di un’élite scientifica globale che, complice delle corporation che serve, tratta il resto del mondo – inclusa la maggior parte della sua sempre più povera e a quanto pare sacrificabile popolazione umana – come poco più che una riserva viva di dati per nutrire l’insaziabile appetito dell’economia della conoscenza.

Nel linguaggio specifico delle politiche di ricerca, la ricerca che non è “blue-sky” è classificata come “guidata dalla pratica” o “orientata alla soluzione dei problemi”. Se guidata dalla pratica dovrebbe far nascere cose nuove, come opere d’arte, architettura o design; è creativa. Se è orientata alla risoluzione dei problemi dovrebbe raccogliere dalla conoscenza esistenza materiale per elaborare procedure che risolvano i problemi e conducano alle loro soluzioni; è applicata. Da un lato potreste chiedervi: quale ricerca non è pratica nella sua applicazione? O ancora, quali sforzi accademici non sono creativi? E, dall’altro lato, potreste chiedervi se almeno uno dei problemi che siamo portati a risolvere nasconda in se stesso la propria soluzione.

I veri problemi eccedono sempre la loro soluzione e non vengono mai dissolti da essa. È in questo eccesso, e non nella novità degli artefatti o delle risposte trovate lungo la strada, che si deve cercare la genuina creatività della ricerca. Nel perseguimento della verità, la ricerca riguarda tanto la scoperta delle domande nella pratica quanto le risposte a quelle stesse domande per mezzo della pratica, e la prima straripa costantemente nella seconda. In breve, la vera ricerca non è guidata dalla pratica né è orientata alla soluzione dei problemi, nel senso che non è la pratica o il problema a essere lo stimolo a cui fa seguito tutto il resto; piuttosto le pratiche e i problemi sono generati gli uni dalle altre, come l’uovo e la gallina, nel processo educativo del vivere la vita. Né è possibile, in questo processo, separare la curiosità dalla cura. Perché alla fine, «la cura, non l’impatto, è il marchio di una ricerca della verità eticamente responsabile».66La frase è presa dal Manifesto di Reclaiming our University, RoU 2016, p. 19.

 

Traduzione di Elena D’Angelo

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di Tim Ingold
  • Tim Ingold è ricercatore e docente di Antropologia Sociale all’Università di Aberdeen. Le sue ultime pubblicazioni sono “Anthropology and/as education” (2017), “The Life of Lines” (2015) e “Making: Anthropology, Archaeology, Art and Architecture” (2013). La sua ricerca è  eclettica e il suo metodo oggetto esso stesso di ricerca. Tra i temi d’interesse, il linguaggio, la tecnologia e la pratica specializzata, l'arte e l'architettura, la creatività, le relazioni uomo-animale e gli approcci ecologici nell'antropologia.
Bibliography

O. T. Benfey, August Kekulé and the birth of the structural theory of organic chemistry in 1858, «Journal of Chemical Education, 35, 1958, pp. 21-23.
G. J. J. Biesta, The Beautiful Risk of Education, Paradigm Publishers, Boulder 2013.
C. Holdrege, Doing Goethean science, «Janus Head», 8, pp. 27-52.
T. Ingold, Prospect, in Biosocial Becomings: Integrating Social and Biological Anthropology, eds. T. Ingold, G. Palsson. Cambridge University Press, Cambridge 2013, pp. 1-21.
T. Ingold, Dreaming of dragons: on the imagination of real life, «Journal of the Royal Anthropological Institute», (N.S) 19, 2013, pp. 734-752.
T. Ingold, The Life of Lines, Routledge, Abingdon 2015.
T. Ingold, On human correspondence, «Journal of the Royal Anthropological Institute» (N.S.) 23, 2017, pp. 9-27.
T. E. Lewis, Rethinking the learning society: Giorgio Agamben on studying, stupidity, and impotence, «Studies in Philosophy and Education», 30, 2011, pp. 585-599.
E. Manning, The Minor Gesture, Duke University Press, Durham 2016.
Plutarco, On listening, in Plutarch: Essays, trans. R. Waterfield, Penguin, London 1992.
RoU 2016, Reclaiming our University: The Manifesto.